Sharaz-de: Le Mille e una Notte, la recensione
Sharaz-de: Le Mille e una Notte è un volume perfetto per scoprire l'arte di Sergio Toppi
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Nella sua inimitabile e signorile modestia, Sergio Bonelli amava ricordare che, durante una qualsiasi manifestazione di settore all'estero, per farsi riconoscere, attirare l'interesse e la stima degli interlocutori gli bastava dichiarare: “Sono l'editore di Sergio Toppi”.
Lo splendido volume di NPE è impreziosito da un'introduzione di Matteo Stefanelli e - in postfazione - da un'intervista all'autore di Mariangela Rado. Si tratta di un prodotto perfetto per approcciare l'arte e la creatività dirompente del Maestro, nonché comprendere e abbracciare la sua passione per la narrazione, il suo piacere per il disegno.
La vicenda, com'è noto, riferisce di due fratelli, entrambi re, uniti da un forte legame familiare e purtroppo dalla stessa triste sorte: quella di venire traditi dalle rispettive consorti. Ma Shahriyar, il più fiero e orgoglioso, non solo fa giustiziare la moglie e il suo amante; accecato dall'ira e dalla vendetta emana un'imposizione terribile al suo popolo: ogni notte gli verrà consegnata nella propria camera da letto una donna diversa che all'alba verrà poi decapitata. Sharaz-de si offre come vittima di sua spontanea volontà con l'intento di fermare il massacro di fanciulle innocenti; ci riuscirà e si salverà intessendo una serie di racconti nel racconto che incuriosiranno e incanteranno il sovrano, gli faranno posticipare di volta in volta l'esecuzione, ormai innamorato di lei e delle sue favole.
I brani scelti da Toppi sono insegnamenti morali ed etici particolarmente suggestivi e inclini alla riflessione: in Falco, falco amico, Ti guarirò, signore o La pietra emerge l'ingratitudine verso coloro che si sono dimostrati fedeli, ripagati con tutt'altra moneta; Ho atteso mille anni e Non pronuncerai quel nome sono rispettivamente un inno all'astuzia e un monito alla dabbenaggine; tra le pagine di Il tesoro di Yazid, l'invidia e la brama di possedere si risolvono in tutta la loro pochezza, mentre in Dimmi perché signore la sete del sapere spinge alla follia.
A qualcuno potrebbe sembrare semplice fare qualcosa di buon livello arrangiando un materiale tanto ricco e potente come quello di Le mille e una notte, ma la fusione e l'immedesimazione con l'essenza di quelle fiabe può venire solo da un genio artistico assoluto. Emozionato e influenzato dall'Edipo Re di Pierpaolo Pasolini, Toppi decide di ambientare le storie in un luogo indefinito, sospeso nel tempo e nello spazio, soluzione che ne esalta l'elemento immaginario. Per poter realizzare questa intuizione occorre un concetto diverso di tavola, non più orizzontale ma verticale e continua. Così la sequenzialità diventa profondità e il lettore non è più spettatore ma partecipe della scena; gli viene offerta la facoltà di dettarne i ritmi, di rallentare o accelerare l'azione.
La forza immaginifica di Toppi trabocca dai suoi soggetti, tutti desunti, estrapolati dalla realtà; perfino l'aspetto dei demoni e dei mostri sottende a volti e animali reali. Eppure la loro collocazione geometrica nella pagina, la loro particolare espressione, le loro dimensioni inconsuete o l'aggiunta di un piccolo dettaglio li trasformano in icone fantastiche, chimere terrificanti. La completa padronanza del bianco e del nero così come del colore, della luce e dell'ombra, producono un'esperienza estetica unica e amplificano il messaggio più intimo e poetico di Le Mille e una Notte: la letteratura come baluardo e antidoto contro la morte.
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