Speciale Dylan Dog 31: Il Pianeta dei morti - Nemico pubblico n. 1, la recensione
Abbiamo recensito per voi Dylan Dog: Il pianeta dei morti - Nemico pubblico n. 1, di Bilotta e Gerasi
Con Nemico pubblico n. 1, Bilotta dimostra ancora una volta la sua padronanza totale del mondo dylaniato prendendo in prestito il personaggio l'Indagatore dell'Incubo per raccontare una storia che fa parte del suo mondo ma che non lo vede protagonista. Per più di novanta pagine, lo sceneggiatore mette sotto i riflettori un anziano biologo, il signor Woland, che rappresenta tutte le sfumature del personaggio di Xabaras.
Se questa storia fosse stata divisa nel formato mensile della testata principale, avremmo potuto dire che nella prima parte (che si chiude con l’incontro tra Dylan e Xabaras) i testi di Alessandro Bilotta e i disegni di Sergio Gerasi raccontano la parabola sulla vita di un uomo che, nel pieno dello smarrimento dovuto all’età avanzata, alla malattia e alla depressione, riscopre una ragione di vita e torna a combattere per i propri ideali. La storia di Woland è tragica, un filo rosso carico di passione che attraversa un labirinto di morte, dove l’unico in grado di innamorarsi è proprio colui che venera l’eternità degli esseri, che trascende il concetto di trapasso.
Durante un ricovero per infarto, l’anziano Woland si innamora di Marlene. Non sappiamo nulla di lui, ma data la fisiologia marcatamente ispirata alla nemesi principale di Dylan Dog possiamo immaginare che tipo di individuo sia. Quando è con Marlene (donna che mostra di sé solo la facciata, con un nome fittizio), Woland è diametralmente lontano da Xabaras, come se fosse pervaso da sentimenti umani positivi. Dietro l’idea di amore che si annida nel malandato cuore dell’uomo c’è, però, il seme dell’ossessione che sta maturando lentamente: l’ascensione verso il corpo ideale protratta da Marlene risveglia i suoi istinti di controllo e perfezione, spingendo l’uomo a condividere con lei l’idea del perfezionamento dell’“io” fisico, non curandosi delle ripercussioni sui fragili “materiali” che compongono il corpo umano. Per questo, la vita imperfettamente umana di Woland/Xabaras abbandona il tema del romantico per virare bruscamente verso il grottesco.
L’occasione, che ha serpeggiato sullo sfondo della storia per buona parte dell’albo, è rappresentata dai Flagellanti: setta che venera Abraxas come un Dio in Terra e vede in Xabaras una sorta di profeta in grado di portare gli uomini a trascendere l’esistenza, iniettando nelle loro vene una versione mutata del virus che trasforma i morti in ritornanti, rendendo sostanzialmente gli uomini dei non-morti senzienti.
Il tema del doppio ritorna con forza, focalizzandosi questa volta non tanto sull’aspetto vita/non vita, ma sul dualismo tra la droga per anestetizzarsi di giorno (risposta scelta, tra l’altro, dal nuovo direttore di Scotland Yard) e il siero per avere una non-vita eterna. In ogni caso, l’aspirazione dell’uomo va a perpetuare un’esistenza o una non esistenza, stavolta a parti invertite.
Tanto credono i Flagellanti nel lavoro di Xabaras, tanto l’uomo trae forza da quel nome per rincorrere un intento disperato (tenuto segreto alla setta). Non per un ideale profondo (soprattutto dopo che abbiamo visto la sua rinuncia alla mera ricerca scientifica senza una componente “personale”), perché stavolta c’è Marlene sul piatto della bilancia: perfezionare il siero le permetterebbe di condurre una non-vita dignitosa dopo la morte, nonostante l'avanzato stato di decomposizione. Da questo momento in poi, gli equilibri tornano nella dimensione archetipica del personaggio: Xabaras ha un folle piano e Dylan (senza l’appoggio reale della polizia) vuole fermarlo. In un mondo dove l’oblio - volontario o meno - la fa da padrone, ritrovare una dimensione personale nell’affrontare la vita rappresenta la chiave di volta per tornare a sentirsi nuovamente vivi, sbilanciando l’asse oltre l’oscillare tra esistenza e non esistenza. A questo punto, durante lo scontro tra i protagonisti torna il sangue (tantissimo), l'odio e soprattutto la forza nel voler non accettare la realtà.
Quest’ultimo aspetto in particolare mette in luce un difetto congenito del personaggio di Dylan che, spesso, in alcuni tipi di storie si è ritrovato vittima degli eventi: Xabaras prende il toro per le corna urlando in faccia allo scavatombe la realtà dei fatti. Finalmente, durante il loro scontro, anche Dylan trova un motivo personale per riaccendere il fuoco della lotta, e infiammandosi brucia quel che resta della sua candela per splendere in un finale struggente, in linea con il classico scontro tra nemici che sono due facce della stessa medaglia.
Bilotta, però, non è tipo da lasciare un finale plausibile con una sola interpretazione; per questo, il controfinale apre a diverse strade non solo dello stesso, ma anche dell’intera storia. Ogni riferimento al mondo di Dylan Dog presente nella trama è, forse, frutto di un’allucinazione dello stesso Woland che, durante il coma, ha vissuto quest’esperienza onirica, che andrebbe nella stessa direzione dei deliri di onnipotenza che si manifestano ogni tanto nella sua mente, come fossero dei momenti di schizofrenia. Allucinazioni lucide che caratterizzano anche il personaggio di Dylan sin dai suoi primi passi in questo mondo, che durante alcune brevi sequenze rivive quelle che sembrano esperienze di una vita lontana, tratte direttamente dalla testata ammiraglia del personaggio.
Dal punto di vista della narrazione, i disegni di Sergio Gerasi assolvono a una funzione importantissima: raccontare con la stessa potenza diversi tipi di sequenze, passando agevolmente dall’horror all’azione con intervalli romantici struggenti. I visi, le cicatrici e il sangue sono, a modo loro, estremamente vivi e infondono molta forza (per contrasto) all’inedia che trasuda da ogni poro del primo Woland e di Dylan. Ogni sguardo e ogni espressione comunicano con precisione non solo gli stati d’animo evidenti, ma anche i dubbi e la profondità emotiva di ciascun personaggio. I cambi di stile sembrerebbero opera di differenti disegnatori, a riprova di quanto Gerasi abbia il pieno controllo della materia narrativa in ogni momento, veicolando i differenti messaggi con declinazioni diverse a seconda della necessità.
Ottimo anche l’esordio di Marco Mastrazzo come copertinista della testata, che in una sola immagine racchiude perfettamente una dualità profonda: il senso di smarrimento di Dylan, se si osserva la copertina di sfuggita, così come la forte consapevolezza presente sul suo volto, se ci si focalizza su di esso.
Vita e morte, esistenza e non esistenza, Dylan e Xabaras, Xabaras stesso e… Abraxas. Il Dylan Dog de Il pianeta dei morti risplende di luce propria in un "What if...?" affascinante e coerente, sviscerando storie che declinano con profonda precisione lo spirito della storica serie Bonelli.