Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, un Mago di Oz "intriso di droga" che compie cinquant’anni

Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato con Gene Wilder compie cinquant’anni, durante i quali è invecchiato magnificamente e non è mai stato superato

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Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, cinquant’anni di pura immaginazione

Molte grandi opere cinematografiche nascono da una riflessione articolata, da uno spunto sviluppato e approfondito fino a trasformarlo in una storia, o magari da scambi di opinioni tra giganti della settima arte. Kubrick decise di scrivere 2001: Odissea nello spazio perché era affascinato dalla vita extraterrestre, e andò fino in Sri Lanka per coinvolgere Arthur C. Clarke nel progetto. Apocalypse Now esiste perché George Lucas e Steven Spielberg incoraggiarono John Milius a scrivere un film sul Vietnam. Sulla creazione di Quarto potere è stato detto e scritto di tutto, e David Fincher ci ha direttamente fatto un film. Ci sono casi, però, in cui la scintilla creativa è molto più semplice e normale. Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato di Mel Stuart, per esempio, che oggi compie cinquant’anni, esiste perché una bambina aveva letto il romanzo di Roald Dahl, e le era piaciuto al punto da chiedere al padre di trasformarlo in un film.

La bambina in questione, Madeline, di anni dieci, era la figlia dello stesso Stuart (è uno dei tanti aneddoti raccontati in questo bel documentario su Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato). Madeline, che già in tenera età aveva un fiuto per gli affari che avrebbe fatto felice lo stesso Wonka, arrivò addirittura a suggerire al padre di farselo produrre da David Walper, che aveva già prodotto il precedente film di Stuart, una commedia intitolata Se è martedì dev’essere il Belgio. E che decise di stringere un accordo con la Quaker Oats Company, una compagnia produttrice di cibo e dolciumi vari, per creare la bellissima Wonka Bar: Walper avrebbe incassato il denaro necessario alla produzione, e Quaker avrebbe avuto una nuova merendina da vendere. Sistemato dunque l’aspetto produttivo grazie all’iniziativa di una bambina di dieci anni, arrivò il momento di assemblare il film

Willy Wonka

Ovviamente alla regia ci sarebbe stato Mel Stuart, che volle affidare la sceneggiatura a Roald Dahl in persona. Questo speciale del Washington Post spiega bene come andarono le cose: Dahl non scrisse alcuna sceneggiatura, ma si limitò a consegnare una copia del suo romanzo con sottolineate alcune parti. Stuart non la prese benissimo e chiamò David Seltzer, futuro sceneggiatore di The Omen e allora ancora giovane di belle speranze, per chiedergli di sistemarla. Seltzer fece una serie di modifiche che non piacquero a Dahl, e nel frattempo la produzione scelse un attore per il ruolo di Willy Wonka che non era quello che il romanziere avrebbe voluto (cioè Spike Milligan). Una serie di piccole o grandi incomprensioni che portarono Dahl ad abbandonare la nave e a disconoscere il film – una rottura che continuò anche dopo la sua morte: nel 1996 la moglie Felicity ribadì il poco amore del defunto marito per l’opera, e anche il suo.

A proposito di Spike Milligan: con tutto il rispetto possibile, meno male che Walper non ascoltò Dahl e scelse invece Gene Wilder, che al tempo non aveva ancora girato i suoi film più famosi con Mel Brooks e non aveva ancora recitato per Woody Allen. Non era un esordiente, si era già fatto notare in Per favore, non toccate le vecchiette e aveva una lunga esperienza teatrale alle spalle, ma Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato fu la sua prima vera grande occasione di sfondare a certi livelli. E Wilder lo sapeva benissimo, e fece di tutto per rendere il personaggio il più possibile suo: qualche anno fa sono tornate alla luce le lettere che scrisse al tempo a Mel Stuart, con una serie di suggerimenti sul look di Wonka ma anche sulla sua entrata in scena – che effettivamente è stata girata come l’aveva immaginata l’attore.

Wilder, tra l’altro, ottenne il ruolo battendo la concorrenza dell’intera squadra dei Monty Python, di Fred Astaire e pure di Peter Sellers, che a quanto pare pregò in ginocchio Mel Stuart per essere scritturato. E non c’è dubbio che la sua interpretazione è una grossa parte del successo di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato: meno forzatamente stravagante della versione Burton/Depp, il suo Wonka è più simile all’archetipo dello scienziato pazzo, come dimostra tra l’altro il monologo durante la terrificante “scena del tunnel”, nel quale Wilder si lancia in una sorta di trailer del suo Fredrick Frankenstein. È più cinico, crudele e privo di empatia della versione moderna (che al contrario si beccava pure un po’ di psicanalisi per umanizzarlo), e più vicino a quella pensata da Dahl.

Discorso che si potrebbe fare peraltro per tutto il film, che ha un’atmosfera sottilmente inquietante (aiutata anche dalle scenografie che stanno in una sorta di limbo tra il coloratissimo e il post-industriale) e anche un uso dell’immagine e del montaggio che ha molto in comune con la scena psichedelica e arriva a sfiorare pure il mondo horror, quantomeno nella sua variante più inquietante e visionaria. Prendete la già citata scena del tunnel, e diteci se vi sembra cinema per bambini:

Fa sorridere guardare questa scena e pensare che uno dei motivi per cui Dahl non apprezzò Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato è che lo trovò troppo zuccheroso e sdolcinato (chissà cos’avrebbe detto della versione di Tim Burton). D’altra parte Dahl era uno scrittore, il che non necessariamente si traduce in competenza cinematografica: un’altra cosa che non apprezzò fu il cambio di focus da Charlie, che nel suo romanzo era il protagonista indiscusso, a Willy Wonka, che è invece il vero centro del film. Posizione comprensibile ma smentita poi dalla prova dei fatti: Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato funzionerebbe anche senza Charlie, che è un generico segnaposto utile per favorire l’immedesimazione del pubblico, ma non starebbe in piedi senza Willy Wonka, che dei due è senza dubbio il personaggio più interessante e sfaccettato.

C’è da dire che Mel Stuart ha un enorme merito: è riuscito a non far filtrare alcuno di questi problemi nel suo film. Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato spesso divaga, ha un ritmo bizzarro per cui il personaggio che dà il nome al film non entra in scena prima di quaranta minuti abbondanti, e ogni tanto sembra chiudersi volutamente in vicoli ciechi narrativi (dai quali peraltro è facile uscire cantando). Ma è un film con un’identità fortissima e che non tradisce mai, un viaggio quasi dantesco in un incubo caramelloso turbocapitalista che è la plastica dimostrazione del detto “il troppo stroppia”.

Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato droga

È un film che non concede nulla alle soluzioni più facili, che si permette anche di essere cattivo con i suoi personaggi (che sono un gruppo di minorenni!) e che non si piega mai all’esigenza della vendibilità, a differenza del suo pluricitato successore. È un grande film, un Mago di Oz intriso di droga che compie cinquant’anni e, come capita spesso con i grandi film, non li dimostra.

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