X-Men - L’inizio è il film più adolescenziale della saga e, per questo, il più sexy
A 10 anni dall'arrivo in sala, X-Men - L’inizio sorprende attraverso i gesti espressione del potere e la carne (anche seducente) dei mutanti
X-Men - L’inizio è per questo il film che maggiormente si sofferma sui gesti dei mutanti come elemento espressivo. Quello che fanno quando usano i poteri, il modo in cui camminano o si nascondono dagli esseri umani, sono tratti distintivi dei personaggi ancora più dei costumi (che qui arrivano solo ben oltre la metà).
Matthew Vaughn invece se la gode al massimo nel mostrare l’aspetto visivo e spettacolare della mutazione. C’è l’adrenalina del cambiamento del corpo (da sempre immagine dell’adolescenza nella saga) e un sottotesto omosessuale che fece sognare molti per un rapporto Xavier - Magneto. In realtà è più facile coglierlo soffermandosi sull’opposto, ovvero l’omofobia. Quando Hank viene costretto a rivelare la sua mutazione è molto simile ad un outing (la dichiarazione del proprio orientamento sessuale senza che il diretto interessato ne abbia dato il consenso) e di esempi simili ce ne sono parecchi nel film.
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Quindi in X-Men - L’inizio la filosofia del “super” è ribaltata rispetto alla lettura che va per la maggiore nel genere. Normalmente non sono i poteri a definire il personaggio, ma è lo stato interiore dell’eroe a generare le abilità che verranno usate poi per scopi buoni o cattivi. Si pensi a Spider-Man 2, con Peter che castra la sua controparte arrampicamuri. O anche Batman, che prima di essere il crociato di Gotham è Bruce Wayne che investe risorse e tecnologie per combattere il crimine. Ancora, Steve Rogers è Captain America perché è un puro di cuore. Abbiamo visto in The Falcon and the Winter Soldier cosa succede quando si presenta lo scenario contrario.
Ecco, in X-Men - L’inizio non è così. I ragazzi sono i loro poteri. Sono il loro corpo che si esprime in maniera inscindibile dalla vita. Anzi, gli anni trascorsi fuori dalla scuola per mutanti, sono emanazione diretta dei loro poteri. Xavier non è isolato perché è timido, ma perché è un telepate. Mystica non è una mutaforma perché non sa trovare se stessa. Non riesce a decidere da che parte stare proprio perché è nella sua natura adattarsi.
Questa coraggiosissima intuizione porta a conclusioni talvolta pessimistiche: si può cambiare davvero chi siamo?
Però per restarne fedele il regista adatta a questa idea il modo in cui riprende i mutanti. Con così tanti personaggi da introdurre il film corre spedito e riesce a sintetizzare in poche inquadrature personalità e poteri. Trova la brevità proprio nei movimenti del corpo.
Quando Xavier si porta la mano alla testa sta usando la telepatia in modo attivo, quando la rivolge all’interlocutore sta sfruttando il suo dono per difendersi. James McAvoy lo fa benissimo. Così anche Michael Fassbender. Un po’ meno il cast di contorno che non sempre è credibile. Nonostante qualche incertezza nella storia, quando il gesto sostituisce le parole il film mostra una grande maturità.
C’è chi, come Magneto, conosce le sue doti da tempo, convive bene con esse, e quindi i suoi movimenti sono rapidi, sicuri, ritmati. I più giovani invece sono goffi. Impareranno a usarli nella lunga sequenza di allenamento attorno a cui si regge tutto il film. È infatti attraverso quel montaggio che gli effetti delle mutazioni smettono di essere un numero di magia “freak” e diventano a uno strumento di lavoro che fa pare del corpo proprio come il pollice opponibile.
Mentre gli X-Men si allenano prende forma anche la scuola per giovani mutanti. Loro tirano fuori la propria natura in quel luogo, sormontato da Cerebro, l’estensione della mente di Xavier. È logico che avvenga lì. In un film così legato ai gesti fisici - e che cerca il realismo nella fantasia - crea una sfera protettiva dove i ragazzi e le ragazze possono esprimere la propria creatività (intesa in questo caso come le piene potenzialità dei loro superpoteri). Come se fossero in una grande manifestazione fisica del cervello di Xavier. La casa dove è cresciuto, le stanze dove allena e l’occhio con cui cerca gli allievi.
Un gesto. Quello di Hank che si toglie le scarpe e mostra la sua deformità agli altri. Una reazione. Lo scienziato è stupito, i suoi simili non gli rispondono con orrore, ma con ammirazione.
Un altro gesto: Emma Frost usa i suoi poteri psichici. L’inquadratura fa uno zoom violentissimo sui suoi occhi e si sente un suono stridulo. Una variazione: quando Sebastian Shaw respinge il tentativo di entrare nei suoi pensieri indossando il casco il sound design suggerisce il rumore di un oggetto metallico e appuntito che graffia, ma non scalfisce, una superficie dello stesso materiale. Con i suoni e le inquadrature la regia ci mostra che la sua telepatia ha una forma acuta e appuntita. Quella di Xavier è chiaramente più tondeggiante e fumosa, per come avvolge delicatamente.
X-Men - L’inizio è oggi un film molto distante dalla corrente che ha preso il genere. Anzi, è quasi opposto. È carnale, ma non violento. Inserisce i mutanti nella storia, ma non cambia (troppo) quest’ultima. Lavora con un budget drammaticamente inferiore rispetto a quello di cui avrebbe avuto bisogno. Lancia una nuova saga senza pianificarla.
Però a 10 anni dalla sua uscita in sala ancora affascina per quel modo di raccontare l’eccitazione della diversità senza effetti pirotecnici, ma solo con una mano che si porta alla tempia e un pugno chiuso da un dolore così forte che piega anche il metallo.