DK - Seconda Stagione 1: Post mortem - Terrorismo, la recensione
Abbiamo recensito per voi il primo numero della seconda stagione di DK, opera di Gomboli, Faraci e Palumbo
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Anche il secondo atto è stato organizzato in una tetrade di pubblicazioni mensili, formato all'americana ma foliazione più snella: 64 pagine ovviamente a colori con due (e non tre) episodi inediti a spillato. Squadra che vince non si cambia: il team creativo vede ancora Mario Gomboli al soggetto, Tito Faraci alla sceneggiatura e Giuseppe Palumbo ai disegni in sostituzione di Matteo Buffagni (impegnato alle copertine), mentre i colori sono di Enrico Pierpaoli.
Nell'altro racconto, Terrorismo, riappaiono sulla scena i Giustizieri, la potentissima organizzazione segreta che intende eliminare ogni individuo ritenuto pericoloso per la società. Come ricorderà chi ha seguito la prima stagione, DK ne è divenuto il peggior nemico dopo aver rifiutato l'affiliazione; ora conosce l'ubicazione di molti depositi di armi e ricchezze dei Giustizieri, ma ha deciso di colpirli in una maniera decisamente anomala per un ladro di professione.
DK è un personaggio più variegato di Diabolik, ma anche più fragile. Analogo per complessità e parimenti suggestivo - come quello tra il personaggio originale e Ginko - è il rapporto intessuto con il suo antagonista, l'Ispettore. I Giustizieri, infine, aggiungono un'efficace componente di imprevedibilità che tende a mancare nelle dinamiche di Diabolik.
I dubbi che avevamo sollevato in principio sembrano sciolti: il nuovo prodotto di Astorina è un'opera che ormai ha preso il largo, pienamente moderna e contemporanea, intrigante e fresca come i fumetti americani a cui si ispira. Editorialmente parlando, DK merita di stare a fianco del fratello maggiore, determinandosi come qualcosa di diverso ma altrettanto valido: un lavoro di qualità che si apprezza dalla copertina al ricco apparato editoriale, dalla libertà espressiva delle tavole alla classe del tratto di Palumbo, dalla solidità della trama di Gomboli all'energia delle sequenze sceneggiate da Faraci.