Nathan Never – Generazioni 2: Il guerriero della polvere, la recensione
Abbiamo recensito per voi il secondo numero di Nathan Never – Generazioni, Il guerriero della polvere
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Il numero zero e il primo brossurato della miniserie Nathan Never – Generazioni contenevano ottimi presupposti per un prodotto interessante e fuori dagli schemi, così come voluto dal suo stesso ideatore e soggettista, Antonio Serra. La conferma che ci ha entusiasmato è giunta con il successivo appuntamento, uscito lo scorso 23 giugno. L’albo in questione è una gioia per gli occhi e contiene una storia avvincente, un altro omaggio delizioso alla fantascienza e alla Nona Arte in grado di conquistare ogni fan dell’Agente Speciale Alfa, soprattutto gli amanti del Fumetto giapponese.
Anche qui le influenze e le citazioni sono molteplici, ma una è l’opera di riferimento che detta gli stilemi estetici e narrativi, utilizzati nelle tavole e poi richiamati con enfasi sulla copertina dagli stessi artisti coinvolti: se per l’episodio disegnato da Alessandro Russo era centrale Sin City, di Frank Miller, in quello illustrato da Silvia Corbetta e Mariano De Biase, il modello è in maniera ancora più evidente Ken il Guerriero, di Buronson e Tetsuo Hara. Nathan Never apparirebbe in tutto e per tutto simile all’Uomo dalle Sette Stelle se non fosse per il tatuaggio che porta sul petto: non la costellazione dell’Orsa Maggiore, come per il successore della Divina Scuola di Hokuto, ma la prima lettera dell’alfabeto greco, simbolo del leggendario Corpo Speciale Alfa.
Le atmosfere dello shonen scritto da Buronson si respirano ovunque, ma è il lavoro espresso dalla matita di Corbetta e dalle chine di De Biase a lasciare stupefatti. Conosciamo bene i due artisti per i loro contributi alla testata regolare e alle collane satelliti di Nathan Never, ma ne Il guerriero della polvere riescono con incredibile bravura in un restyling efficace e divertente dei comprimari e degli antagonisti della serie originale, rivisitati nell’aspetto e negli abiti con il segno inconfondibile del maestro Hara. Su tutti spicca una strepitosa Legs Weaver.
Eccher, tuttavia, non si affida soltanto al manga cult di cui sopra per i suoi soggetti ma si diletta a divagare in più generi e media. Sembra quasi dovuto il richiamo ai film di Mad Max, di George Miller, dai quali lo stesso Hokuto no Ken pare sia stato ispirato.
È una vera chicca, infine, parlando del giustiziere solitario accompagnato dal figlio in carrozzina, il rimando al seinen Lone Wolf and Cub (Kozure Ookami, 1970), di Kazuo Koike e Goseki Kojima; da esso è stata tratta nello stesso anno una fortunatissima serie TV live action, trasmessa in Italia negli '80 con il titolo di Samurai.
Nathan è perfetto per rivestire i panni del ronin Itto Ogami e ancor di più lo è la giovanissima ed enigmatica Ann Never per quelli del piccolo Daigoro.