World War Z si meritava di meglio

World War Z è lo zombie movie che ha incassato di più nella storia del cinema, eppure con qualche problema in meno sarebbe potuto diventare un classico

Condividi
World War Z va in onda questa sera alle 21:20 su Italia 1

World War Z si meritava di meglio. Può sembrare strano dirlo di un’opera che ha incassato più di mezzo miliardo di dollari ed è diventata il film di zombie con il maggior successo al botteghino di sempre; eppure se non fosse stato piagato da ritardi, cambiamenti di rotta, riscritture, tutto quello che solitamente si riassume in “produzione travagliata” insomma, sarebbe potuto diventare non solo un prodotto di enorme successo commerciale ma anche un classico. Invece quello che ci è rimasto è un film che, come i morti viventi di cui parla, si decompone a vista d’occhio con il passare dei minuti e arriva al traguardo perdendo pezzi per strada e strisciando sui gomiti.

Elizombie

LEGGI: World War Z, Mireille Enos sul sequel mai realizzato: “È un peccato”

LEGGI: World War Z: Max Brooks sul libro che aveva “previsto” una crisi come quella del Coronavirus

World War Z e le origini cartacee

Max Brooks, il figlio di Mel, è un tizio appassionato di morti viventi, argomento che trattò la prima volta nel suo Manuale per sopravvivere agli zombie (che è esattamente quello che sembra dal titolo) e che riprese in World War Z – La guerra mondiale degli zombie, una oral history ispirata alle opere di Studs Terkel che è la cronaca di un’invasione zombie su scala mondiale raccontata ex-post, quando i morti viventi sono ormai stati contenuti. World War Z è una raccolta di aneddoti dai quattro angoli del mondo, senza veri personaggi o un fil rouge diverso da “eccovi la cronaca di chi è sopravvissuto all’apocalisse”: un materiale fortissimo, ma che sembra più adatto a diventare una serie TV antologica che un film di due ore con un protagonista e un arco narrativo unico e coerente.

Quest’ultima considerazione non impedì a Brad Pitt e alla sua Plan B Entertainment di accaparrarsi i diritti per un adattamento cinematografico nel 2007, e di coinvolgere J. Michael Straczynski (il creatore di Babylon 5) e Marc Forster (regista di Finding Neverland e Quantum of Solace) nell’impresa; ne nacque una produzione da incubo, i cui dettagli sono ormai noti ma che si può riassumere così: più andavano avanti le riprese più ci si rendeva conto che il film cominciava bene e finiva nel nulla, e più si provò a sistemare la situazione in corsa riscrivendo scene dopo scene e, alla fine, l’intero terzo atto. Inutile dire che pochissimi film riescono a sopravvivere a un’ordalia del genere, e World War Z non è uno di questi.

Brad Pitt

World War Z e il covid

E dire che World War Z si apre come meglio non si potrebbe: è prima di tutto la storia di Gerry Lane, ex agente delle Nazioni Unite, e della sua famiglia che si trovano nel traffico di Philadelphia quando scoppia l’apocalisse zombie. I primi minuti di World War Z assomigliano tantissimo a quello che scherzosamente temevamo sarebbe diventata l’attuale pandemia: panico, corse disperate, l’orrore di trovarsi di fronte a ex-esseri umani ora mostri sbavanti e carnivori, tutta l’attenzione concentrata sul sopravvivere e sul mettere in salvo le persone care. È un inizio fulminante dove brilla la capacità di Marc Forster di tenere sotto controllo la confusione e di girare scene di guerriglia urbana tutto sommato leggibili, ed è il modo migliore e più classico per cominciare un film di zombie: un assaggio dell’orda, un attimo di respiro, prima di tornare a tuffarsi tra i cadaveri in cerca di una soluzione.

Nel caso di World War Z, la soluzione è la ricerca di un vaccino contro il virus del diventare zombie, nella quale Lane si imbarca armato della sua esperienza sul campo e di un brillante virologo inglese. L’idea è quella che se si riesce a risalire al paziente zero (che si trova da qualche parte in Oriente, non esplicitamente in Cina come nel romanzo) si possano trovare le informazioni necessarie a sviluppare una cura, e questo porta Lane e coloro che occasionalmente lo accompagnano a fare un giro del mondo in molto meno di ottanta giorni, nel quale ogni tappa mostra sempre più chiaramente segni di decadenza e decomposizione.

World War Z muro

Dalla Corea al Galles

La prima tappa è in Corea del Sud, in una base militare americana nella quale il virologo (attenzione al minuscolo spoiler) perde la vita nel modo più cretino che possiate immaginare: l’impressione è che sia uno dei tanti pezzi di storia che sono stati inseriti per essere successivamente sviluppati ma dei quali si è poi deciso di fare a meno man mano che i giorni passavano, le riprese non finivano e il budget lievitava. World War Z è pieno di questi dettagli, di brandelli, di quello che rimane di una riscrittura e si è obbligati a tenere perché ormai le riprese ci sono: Gerusalemme, la tappa successiva, serve quasi solo per introdurre un nuovo personaggio da accompagnare a Brad Pitt (la soldatessa Segan interpretata da Daniella Kertesz), la quale a sua volta ha l’unico scopo di far venire a Brad Pitt l’illuminazione decisiva (aiutato anche, per qualche motivo, da un buffo cagnolino).

È però quando la comitiva arriva in Galles (e anche come ci arriva) che le cose cominciano a precipitare a vista d’occhio: fino a quel momento World War Z infila abbastanza sequenze spettacolari a base di zombie (con un approccio nuovo per il genere, favorito dal budget altissimo, si veda la scena del muro di Gerusalemme) da farsi perdonare una scrittura un po’ sciocca e la presenza di personaggi buttati lì e quasi dimenticati (Tommy, il ragazzo salvato dalla famiglia Lane durante la fuga da Philadelphia). Ma nel momento in cui il film abbandona le scene di massa per tentare la strada dello stealth, la facciata crolla definitivamente – anche a causa di una serie di soluzioni narrative francamente irricevibili, dallo zombie contorsionista nascosto nell’armadietto di un aereo di linea che viene sconfitto con una granata alla rivelazione che gli zombie funzionano come rivelatori di malattie terminali.

Certo, considerato che arrivati a quel punto il terzo atto del film era stato riscritto prima da Damon Lindelof e poi da Drew Goddard, e intere sequenze rigirate in post-produzione, è un miracolo che il film sia uscito in una forma tutto sommato coerente. Ma il risultato finale mostra ancora fin troppo evidenti i segni della sua natura frankensteiniana, da cadavere rianimato, e quello che ci rimane di World War Z è soprattutto un dubbio: come sarebbe potuto essere senza tutti i suoi problemi?

Continua a leggere su BadTaste