Zombieland – Doppio colpo è più per loro che per noi
Zombieland – Doppio colpo è un sequel che sembra fatto prima di tutto per far riunire un gruppo di amici, e solo in secondo luogo per intrattenere il pubblico
Chiediamo innanzitutto scusa per il titolo vagamente criptico: questioni di spazio ci hanno impedito di intitolare il pezzo nella forma estesa che avevamo in mente, e cioè “Zombieland – Doppio colpo è un film pensato più per chi l’ha scritto, girato e recitato che per il pubblico” – “loro” fa riferimento quindi a Ruben Fleischer, Rhett Reese, Paul Wernick e all’intero cast, mentre “noi” siamo, be’, noi che l’abbiamo visto e abbiamo pensato a più riprese “carino, ma potreste coinvolgerci un po’ nel vostro giochino invece di farci sentire esclusi”. Non ce la sentiamo neanche di prendercela troppo con i diretti interessati: è chiaro che quella di Zombieland è una famiglia unita e che si diverte a lavorare insieme. Lo era ai tempi del primo film e lo è doppiamente guardando Doppio colpo, un film nel quale le battute, le citazioni più o meno colte, i rapporti tra personaggi e l’interazione tra i membri del cast è più importante di altri elementi chiaramente secondari: trama, archi narrativi, ritmo, sequenze d’azione…
C’è un motivo molto semplice se Doppio colpo è così com’è: prima ancora che Benvenuti a Zombieland arrivasse in sala, tutto il team produttivo, dalla coppia di sceneggiatori al regista al cast, era già d’accordo per girarne un sequel, e le interviste dell’epoca lo dimostrano ampiamente. Secondo Paul Wernick, uno dei due sceneggiatori, “Woody (Harrelson, nda) è venuto da noi dopo l’ultimo ciak e ci ha abbracciato, e ci ha detto ‘prima d’ora non ho mai voluto fare un sequel di nessuno dei miei film’”, a dimostrazione che su quel set dev’essersi creato un clima speciale e che Harrelson, Jesse Eisenberg, Emma Stone e Abigail Breslin si sono affezionati ai loro personaggi al punto da accettare di tornare a interpretarli anche prima di sapere di che cosa avrebbe parlato il sequel.
Sono tutti ingredienti che in un altro film con altre ambizioni avrebbero potuto contribuire a una storia se non originale quanto meno particolarmente tesa e coinvolgente; gli zombi Metal Gear e gli zombi semi-immortali alla Nemesis sono due elementi che da soli potrebbero reggere infinite scene horror, o splatter, persino slapstick. Il punto è che nessuno, né i due sceneggiaatori né Ruben Fleischer, sembra particolarmente interessato ad approfondire questo aspetto della storia: gli zombi in Zombieland – Doppio colpo sono ormai un retropensiero, un fastidio che persiste ma che è ormai poco più che un ostacolo tra un bisticcio domestico e una crisi adolescenziale. Volendo potreste leggerla come una scelta narrativa consapevole, un modo per mostrare che pochi anni dopo l’apocalisse l’umanità è tornata a essere quello che era sempre stata e a fare quello che aveva sempre fatto.
Ma è chiaro che non è così, e il motivo per cui c’è così tanta attenzione ai rapporti tra personaggi e pochissima al contorno è che i quattro si divertono un sacco a interpretarli, e se c’è da rinunciare a un inseguimento o una sparatoria in favore di un momento di intimità lo si fa con grande gioia. Doppio colpo è, molto più di quanto lo fosse il film precedente, la storia di una famiglia (nel senso fast&furious del termine) che deve riscoprire il piacere di stare insieme anche dopo la fine del mondo, e nonostante i primi scricchiolii. Vedetela così: se Benvenuti a Zombieland era la prima cotta (quella di Columbus per Wichita, ma anche Tallahassee che realizza che vuole essere come un padre per Little Rock), Zombieland – Doppio colpo è la prima storia d’amore, quella che sembra debba durare per sempre finché non collassa alla prima crisi, salvo poi tornare più forte di prima come in ogni commedia romantica che si rispetti.
Reese, Wernick e Fleischer provano a movimentare un po’ le cose, a inserire elementi di disturbo che distraggano dal fatto che Doppio colpo è fondamentalmente un film su due sorelle che si ribellano al padre/fidanzato e vanno in cerca della loro indipendenza salvo tornare sui loro passi quando realizzano che non possono vivere senza di loro. Ma anche qui, sono tutti elementi umani, che hanno infinitamente più importanza dei nuovi zombi superveloci che seguono la preda anche in capo al mondo (una caratteristica presentata come fondamentale e che tornerà utile esattamente zero volte nel corso del film). Woody Harrelson guadagna un love interest, un deus ex grossa machina con la faccia di Rosario Dawson e un cartello al collo che dice “tornerò nel terzo, se ce lo fate fare”. Anche Abigail Breslin ha la sua prima esperienza sentimentale, dalla quale esce con un pugno di mosche e un grande amore per la marijuana. E ovviamente c’è la terza incomoda, la povera Zoey Deutch, costretta a interpretare il ruolo della bionda scema che esiste solo per mettere un po’ di pepe tra Emma Stone e Jesse Eisenberg, e per dimostrare che la prima è una creatura magnifica e il secondo un adorabile cretino (lo ribadisce costantemente anche Woody Harrelson, quindi possiamo scriverlo).
Di fronte a tutto questo materiale da rom com è normale che gli zombi finiscano un (bel) po’ sullo sfondo; che esistano per giustificare il fatto che queste quattro persone sono sempre in movimento e girano armate, ma che potrebbero essere sostituiti con qualsiasi altra minaccia più o meno soprannaturale senza cambiare di una virgola il senso del film. Zombieland potrebbe essere Vampireland, Alienland, Madmaxland o Mutatedgorillasland: non cambierebbe nulla, e il cuore del film sarebbe sempre il fatto che Wichita e Little Rock si sentono oppresse dai rispettivi maschi di riferimento, e che ormai far saltare teste di fu esseri umani è una fastidiosa abitudine quotidiana e non un momento shockante. Sarebbe bello che il probabile (o inevitabile?) terzo capitolo tornasse un po’ sui suoi passi e abbassasse il volume del meta- e del c.d. “lato umano” per spingere un po’ di più su quello legato alla presenza dei morti viventi; ma visto quanto si sono chiaramente divertiti tutti quanti a girare Zombieland – Doppio colpo dubitiamo che andrà così.