Watchmen 10 anni esatti fa creava una nuova idea di eroi al cinema

Watchmen ha rappresentato tutto quello che il genere non è diventato e al tempo stesso la matrice dell'universo DC

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Quando Watchmen uscì Anthony Lane, il critico del New Yorker, scrisse che era la demolizione definitiva della striscia a fumetti.
Non era un complimento, si chiedeva (come molti altri si chiesero all’epoca) dove fosse finito lo spirito positivo, lo humour e il divertimento. Perché Watchmen, nonostante venisse dopo Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan, era il primo atto di qualcosa che ancora non conoscevamo. Avevamo appena capito che il cinema dei fumetti poteva ambire ad essere molto più di sequel, ma poteva condividere un universo e fare in sala quel che si faceva da tempo su carta con Iron Man (2008), e questo film arrivava, separato da qualsiasi universo narrativo, con il peso del capolavoro cartaceo che adattava e la necessità di imporsi al mondo del cinema. E lo fece.

Fu odiatissimo e rimane ancora odiato Watchmen, ma ha impostato tutto il look dei cinefumetti non Marvel a seguire. Zack Snyder, poi "showrunner" dell’universo DC, ha creato lì il suo stile scuro e carnale, violento e politicamente schierato, in cui l’eroismo è una questione muscolare che il pubblico deve percepire, in cui i costumi pesano e i pugni fanno malissimo. Se la Marvel apriva le porte all’intrattenimento più smaccato (in certi casi anche più intelligente) e creava azione come una coreografia, in cui la violenza non si percepisce, è leggera e impalpabile, Watchmen fondava il suo opposto logico. Basandosi su una distopia eccellente e cercando di replicare in maniera molto fedele il fumetto (qualcosa che aveva già pagato in 300), Snyder traccia una parabola umana in cui le maschere e i costumi sono ammenicoli ridicoli per piccoli esseri viventi presi in una grande storia che, sono ben consci, potrebbe essere la loro ultima. La morte era, e rimane, un tabù dei cinefumetti, lì era ovunque.

E dire che Watchmen era stato un progetto maledetto per più di 30 anni. La prima ipotesi di un adattamento per il cinema risaliva al 1987, ad opera del produttore-leggenda Joel Silver (con il carattere che aveva c’è da stupirsi non siano uscite accuse di molestie contro di lui). Tre grandi studios se lo sono palleggiato da lì in poi, la Paramount addirittura ci ha speso 7 milioni di dollari senza nemmeno iniziare a lavorarci. La prima versione della sceneggiatura fu proposta a Terry Gilliam, che ad inizio anni ‘90 era sulla cresta dell’onda, poi nell’ordine a David Hayter, Michael Bay (prima che incontrasse i Transformers), Darren Aronofsky, Tim Burton e Paul Greengrass. Nessuno riuscì a farlo partire, nessuno sembrava crederci davvero fino a che la trazione presa dal mondo dei fumetti al cinema e l’incontro con il regista che aveva trasposto con successo l’intrasponibile 300 non cambiò tutto

Gli eroi non hanno poteri (tranne il dr. Manhattan) sono vigilanti, spesso figli di vigilanti, il mondo è quello della guerra fredda, un governo Nixon fantapolitico che ha messo gli eroi fuorilegge. Sporco, immondizia e crimine regnano. Da qui parte una trama che mostrerà violenza sessuale, omicidi, abiezione morale e un finale cambiato rispetto al fumetto ma di segno simile. La sconfitta dei valori che di solito trionfano nei fumetti e la dimostrazione che anche al cinema il fumetto può usare la sua stessa mitologia, i percorsi dei supereroi e le loro convenzioni, per parlare d’altro. Gli eroi come simbolo del peggio del nostro mondo e non del meglio.

Nonostante l’universo DC esistesse già sul grande schermo da molto tempo e nonostante Watchmen non ne faccia parte, lo stesso quel film è stata la fondazione della DC al cinema come la conosciamo oggi. Seguendo la strada tracciata da Il Cavaliere Oscuro gli eroi lavorano ad un livello basso, niente minacce da un altro mondo ma criminali fomentati dalla loro stessa esistenza. “Chi controlla i controllori?” era il mantra del fumetto che al cinema diventa pioggia e il sorriso di Jeffrey Dean Morgan, il Comico.

C’era tuttavia ancora qualcosa che Watchmen riusciva ad incrociare e che i cinefumetti hanno fatto grandissima fatica a replicare (e di fatto non hanno mai davvero replicato), la sua maniera di parlare della nostra storia. Gli X-Men hanno viaggiato nel tempo, Capitan America ha attraversato il ’900, Captain Marvel si muove in anni ‘90 di cartapesta, solo in Watchmen si respira il clima del tempo in cui è ambientato, quella versione marcia della guerra fredda che non è realistica ma restituisce un feel realistico. E sta tutto riassunto in immagini in quell’attacco, che per questo motivo è diventato la parte più nota del film (oltre che quella più autonoma rispetto al fumetto): l’incrocio tra ciò che conosciamo e ciò che è fasullo, la storia americana riletta e celebrata nelle sue peggiori espressioni con in sottofondo il commento del commentatore politico più importante della seconda parte del novecento culturale statunitense: Bob Dylan.

Continua a leggere su BadTaste