Bonelli, 70 anni di Tex: intervista a Fabio Civitelli
Per i 70 anni di Tex, abbiamo intervistato per voi uno dei suoi disegnatori più amati: Fabio Civitelli
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Diamo il benvenuto su BadComics.it a Fabio Civitelli.
Ciao, Fabio! È un onore e un piacere averti qui con noi.
Prima di lavorare alla serie, sei stato un lettore di “Tex”? E se sì, cosa ti appassionava e cosa ti appassiona oggi del personaggio?Grazie a voi di BadComics.it! Assolutamente sì: ho iniziato a leggere “Tex” che ero un bambino. Vivevo in un piccolo paese in provincia di Arezzo, e con gli amici ci scambiavamo i pochi fumetti che avevamo. “Tex” era il mio preferito. Mi piaceva così tanto che a un certo punto scrissi alla casa editrice per farmi spedire il mitico numero 1 della testata, “La mano rossa”. Quando mi arrivò a casa ero elettrizzato e ricordo che centellinavo le pagine per farmelo durare il più a lungo possibile! Mi pare avessi otto anni. Da allora la passione per “Tex” è rimasta immutata.
Ho sempre coltivato fin da piccino il sogno di fare fumetti, ma inizialmente non pensavo al western. Ero affascinato dagli aerei e dalle automobili. Infatti, quando mi presentai in Bonelli, lo feci per l'unico suo fumetto non western di allora, “Mister No”, anche se la mia passione per “Tex” era rimasta immutata.La tua prima storia sulla serie regolare è stata “I due killers” (“Tex 293: Gli ostaggi”, marzo 1985), scritta da Claudio Nizzi. Ci racconti come sei entrato a far parte del team creativo e cosa ricordi del tuo esordio?
Innanzitutto va detto che non entri nel team creativo di “Tex” perché lo chiedi tu: vieni chiamato a farne parte. È coma la Nazionale di Calcio! Fu Sergio Bonelli in persona a chiedermi se volessi cimentarmi con “Tex”. Potevo dire di no a lui e a un ingaggio per il personaggio più importante di tutti? Feci delle prove che ebbero un riscontro positivo, ma devo dire che partii con grande titubanza: ero molto, molto preoccupato per la responsabilità che mi toccava e anche perché non avevo materiale a disposizione. Sergio aggiunse un altro argomento assai convincente: “Guarda che te lo paghiamo molto di più di 'Mister No'”, mi disse. Io mi ero appena sposato, avevo il muto della casa, e si sa che il muto della casa ti dà una forte spinta creativa! [Ride]Come si è formata la tua iconica interpretazione del nostro ranger?
Mi appoggiai fin dall'inizio alla rappresentazione di colui che è sempre stato il mio disegnatore preferito di “Tex” (a parte Galep, ovviamente): Giovanni Ticci. Mi ritengo un “ticciano”. La sua prima storia, “Vendetta indiana” [“Tex 91”, maggio 1968 - NdR], penso di averla letta almeno una ventina di volte. Credevo fosse un disegnatore americano per via del suo tratto e perché la storia originale, quando uscì come striscia nel '67, non era firmata. In seguito, se dovevo disegnare una stazione, andavo a vedere come l'aveva disegnata lui; se dovevo disegnare dei cavalli, andavo a vedermi come li aveva fatti lui. Per realizzare la mia prima storia di “Tex” mi arrangiai così. Quando poi, negli anni, ho conosciuto Giovanni, gli dissi: “Scusa, ma devo renderti dei diritti d'autore, perché la mia prima storia è completamente copiata dai tuoi soggetti! [Ride]. Lui fu molto buono con me e mi rispose scherzando che per quella volta non li avrebbe pretesi. Quindi, questo fu il mio esordio stilistico.
Giovanni ha sempre posseduto un'immagine stabile della figura e della struttura del viso di Tex, mentre, ad esempio, quella di Galleppini si è evoluta nel tempo, da una corporatura più esile a una più massiccia. Se devo dire com'è cambiato il mio stile, nel corso degli anni, non ne sarei in grado; nel senso che sicuramente è successo, ma quasi inconsciamente. Sono convinto che lo stile non te lo cerchi, ti arriva tra capo e collo. A un certo punto ti accorgi di avere un tuo stile e non sai come sia arrivato, ma si è formato grazie alle cose che ti piacciono, a quello che hai letto, a quello che hai guardato con attenzione, a quello che hai copiato. Se dovessi commentare il mio tratto, direi che è qualcosa a metà tra quello di Ticci e quello di Claudio Villa. Sono due artisti fantastici, di cui ho una stima enorme, e mi sono ritrovato un po' in mezzo a questa compagnia. Ed è una bella compagnia, non mi lamento!
Parliamo del tuo approccio a una sceneggiatura di “Tex”: da dove cominci? Hai dei “riti preparatori” a cui ti affidi prima di iniziare il lavoro?
A essere onesto, solitamente non faccio mai disegni preparatori: vado subito a braccio. Ultimamente, Boselli mi chiede, nel caso in cui ci sia nella vicenda un personaggio importante, di fare prima qualche schizzo, per vedere in anticipo la resa. Nel prossimo episodio, in cui comparirà Mefisto, per esempio, ritornerà una figura di assoluto rilievo che risale agli anni 60. In questo caso, Mauro mi ha chiesto di realizzare alcuni studi preparatori, che lo hanno convinto subito. Altrimenti, ripeto, vado a braccio: pagina 1, squadro il foglio e comincio.
Ti abbiamo visto alle prese con un paio di “Color Tex”: da un punto di vista tecnico, quanto cambia il tuo approccio a una storia a colori? Ti affidi anche a strumenti digitali?
I miei strumenti di riferimento sono quelli tradizionali, molto semplici: matita, pennello Winsor Newton numero 1 e china, oltre a qualche pennarello molto sottile per i puntini. Il digitale mi viene in aiuto se devo correggere qualcosa ed evitare di rifare tutta la vignetta, ma vi ricorro di rado.
Per quanto riguarda il colore, nell'ultimo “Color Tex”, il quattordicesimo, da poco uscito in edicola, ho voluto usare l'acquerello per disintossicarmi - diciamo così - dai colori digitali con cui avevo realizzato il precedente, “Delta Queen” [“Color Tex 5”, agosto 2014 - NdR], l'albo per il sessantenario [“Tex 575: Sul sentiero dei ricordi”, settembre 2008 - NdR] e l'imminente numero 700, a me affidatomi. Va detto che l'acquerello è una tecnica molto delicata, e il formato bonellide standard non gli permettere di rendere al massimo nelle sue sfumature, per cui ho deciso di esporre queste tavole in una mostra che farò a Milano, il 7 febbraio: vi esporrò i quadri, le tele di “Tex”, e gli acquarelli. Il 7 febbraio dovrebbe inoltre uscire il numero 700, per cui parliamo di una data davvero speciale.
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Perché è difficile disegnare “Tex”? Che consiglio daresti a un giovane artista che volesse cimentarsi con Aquila della Notte?
Il personaggio di Tex non ha delle caratteristiche somatiche particolari e ha un viso molto regolare, senza qualcosa di specifico che lo caratterizzi. A caratterizzarlo sono essenzialmente le sue espressioni: il suo sguardo tagliente, che ti scruta nel profondo. Tex ha un intuito formidabile e capisce subito se sei uno da picchiare o a cui stringere la mano; tutto ciò va tradotto nel disegno, e non sempre è cosa facile. Oggi si tende ad allargare lo spettro espressivo, per le varie influenze che vengono dal Fumetto americano e dal manga, ma su “Tex” bisogna stare molto attenti. Tex ha un self-control eccezionale: anche quando viene sorpreso non lo è mai totalmente, e non va mai oltre a un sorriso, ironico o meno. Kit Carson, invece, ha molte più espressioni, e per ciò è molto divertente da disegnare.
A un giovane artista che si appresta a lavorare su “Tex” consiglierei di rifarsi ai classici. Il parco disegnatori di “Tex” - non lo devo dire io - è tra i migliori d'Italia e non solo, per cui ci sono tanti modelli a cui ispirarsi. Lo stile di Ticci è sempre estremamente valido, e poi c'è Villa. Direi forse di ispirarsi più a Villa, perché oggi Tex, iconicamente parlando, è il Tex di Villa. Poi ci vuole molta umiltà. Il disegnatore che si avvicina a “Tex” deve adattare il proprio stile a “Tex” e non il contrario.
Ci sono delle ambientazioni o delle atmosfere western che ami particolarmente o che ti diverte maggiormente illustrare?
La risposta classica è: "preferisco il deserto, così si fa prima!" In realtà, anche nel deserto c'è tanta roba da illustrare. Mi sono innamorato del western per la sua – diciamo – rozzezza e per la quasi assenza di tecnologia: i villaggi, le case che hanno un profilo irregolare e sono fatte di legno e di pietra… Amo molto disegnare questi materiali e a seconda di quali devo rendere uso il retino, il tratteggio, i puntini…
Quali sono le storie di “Tex” a cui sei più legato?
Ce ne sono così tante… Se ti devo citare una delle mie, direi il Texone “La cavalcata del morto” [“Tex Speciale 27, giugno 2012 - NdR], che rappresenta in un certo senso la svolta della mia carriera. Me lo chiese espressamente Sergio Bonelli e ho sempre avuto il rammarico che lui non lo abbia potuto vedere finito, purtroppo.
Poi, direi il recente arco su Yama [“Tex 673/675”, novembre 2016/gennaio 2017 - NdR] e un'altra trilogia, quella de “Il presagio” [“Tex 475/477”, maggio/luglio 2000 - NdR], perché il soggetto era nato da una mia idea e l'avevo scritto insieme a Claudio Nizzi, che firmò la sceneggiatura. Quest'ultimo mi piacerebbe vederlo ristampato in una qualche edizione da fumetteria. Ancora non dispero, prima o poi ce la facciamo!
Se devo citare un titolo di storie disegnate da altri artisti, vorrei rifarmi a quelle recenti: negli ultimi anni abbiamo avuto storie bellissime; su tutte “Nueces Valley”, che è un capolavoro, diventerà una pietra miliare della saga. Vi faccio una rivelazione: c'è un rimando a quella storia proprio nel mio numero 700: in una scena rivedremo quel giovane Tex. Ho potuto visionare per questo motivo tutti i disegni preparatori di Pasquale Del Vecchio, che ha fatto un lavoro meraviglioso.
Lo abbiamo chiesto a tutti gli autori intervistati in occasione dei 70 anni di “Tex”: qual è la tua personale opinione in merito all’inossidabile successo di questo personaggio?
Ti rispondo da lettore: a me piace immedesimarmi in un personaggio che riesce a fare quello che vuole fare e non si fa condizionare dal potere, dalle istituzioni, ma tira dritto per la sua strada. A volte vediamo Tex picchiare uno sceriffo o ribellarsi all'esercito in nome della sua idea di giustizia senza compromessi. È questa la forza di Tex.
Ma “Tex” piace anche perché le storie sono molto belle, realizzate da grandi autori; penso che questo sia un valore importante per il successo del fumetto. Noi ce la mettiamo veramente tutta. Su “Tex” c'è una cura e un'attenzione maniacali. Con Mauro guardiamo al minimo dettaglio, che forse in passato avremmo sorvolato. Mauro Boselli è un rompiscatole [Ride] …ma su “Tex” sta facendo un lavoro straordinario. Per darvi un'idea: per “Mister No” - ero anche più giovane – riuscivo a produrre venticinque o trenta tavole al mese; con “Tex”, oggi, è impossibile: riesco a completarne al massimo dodici in un mese. Per capirci, quando ne finisco tre alla settimana, sono contento.
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Qual è il tuo comprimario preferito della saga di “Tex”?
A me piace in particolar modo El Morisco, perché se è presente nella trama, si può star certi che ci sarà anche una certa dose di mistero e la vicenda sarà parecchio saporita e succosa. Per i villain, Yama e Mefisto sono certamente il top. Mauro mi ha fatto vedere il lavoro dei fratelli Cestaro su Mefisto, ed è pazzesco. Non dico altro. Dovrò continuare proprio quella storia. Sono un po' preoccupato, perché hanno rappresentato un Mefisto veramente terrificante e a me di solito viene un po' più bellino! [Ride]
Puoi confidarci a quali progetti stai lavorando o quelli a cui ti dedicherai nell’immediato futuro?
Il lavoro più importante riguarda per l'appunto Mefisto. Il nemico per eccellenza del nostro eroe sta per tornare. Lo farà in una lunghissima run di almeno cinque albi. La prima parte è stata affidata ai fratelli Cestaro e la seconda a me, anche se non posso ancora dirvi della lunghezza perché è tuttora in divenire.
Per concludere, hai letto l’albo d’esordio di “Tex Willer”? E se sì, cosa ne pensi?
Certo che l'ho fatto, e l'ho apprezzato moltissimo. Non vedo l'ora di leggere il secondo episodio. Faccio i miei complimenti a Roberto De Angelis e a Bruno Brindisi, di cui ho già visto alcune pagine del suo arco narrativo. Inoltre ci sta lavorando anche un mio carissimo amico che fa parte della scuola aretina, Fabio Valdambrini, la cui storia, credo, uscirà la prossima estate.
Per tornare invece alla collana in sé, come sapete, certi rimandi alla gioventù di Tex ci sono anche nella serie tradizionale, ma avergli dedicato una testata è stata la cosa migliore a mio parere. Ci voleva un contenitore che desse omogeneità e continuità a queste avventure, oltre che maggiori approfondimenti; cose che non si possono fare nella collana ammiraglia, come solitamente si fa con il racconto del protagonista al bivacco, davanti al fuoco. Poi, ragazzi, dopo settant’anni un nuovo numero 1 di “Tex” è una cosa davvero strepitosa!