Paranoid Boyd 7: Disneycide, la recensione
Abbiamo recensito per voi il settimo e ultimo capitolo di Paranoid Boyd, di Andrea Cavaletto
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Vi abbiamo già parlato di Paranoid Boyd, la miniserie creata da Andrea Cavaletto per Edizioni Inkiostro. La casa editrice di Rossano Piccioni ha in seguito pubblicato il sesto capitolo della saga, Sia benedetto tutto ciò che mi ha reso più folle, e il settimo e conclusivo, Disneycide.
Cavalletto riprende le fila del racconto lasciato in sospeso in Sia benedetto tutto ciò che mi ha reso più folle e imprime l'ultima sterzata alla vicenda. La trama, già molto complessa, viene spalmata spazialmente e temporalmente, scandita dagli stili assai diversi dei disegnatori che si succedono alle matite: c'è il segno evanescente, onirico ed estremamente suggestivo di Giani, che firma anche la splendida copertina; quello buio, denso e ruvido della Cardella; quello moderno e diretto, crogiolo delle influenze più disparate, di Sartor; infine, c'è quello regolare, pulito ed elegante della Simone; nel loro insieme formano un unicum che rimanda al dipanarsi talvolta sconnesso ma continuo del fluire dell'inconscio, un mosaico di immagini provenienti dalla memoria o da brandelli di percezioni.
Nuove informazioni alimentano la massa di dati dell'intreccio, risucchiandovi dentro perfino Walt Disney e il genocidio compiutosi nel 1994, in Ruanda, a danno dell'etnia Tutsi. Ogni evento nefasto della nostra Storia, ogni orrore registrato dalla cronaca, diventa un tassello che si incastra alla perfezione all'interno di un piano diabolico e inesorabile. L'ennesima sorpresa è però pronta a scattare e a rovesciare ogni precedente supposizione.
Realizziamo così che Paranoid Boyd, nella sua interezza, è essenzialmente un viaggio nella psiche, intesa come eterno divenire condannato senza posa a darsi una forma individuale entro cui viene costretta a una maschera. L'Io si presenta a se stesso e al mondo esterno con essa, ma non è la sola: vi è anche quella costruita dagli altri. In questa moltiplicazione, va persa l'individualità, la compattezza dell'Io, che crea le proprie paure, i demoni che rischiano di annientarlo.
Bisogna affrontarli e vomitarli fuori, per tenerli a bada: questo sembra essere il messaggio dell'opera di Cavaletto, e questo è quanto compie lo scrittore torinese nel suo fumetto. Nell'assoluta assenza di censura, di inibizioni e di decoro, la storia assume i connotati di un processo catartico e liberatorio rivelando, a un'analisi meno immediata, un percorso interiore colto e profondo.