Kraken, la recensione [2]
Abbiamo recensito per voi Kraken, di Emiliano Pagani e Bruno Cannucciari, edito da Tunué
Non è la prima volta che Tunué propone contenuti su questa linea, dato che diversi altri volumi delle collane Tipitondi e Prospero's Books hanno affrontato il tema del mare e del mistero che stringe tra le sue onde come motore di crescita, seppur con sensibilità e sviluppi diversi di caso in caso. Per la prima volta, però, l'idrosfera viene mostrata con questo approccio vicino ai pittori William Turner e Caspar David Friedrich, con riferimenti al contemporaneo, in particolare a Sergio Toppi e Max Ernst. Come altri volumi della collana, Kraken parla di maturazione, del venire a patti con la morte e del saper cogliere il peso di alcuni eventi che, quando avvengono, sconvolgono la vita di chi li vive sulla propria pelle.
La narrazione prosegue con l'indagine attorno a questa misteriosa figura marina immanente, culminando in un climax finale tutt'altro che prevedibile, da pelle d'oca. Partendo da queste basi, la potenza delle parole scelte e dei simboli inseriti nella narrazione permettono al lettore di elaborare il contenuto proposto con diversi livelli di lettura.
Dal ragazzino, fulcro della vicenda, partono a raggiera tutti gli altri temi affrontati nel volume. Damien è il capro espiatorio della folla, è Giona che rischia continuamente di entrare nello stomaco del mostro per salvare il resto della popolazione. Come in Pinocchio, Dougarry farà molta fatica a entrare nella pancia del pesce-cane all'interno della testa del ragazzo per comprendere fino in fondo cosa ci sia dietro la sua richiesta d'aiuto.
Il "Filo d'Arianna" che sembra dividere la realtà dalla fantasia è proprio Janet, che rappresenta con forza chi, dal villaggio, ha provato a emanciparsi. Il peso della cultura degli antenati, però, talvolta può essere più forte di ogni altra cosa, arrivando ad alzare veli immensi davanti agli occhi di chi osserva dall'interno una situazione molto critica. Per questo, Janet simboleggia il lume della ragione di un popolo sempre pronto ad addossare le colpe agli altri, siano essi individui reali o immaginari, piuttosto che ammettere le proprie osservando il male dall'interno.
Durante lo sviluppo della trama la sensazione costante è sempre la stessa: cosa stanno cercando di comunicare, realmente, gli autori? Questo aspetto si può cogliere effettivamente solo in chiusura del volume, con una sequenza frenetica che non solo regala un nuovo senso di quanto si è letto fino a quel momento, ma che tiene il lettore con gli occhi incollati alle tavole, in cerca di qualsiasi dettaglio possa essergli sfuggito nelle pagine precedenti.
Bruno Cannucciari infonde vita in tutti gli elementi della storia di Emiliano Pagani, dipingendo (letteralmente) un quadro per ogni vignetta. Nel suo tratto fonde la narrazione e la leggibilità del fumetto con la magnificenza dei dipinti, utilizzando toni verdi e cupi come il mare in tempesta. La fluidità con cui le pagine scorrono tra le dita è disarmante, a prescindere da ciò che viene raffigurato: i personaggi, gli ambienti e i piani d'ascolto hanno tutti la stessa dignità visiva, in bilico tra il reale e il trasfigurato.
Kraken è un pugno allo stomaco, di quelli che ti scombinano nel profondo. È una storia cupa, dove non c'è spazio per concetti netti come eroi e antieroi. Come spesso accade nella realtà di provincia, lontana dai riflettori, la verità è sempre nascosta oltre il velo dell'evidenza. Al termine della lettura, il contro-finale che chiude il climax - più che instillare il dubbio - porta a una domanda, nerissima, posta ad ogni lettore.
Ognuno è, in fondo, abitante di un villaggio di pescatori. Ognuno teme, in egual misura, l'arrivo della morte. Cosa siamo disposti a sacrificare per il favore della buona sorte?