Watchmen: cosa non ha capito Zack Snyder e cosa ha intuito Damon Lindelof

Trasporre Watchmen è un'impresa impossibile e non necessaria. Ma c'è un qualcosa che è stato intuito da Damon Lindelof e non da Zack Snyder

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Alan Moore, si sa, non è un tipo facile. Da sempre si è fermamente opposto all’idea di una trasposizione di Watchmen al di fuori del medium del fumetto. Il cinema, si sa, non è un’industria facile. La possibilità di appropriarsi della storia di supereroi che ha definito il genere negli anni a venire ha solleticato per lungo tempo le fantasie degli executive. 

Nel 2009 la storia del Dottor Manhattan e del Gufo Notturno è arrivata tra le mani di Zack Snyder il quale, con riverenza quasi religiosa rispetto al testo originale, l’ha trasposta tavola per tavola, fotogramma per fotogramma. Il risultato è stato uno dei film più divisivi di sempre, amatissimo e odiatissimo. A distanza di anni non ha ancora smesso di fare parlare di sé. 

Nel 2019 un secondo tentativo. Damon Lindelof ha portato sul piccolo schermo la sua personale visione del mondo creato da Moore e Gibbons. Il consenso è stato questa volta (quasi) unanime. La miniserie ha ridato smalto a una mitologia blindata in se stessa, facendo accettare a molti sostenitori l’idea di un’espansione della storia anche al di fuori dei confini della carta stampata. Watchmen ha trionfato agli Emmy 2020 come miglior miniserie, raggiungendo un totale di 11 premi (compresi quelli creativi). 

Eppure, in confronto con l'opera di Snyder, il Watchmen di Lindelof sembra avere capito alcune cose importanti, perdendo però gran parte della passione "carnale" e visiva rispetto alle tavole del fumetto.

Difficile però fare un paragone qualitativo tra i due. Il film di Snyder ha scelto infatti di compiere un’impresa rischiosissima (tradurre un capolavoro del fumetto) nella maniera più sicura (trasponendolo in modo pedissequo). Lindelof invece è riuscito ad evitare questo paragone e conflitto tra i due media, dando vita a una storia originale. Un sequel anche esso molto rispettoso del materiale di partenza. Una scelta che porta con sé lo stimolante compito di espandere un universo in maniera coerente. 

Ma la grande differenza tra i due, che ha sancito la controversia del primo, e il successo del secondo, non è solo, chiaramente, nella storia raccontata, ma nella grammatica visiva adottata.

watchmen comics

Watchmen tra cinema e fumetto

La struttura della graphic novel scelta da Alan Moore è parte integrante del senso della storia. La tavola a fumetti condivide l’essenza di arte sequenziale, come il cinema stesso. Un evento segue a un altro.

Ma se nel cinema non possiamo avere una visione contemporanea, nel fumetto, aprendo una pagina, il colpo d’occhio della rete delle vignette costituisce un significante. Dave Gibbons ha disegnato la storia in una rigida griglia di nove pannelli per pagina. Ogni variazione a questa regola è per il lettore un accento diverso nella lettura. Un inciampo narrativo che crea ritmo e significato. Non potere ricreare questo tipo di visione sequenziale e contemporaneo è già un elemento che si perde nella traduzione in movimento e la indebolisce. 

Watchmen non è solo la sua storia, ma è tutto quello che vi è all’interno. L’opera riflette, negli spazi delle tavole, sulla temporalità. I 12 capitoli, pubblicati a distanza temporale, sono una marcia funebre verso l’apocalisse. Il tempo di lettura, il tempo di attesa del numero successivo (oramai perduto), sono parte dell’esperienza. Snyder lavora bene con il tempo, spesso lo fa troppo suo. Accelerazioni, rallentatori improvvisi, non sono -come spesso viene accusato- elementi di ridondanza visiva. In Watchmen vanno a sostituire quell’ “accento visivo” del ritmo delle tavole. L'enfasi, tipica di Snyder, va a caricare ogni immagine di significato. Tutto è estetizzato, "fumettoso" nel significato più positivo del termine. Un grande omaggio, ma un film traballante.

Damon Lindelof, con la struttura seriale del racconto, ha invece intuito la portata emotiva del tempo trascorso tra un episodio e l’altro. L’attesa di scoprire cosa accadrà. Un elemento narrativo a suo deciso favore. La struttura a capitoli ha donato alla serie una simmetria totalmente figlia della visione di Alan Moore. In questo modo i rimandi visivi tra episodi, le geometrie interne, trovano un significato anche alla luce della grande struttura della “stagione”.

Watchmen

Watchmen è inoltre una grande riflessione sul potere della narrazione dei media. Raccontare questa storia attraverso il fumetto, arte sempre rimasta marginale rispetto alle “armi di distrazione di massa” come la televisione, il cinema, la radio, i giornali negli anni ’80, significava per Moore una ribellione totale. Il linguaggio (all’epoca considerato) più umile si ergeva a j’accuse delle contraddizioni della società.

I racconti del Vascello Nero

Nell’adattamento di Zack Snyder, nonostante venga enunciato, si è perso questo significato. Un film contro il potere della televisione nel muovere le masse è meno efficace di un fumetto, proprio per la natura stessa del media. E ancora, il fumetto attraversava diverse forme. C’è la storia che leggiamo e il metafumetto letto dai personaggi della storia: i racconti del Vascello Nero. E nonostante la versione animata nel film di Snyder sia di pregevole fattura filologica, perde il senso “meta” presente invece nella serie tv. Qui infatti la storia dei Minutemen viene vista dai personaggi sotto forma di serial televisivo. Il mezzo audiovisivo parla di se stesso esattamente come il fumetto parlava del fumetto. Questo è adattare.

Watchmen

Il lavoro di Zack Snyder non è certo tutto da buttare. Ci sono momenti di grande impatto, in cui il progetto e lo stile adottato trovano un senso. È il vincitore filologico, l'atto d'amore reverenziale verso la fonte. Ma non è un caso se a conti fatti i momenti più riusciti siano spesso quelli più distanti dal materiale originale (come i meravigliosi titoli di testa).

È stata questa l’intuizione vincente di Damon Lindelof e l’errore (perdonabile) di Zack Snyder. Watchmen non è una storia, è un linguaggio. Watchmen non è i suoi personaggi, è quello che essi simboleggiano. E non sono le Hallelujah suonate nei momenti di intimità in cielo, o i cambiamenti del finale, a rendere il film un prodotto imperfetto. È la sfiducia nel cinema con cui si è approcciato alla produzione. Incapace di ricreare la potenza di una pagina da sfogliare, il cinema di Snyder si è limitato ad essere un “figlio minore” dell’esperienza di lettura. Sapendo di perdere in partenza ha deciso di non vincere, di venire messo al tappeto nel più elegante dei modi.

Lindelof ha scelto invece la via più furba e la più semplice. Quella di non combattere con l’originale, ma di prendere quel materiale per mano e raccontare la sua storia. Snyder creava un cinecomics iperviolento, in un'epoca di supereroi per famiglie. Lindelof racconta una storia realistica, sporca e incessante, in un periodo in cui il supereroe nell'audiovisivo ha raggiunto la sua maturità. Il primo è un film filologico e reverenziale arrivato nel momento sbagliato, il secondo è un'operazione coraggiosa arrivata nel momento giusto.

Qual è la trasposizione migliore? Resta al gusto di ciascuno deciderlo. Una cosa è certa, in questa partita tra tre forme di racconto c’è un vincitore: Watchmen.

Avete preferito il film o la serie televisiva? Cosa ne pensate del lavoro di Zack Snyder sull’opera di Alan Moore e Dave Gibbons? Fatecelo sapere nei commenti!

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