Watchmen, quindici anni (e tanto Zack Snyder) dopo
Rivisto a quindici anni di distanza, Watchmen è un film che contiene già tutto lo Zack Snyder che verrà, nel bene e nel male
Watchmen uscì nei cinema il 6 marzo 2009
Watchmen e l’innominabile
Il modo migliore per evitare rischi e polemiche parlando di Watchmen è fare come fa da anni uno dei due autori della graphic novel da cui è tratto il film: ignorarlo. Non ignorare del tutto l’opera, ovviamente, ma far finta che non si tratti di un adattamento – malriuscito secondo il 50% del team produttivo – ma di un’opera a sé stante. Niente confronti con la versione a fumetti, niente paragoni che non possono che essere ingenerosi in partenza: Watchmen è, anche più di 300 che era soprattutto una dichiarazione d’intenti estetica, il primo vero manifesto di Snyder e del suo modo di concepire l’arte del racconto per immagini.
Per cui in questo pezzo non troverete paragoni, paralleli, paradossi o paradigmi: immaginate che Watchmen sia solo un film, tratto da nulla e con il quale Alan Moore in particolare non ha mai avuto nulla a che fare. Serve per togliere almeno un primo strato di polemica, perché ci sono ottimi motivi per sostenere che questo film abbia dei problemi in quanto adattamento da un’altra opera, e altrettante ragioni per ritenere invece che certe scelte in particolare siano le migliori possibili e contribuiscano a migliorare un film uscito nel 2009 e che aveva quindi bisogno di aggiornamenti e riletture di certi passaggi più politici. Ecco, alla fine il paragone l’abbiamo fatto, ma dimenticatevelo: da ora in avanti pensate solo a Zack Snyder.
Pensa a Zack, pensa a Zack…
Partiamo da un presupposto: Zack Snyder è un autore, e su questo non ci piove. Ha una visione forte e coerente che ripropone, con tutte le variazioni che servono, in tutte le sue opere; ha i suoi marchi di fabbrica, le sue fisse, un modo preciso di dirigere gli attori. Ha una visione che si allarga oltre al cinema in senso tecnico e arriva a diventare la lente attraverso cui Snyder vede l’arte del racconto in senso più ampio. Ha un’enorme passione per la mitopoiesi e per il modo in cui le storie nascono, crescono, cambiano, evolvono e diventano leggende.
Ha anche le sue idee visive che sono poi quelle che più lo rendono ostico a molta gente. È fissato con la slowmo, per esempio: lo stesso Watchmen durerebbe mezz’ora in meno se andasse tutto a velocità 1x. Ha visto tantissimi film di arti marziali giapponesi e ha imparato a muovere la macchina come loro, ma mixando quel tipo di cinetica con l’approccio più grezzo e caciarone di un Michael Bay (e quindi in origine di un Tony Scott). Vede i colori in un modo che non è sempre digeribile, e ha un senso dell’umorismo spesso discutibile. Ma è un autore, e tutto quanto scritto finora è applicabile con precisione a Watchmen.
Watchmen è un film d’autore
Pensate ai migliori film di Snyder (tra i quali c’è anche Man of Steel e non accettiamo discussioni), o ancora meglio a quelli che ha non solo diretto ma anche inventato e scritto (Sucker Punch, Army of the Dead). Tutto quello che trovate in quei film era già presente in qualche modo in Watchmen. Di più: è riassunto in maniera quasi didascalica negli ormai mitologici titoli di testa del film. Che sono una serie di vignette congelate nel tempo ma montate in maniera più o meno cronologica così che la visione d’insieme racconta una storia senza per questo rinunciare all’unità e completezza della singola scena.
Watchmen è tutto così: deve gestire una storia gigantesca con un gran numero di personaggi e storyline, e tratta quindi la narrazione non come una faccenda lineare e fatta di raccordi e salti logici, ma come una serie di riquadri semi-indipendenti messi in fila secondo la sua visione, anche a costo di andare incontro a scarti di tono netti tra una scena e l’altra. È un film che sembra confusionario nell’incedere ma che dà comunque la sensazione che dietro ci sia un piano più ampio per portare la storia dal punto A al punto B nella maniera più interessante possibile. Che poi non ci riesca sempre è un altro discorso: uno dei difetti di Watchmen è che non tutti i suoi protagonisti sono ugualmente interessanti, e non è un caso se le battute di Rorschach sono diventate proverbiali mentre Patrick Wilson ha continuato imperterrito a interpretare ruoli da “persona meno interessante del mondo”.
Vedetela così: dove Snyder ha un po’ ciccato (casting, direzione degli attori) è dove gli interessava forse di meno lasciare il segno, e ha preferito ridirigere la maggior parte delle sue energie verso altri obiettivi – sequenze d’azione più efficaci, scene di contorno utili ad approfondire il mondo che gira intorno alla squadra protagonista… Anche questo significa fare una scelta autoriale: essere convinti che il proprio film stia in piedi, anche emotivamente, grazie a scene come queste più che a dialoghi o approfondimento psicologico.
L’ultimo discorso da fare riguardo allo snyderismo di Watchmen riguarda la lunghezza: al momento, la versione ufficiale del film dura 3 ore e 35 minuti, comprensivi anche della versione animata (girarla in live action sarebbe costato troppo) di Tales of the Black Freighter; nella sua versione cinematografica non arrivava a tre ore. Il materiale extra aggiunge davvero qualcosa? Sì, nel senso che rende Watchmen un film migliore, ma non ne altera fondamentalmente la natura – non è un caso Justice League, insomma. Semmai, il superamento della soglia dei 180 minuti appesantisce un po’ troppo un’opera che avrebbe beneficiato qui e là persino di qualche taglio, o almeno di uno snellimento di certe scene. Ma tant’è: Zack Snyder è anche questo, e ce lo stava suggerendo già 15 anni fa.
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