ZeroZeroZero usa Gomorra come trampolino di lancio verso un mondo più ampio

ZeroZeroZero usa Gomorra come trampolino di lancio per diventare una vera e propria "world series" - in arrivo il 14 febbraio su Sky

Critico e giornalista cinematografico


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ZeroZeroZero, tratta dal romanzo di Roberto Saviano, arriva su Sky Atlantic e Now Tv il 14 febbraio - scopri di più

Dovrebbe riempire d’orgoglio il fatto che ZeroZeroZero sia una produzione italiana. Assieme a Sense8 è uno dei primi tentativi di world-series, cioè di produzione televisiva che parte da uno o più luoghi ma mira a raccontare le connessioni e i rapporti di forza del nostro mondo. L’interesse smaccato, ovviamente, è per la parte occidentale ma non mancano connessioni con altri continenti.

Un’idea molto più avanzata di quella più in voga e commercialmente forte sbandierata da Netflix (e anticipata, in realtà, da serie come Romanzo Criminale), quella dei prodotti molto locali che proprio per questo, per il loro essere così specifici, hanno un grande appeal per un pubblico mondiale.

E certo: dentro ZeroZeroZero c’è Gomorra. È vero.

È come se l’avesse mangiata e la stesse digerendo. Come se fosse stata parte dell’alimentazione con cui è cresciuta ZeroZeroZero. La verità è semplice: il team creativo è lo stesso, c’è la paternità del libro di Saviano, Fasoli e Ravagli in scrittura (con in più Mauricio Katz, Max Hurwitz e Stefano Bises), fino all’occhio di Sollima e poi su su alla produzione di Cattleya. Ognuno con una mano molto precisa, coerente e dotato di proprie ossessioni e tratti distintivi. Normale che ci sia parentela.

ZeroZeroZero, però, usa Gomorra come trampolino di lancio, di non si accontenta di quella saga famigliare a tratti shakespeariana e proietta il discorso iniziato a Scampia su un telone mondiale.

ZeroZeroZero - Episodio 2

È l’approccio creativo a dare l’impressione di vicinanza. Ci sono le famiglie criminali (ma ci sembrano meno “famiglie” e più clan in lotta) e ci sono le famiglie imprenditoriali con le mani in pasta nel traffico di droga (non sono tuttavia spietate come i trafficanti, sono alto borghesi con un po’ più di pelo sullo stomaco della media), c’è ovviamente la lotta per il controllo del potere che passa attraverso il comando nel crimine ma non è più la terra di nessuno, è semmai molto più uno scenario in cui la legge va accarezzata, conosciuta e usata come arma. Soprattutto c’è quella capacità - che non ha nessun altro - di raccattare trovate e snodi narrativi dalla vera cronaca, quindi dalla realtà, attingendo da un bacino di situazioni e dettagli che non appartengono al genere, non appartengono alla tradizione, non appartengono al reame di ciò che inventiamo, ma sono molto più clamorose. Trovate di scrittura che Sollima poi mette in scena con un misto di concretezza e lampi di spettacolarità iperrealista. Come un documentario messo in scena da un grande regista.

Del resto anche i personaggi di Gomorra e ZeroZeroZero possono avere un sapore simile a un primo assaggio perché contengono gli stessi ingredienti (finzione e verità) e hanno una provenienza comune (il nostro mondo invece di quello dei racconti audiovisivi).

È a partire da quello che iniziamo a riconoscere una mano comune, ma le due serie non potrebbero essere più diverse. La sensazione di parentela dura il tempo delle prime puntate, e già dalla terza inizia a perdersi. La personalità di ZeroZeroZero è internazionale e non locale, se infatti Gomorra era il trionfo di un quartiere, questa è un’ode quasi da Guillermo Arriaga al mondo interconnesso, una storia di proporzioni immense in cui raramente vediamo due volte la stessa location, in cui si passa in Senegal (trovando anche lì dettagli, posti e svolgimenti pazzeschi), in cui c’è un’avventura incredibile su una nave cargo in mezzo all’oceano, e poi torniamo nei grattacieli e nelle strade.

ZeroZeroZero è una serie apolide che cerca di non appartenere a nessunoAnche per questo produttivamente è un passo avanti clamoroso, uno dall’ambizione anche superiore a quella della serialità americana: abbracciare il mondo in un’avvolgente storia che non usa luoghi esotici come fuoriuscite (che sarebbe il modello 007, "cinema turistico") ma che le diverse location le vive, le richiede per i suoi snodi narrativi e il percorso del suo pacchetto di droga. ZeroZeroZero è una serie apolide che cerca di non appartenere a nessuno, che ha tre lingue ufficiali (quelle parlate dai personaggi) ma ben più idiomi presenti nei vari episodi e molte più location di quelle di partenza. In questo senso, di nuovo, una world series.

Gomorra è un racconto eterno: cambiati certi dettagli potrebbe essere la storia della successione di Giulio Cesare. ZeroZeroZero è un racconto possibile solo nei nostri tempi, quelli in cui il mercato globale rende ogni paese del mondo una provincia di una piccola nazione, terra di conquista per calabresi, terreno di caccia per paramilitari corrotti messicani e area di business per una famiglia benestante senza scrupoli.

Superata l’impressione iniziale è evidente che il ragazzo interpretato da Dane DeHaan ha caratteristiche drammaturgiche impossibili in Gomorra (è l’ode della debolezza, non della forza), che sua sorella, così dura, ha con lui un rapporto che era inesplorato nella serie precedente, di una tenerezza bandita a Scampia.

I tre poli della trama dislocati in America, Calabria e Messico, tutti intenti a lavorare intorno alla medesima partita di droga, raccontano tre storie molto differenti (quella di Gomorra invece era sempre la medesima storia, una generazione che vuole prendere il posto di un’altra), storie di inadeguatezza e persone quasi ordinarie in situazioni estreme, storie di malavita classica e poi (ecco la digestione di Gomorra) di nuove generazioni che cercano di cambiare un mondo del crimine che esiste da prima di loro.

Sarebbe stato facile rifare Gomorra in diversi paesi, invece il team di Cattleya ha deciso di applicare quello sguardo così documentato, così reale e quindi così folle (si vedano le tecniche di tortura raccontate), quel pazzesco understatement di Sollima nel girare l’azione e la violenza, alla narrazione delle conseguenze delle nostre azioni.

Non lo dice nessuno nella serie (sono troppo svegli per fare quest’errore) ma i veri mandanti di questa storia sono più che mai i consumatori, perché non si tratta dei patemi di una famiglia mafiosa o di una zona controllata dal crimine organizzato, ma proprio di come la droga arrivi sui tavolini di vetro di Milano o di New York, su cosa metta in moto il benessere spinto, cosa richieda quel lusso.

Paradossalmente è una storia che potrebbe esistere allo stesso modo anche se trattasse di partite di abbigliamento, della maniera in cui la tecnologia è prodotta sottocosto e smerciata nel mondo svicolando dazi e tasse, o ancora del modo in cui il cibo viene coltivato con sprezzo per i diritti umani e principi sanitari e poi viene spacciato per autentico. La droga è il settore più violento (dunque, per una serie, il più appassionante) ma l’interconnessione dei paesi del mondo è la medesima.

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