"Women Talking - Il diritto di scegliere": la voglia di cambiare le cose in un film più bello da discutere che da vedere
Women Talking è encomiabile per i temi che propone, ma l'enunciazione li rende molto più didascalici e meno efficaci di come meriterebbero
Women Talking - Il diritto di scegliere è un film fatto per essere discusso più che per essere visto. Ha tantissimo da dire e lo fa in maniera rocambolesca come fanno i militanti emozionati quando su un palco prendono il microfono e parlano per la prima volta all’uditorio. C’è una passione coinvolgente, una voglia di cambiare il presente attraverso le storie e, nello specifico, il cinema, che permette all’opera di presentarsi come un importantissimo manifesto. Una sceneggiatura, si perdoni il termine, “necessaria”.
Un cast in missione
La formazione che partecipa a questa partita di sensibilizzazione è incredibile. Il cast vanta nomi come Claire Foy, Jessie Buckley, Rooney Mara, Frances McDormand e Ben Whishaw.
Di positivo c’è che Women Talking riesce ad essere contemporaneamente trattenuto nella violenza che racconta eppure impressionante. Utilizza un registro delicato che non insiste sull’orrore, ma questo è estremamente presente in ogni momento con una durezza che riesce ad essere molto maggiore di quella vista nelle immagini.
Women Talking: donne in conversazione su abusi e stupri
L’ispirazione del libro di Toews furono gli stupri perpetrati ai danni delle donne di una comunità mennonita in Bolivia. Dal 2005 al 2009 hanno subito violenze notturne. Un gruppo di uomini abusava sistematicamente di loro sedandole con uno spray chimico. Gli stupri avvenivano mentre erano prive di coscienza, al risveglio i lividi e le ferite venivano giustificati come “la mano del Signore” che le puniva per i loro peccati. Allo stesso modo le gravidanze che ne risultavano erano miracoli dal cielo. Il più delle volte i sospetti venivano messi a tacere come “frutto della fantasia femminile”, come cita il cartello ad inizio film.
L’adattamento cinematografico è ambientato nel 2010, poco cambia nel complesso. La una comunità mennonita vive in un perenne 1800, fuori dal tempo e dallo spazio crea un’ottima dissonanza nei primi minuti. La modernità entra solo come un’automobile che passa nella strada sterrata lì vicino portando la musica.
Gli uomini sono lontani. Le donne si riuniscono dopo avere scoperto i crimini che hanno subìto. Tre le opzioni: non fare nulla, restare e combattere o andarsene. Fingere di non vedere non è ammissibile, alle donne resta da decidere se partire o cambiare dall’interno la cultura patriarcale e abusiva.
Sarah Polley è così decisa a smuovere le coscienze che avrebbe potuto riprendere il dibattito tutto con sguardi in camera e poco sarebbe cambiato. I personaggi infatti dovrebbero parlare tra di loro, ma in realtà dialogano con noi. Sembrano consapevoli di essere osservati.
Gli spunti sono tanti. Talvolta sembrano troppi: il pacifismo si interseca con il dilemma di come far rispettare i diritti (propri e altrui). La religione è un qualcosa di opprimente, ma c’è il desiderio che questa diventi anche uno strumento di liberazione. Si accenna al tema dell’ identità sessuale e delle identità violate. Più graffiante è lo sguardo che le donne hanno verso i figli maschi. La sofferenza le ha convinte che il mondo maschile sia in qualche modo condannato a ripetere gli stessi errori.
August, che se ne è dovuto andare dalla colonia da piccolo, ha studiato ed è diventato insegnante. È un personaggio poco sviluppato che porta con sé altri stimoli per dibattito: la cultura, l’istruzione e i modelli educativi sono gli attivatori dei sistemi di violenza, e possono anche scardinarli?
Women Talking meritava di essere candidato agli Oscar 2023 e cosa resterà dopo la cerimonia?
L’impressione è che Women Talking abbia preso agli Oscar 2023 il posto di un film silente, uno di quelli che passano in sala senza che ce ne si accorga: Anche io. Il film di Maria Schrader, estremamente valido, parla dello stesso tema e combatte le stesse battaglie. Affronta le violenze e gli abusi di Harvey Weinstein attraverso il giornalismo di inchiesta. Donne (le reporter Jodi Kantor e Megan Twohey) che ascoltano altre donne (le vittime di abusi) e prendono decisioni importanti per cambiare un mondo di uomini.
La differenza è che Anche io è meno impostato, molto più appassionante e altrettanto ben recitato. Avrebbe meritato un riflettore come quello della candidatura a miglior film. Women Talking, che l’ha avuta in dono, rischia però di venire dimenticato una volta terminata la cerimonia. Verrà riposto nella libreria dei film a tema a prendere polvere, in attesa di essere riscoperto durante una rassegna dell’otto marzo.
Trovate tutti gli speciali sui candidati a miglior film agli Oscar 2023 cliccando qui!