Tumorama, la recensione
Abbiamo recensito per voi Tumorama, volume a fumetti realizzato da Pablo Cammello
Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.
Diverse e contrastanti sono le sensazioni che si avvertono durante la lettura di questo corposo volume suddiviso in dodici capitoli che racconta le vicende di Tumorboy, del suo amico Rubens e di Plutarco, cane in possesso di diverse lauree e di un italiano decisamente non consono ai suoi titoli. I tre condividono un appartamento che diventa la principale location delle loro avventure, durante le quali facciamo la conoscenza di una variegata gamma di comprimari, tutti dal character design al quanto bizzarro.
Parlavamo di sensazioni contrastanti: le dissonanza narrative rendono questo volume un fulgido esempio di come il Fumetto moderno si apra a un'altra serialità, quella televisiva, in questo caso quella delle sitcom, facendone suo il linguaggio per poi corromperlo con immagini forti e spesso disturbanti. L’inizio di Tumorama è caratterizzato da una successione di situazioni surreali in cui Tumorboy e Rubens sono alle prese ora con lo sciopero dei pusher, ora con vicini di casa troppo guardoni: episodi autoconclusivi dal gusto grottesco, resi alla perfezione dal tratto caratteristico di Cammello.
Non meravigliatevi, dunque, se la vostra prima reazione sarà quella di tornare al punto di partenza per provare a rileggere tutto da capo; anzi, vi invitiamo a farlo proprio per cogliere al meglio le tante sfumature che si nascondono dietro a quella che può sembrare la strana fotografia di una generazione apatica e dedita alle droghe. Non fatevi fregare dal tono leggero e scanzonato iniziale, che potrebbe spingervi a etichettare il tutto come una boutade.
Quella che potremmo considerare la prima stagione di Tumorama - visto anche l’incredibile cliffhanger finale - trova nei disegni di Cammello la perfetta sublimazione di quel forte senso di disagio che pervade ogni singola vignetta: un montaggio della tavola serrato e claustrofobico, unito alla scelta di giocare con inquadrature ardite, che lascia trasparire le grande potenzialità di un autore da tenere d'occhio.