Space Jam: volere è volare
Aspettando il ritorno di Space Jam, riviviamo uno dei match più anarchici e agguerriti di sempre: Looney Tunes vs Monstars!
Everybody Get Up, It’s Time to Slam Now
La probabilità che nei sogni dell'infanzia ci sia quello di diventare dei campioni è molto alta, ma tra i desideri di un bambino c’è n'è spesso uno che abbraccia la vita quotidiana: che il proprio padre, trovandolo sveglio in piena notte, si metta ad ascoltare quali sono i suoi sogni per il futuro. E nel mondo patinato di Space Jam, la famiglia funzionale che è pronta a sorriderti se non vai a letto presto è il primo biglietto da visita del film. Tutto ha inizio una notte dell’estate del '73, mentre il giovane Michael si esercita in giardino con un pallone e un canestro. Dopo aver svegliato suo padre, gli rivela quali sono i suoi ambiziosi progetti e mette a segno una sfilza di tiri perfetti. “E dopo tutto questo cosa altro vuoi fare, volare?” chiede divertito il suo vecchio. E’ il momento di un altro, epico, grande canestro: Space Jam, finalmente, può cominciare.
Con l’introduzione di Michael Jordan e Bugs Bunny nei titoli di testa, il giovane pubblico vede immediatamente accostati due mondi capaci di suscitare un tifo da stadio. Nella intro, lunghissima per gli standard attuali, si ripercorrono i traguardi della vita di Jordan in pochi minuti, proprio perché il film prenderà poi una via completamente diversa dal biopic. Naturalmente prodotto dalla Warner, Space Jam vede al centro della vicenda alcuni dei più grandi titani del Basket ai quali una squadra di alieni sottrae il talento di campioni. Gli invasori spaziali si servono delle abilità rubate agli atleti per sconfiggere a una partita di Basket i Looney Tunes e imprigionarli come attrazioni di un parco divertimenti spaziale. Bugs Bunny e soci rispondono alla minaccia rapendo Michael Jordan per avere una chance di vincere il match e restare liberi. Per i piccoli spettatori, spesso in difficoltà nel trasmettere alla propria famiglia il valore spirituale di una passione, il film è l’occasione di avere molto più che un family movie: Space Jam può finalmente dimostrare ai genitori, immersi nella routine di tutti i giorni, che tutto questo è importante. Il fatto che una quantità esorbitante di star dell’NBA abbia preso parte al film è un elemento di orgoglio innanzitutto per il giovane pubblico. E vedere accostati Michael Jordan e Bugs Bunny è un’emozione che va oltre il piacere del crossover: il pubblico si sente parte di un fenomeno globale, celebrato sul grande schermo in un film che è a tratti un gigantesco spot. Prova ne è che il regista, Joe Pitka, ha all’attivo decine di pubblicità del Super Bowl. Eppure, il suo film ha unito i piaceri di andare al cinema, di gustarsi un match e di guardare tutti insieme alcuni dei propri cartoni preferiti. Un allineamento di pianeti niente male. Di fatto, in tempi non sospetti, l’operazione Space Jam è stata un grande esercizio di fan service, in un momento in cui il pubblico era assolutamente ben disposto nei confronti di un prodotto simile.
Ha funzionato? Alla grande, anche perché nel 1996 c’è un concetto del tutto differente di celebrità, legato quasi esclusivamente all’irraggiungibilità di chi è famoso se non attraverso i media tradizionali. Durante la giornata, i fan si chiedevano ancora cosa mai stessero facendo in quel momento i loro eroi, senza avere la possibilità di vedere o commentare il loro ultimo post. Sono anni nei quali l’immaginazione fa da padrona anche nel pensare alla realtà: ognuno, nella sua testa, può ancora costruire la sua univoca e personale idea del proprio idolo, plasmandola su ciò che vuole che rappresenti per se stesso. E Jordan, nel film, incarna proprio questo: è un padre amorevole che ha raggiunto l’apice della propria carriera e che intende, finalmente, onorare la promessa di giocare a baseball fatta a suo padre da bambino. L’operazione di fusione tra entertainment e attualità riesce grazie proprio ai Looney Tunes. La loro presenza nobilita il film ancora prima di cominciare: Space Jam viene infatti prodotto poco tempo dopo i tragici eventi che sconvolsero la famiglia Jordan nel 1993, con il brutale assassinio del padre di Michael da parte di due sbandati. Sconvolto, dopo pochi mesi Jordan annuncia il ritiro dal mondo del basket e inizia una carriera nel baseball, con risultati deludenti e un ulteriore ritiro. Il mondo, intanto, lo celebra come il più grande campione di pallacanestro di tutti i tempi. Se Jordan avesse scelto di trasporre tutto questo in un biopic o in un film dal taglio deliberatamente drammatico, avrebbe corso il rischio di spettacolarizzare il proprio dolore e di mettere in piazza il proprio ego di campione ferito. Con Space Jam, invece, dimostra di aver prestato la propria immagine a un’operazione brillante e leggera che suona come un'ottima risposta alle difficoltà trascorse. Due anni prima, la notizia del grande ritorno nell’NBA del campione ha infatti viaggiato istantaneamente ai quattro angoli del mondo, che ha salutato il suo “I’m back” come un ritorno messianico. E Space Jam è il racconto, orgogliosamente paradossale, di come dietro le quinte sono davvero andate le cose.
Chi ha incastrato Michael Jordan?
L’aspetto più interessante del film è nell’universo umano, non in quello dei cartoni: il nostro mondo è narrato come una gigantesca favola nella quale c’è più spazio per lo stupore che non per l’incredulità. Da buona allegoria dell’America, il mondo di Space Jam non rende tutto semplicemente possibile ma anche facilmente plausibile. Quando Jordan viene risucchiato da una buca di un campo da golf, Bill Murray e Larry Bird se ne vanno a casa concludendo che Michael dev’essersi nascosto da qualche parte; al notiziario dell’ora di pranzo, tutti parlano della scarsa performance di Jordan come giocatore di baseball ma nessuno annuncia che nel pieno del match è apparsa in cielo un’astronave. E’ solo quando Michael si trova davanti a Bugs Bunny, nel mondo dei Looney Tunes, che esclama “Ma tu sei un cartone, non esisti!”. Ma non è che uno stupore di pochi secondi. “Michael, ti sei accorto che i tuoi amici sono cartoni?” chiede Wayne Knight all’asso dell’NBA, “Certo” replica Jordan, “Se va bene a te va bene a me!” è la risposta. Quando sono invece i Looney Tunes a giungere nel nostro mondo, per recuperare gli iconici pantaloncini di Michael, i bambini accettano la loro presenza senza alcuno stupore, perché sanno che la magia esiste.
L’ingresso del mondo dei Looney Tunes è in un gigantesco tunnel sotterraneo che porta in una dimensione alternativa e contemporanea alla nostra, simile alla galleria che conduceva a Cartoonia in Chi Ha Incastrato Roger Rabbit. Proprio per via dell’inarrivabile capolavoro di Zemeckis, che vedeva coesistere umani e cartoni e che aveva un coniglio al centro della storia, il film di Joe Pitka deve prestare massima attenzione a evitare ogni impietosa velleità introspettiva e, soprattutto, deve assumere un tono assolutamente leggero. Per fortuna, Space Jam ha ben chiaro di essere un grande giocattolone mirato a unire sport e spettacolo sotto l’ombrello dell’entertainment, senza alcuna ambizione di rievocare lo spirito di un’epoca o di tingersi dei toni del giallo. E a differenza del film di Zemeckis, in cui l’universo degli umani e quello dei cartoni coesistevano sullo stesso piano, gli umani di Space Jam non hanno idea dell’esistenza del coloratissimo mondo dei Looney Tunes se non attraverso la televisione. Chiaramente fanno eccezione i figli di Michael, che restano perplessi nel vedere un episodio di Will Coyote interrompersi sul più bello: “Fermate il cartone” esclama Porky Pig “Abbiamo un’emergenza, c’è una riunione del sindacato personaggi dei cartoni!”. Capita, durante le invasioni aliene.
L’unico modo di lasciar intravedere agli umani il mondo dei cartoni è, ovviamente, grazie alla magia: “Vedo degli alieni! Piccoli alieni venuti dai confini dell’universo!” esclama una cartomante, ultima spiaggia dei disperati atleti dopo un fiume di cure mediche fallite: “Sono penetrati dentro i vostri corpi, gli serviva il vostro talento per vincere una partita di pallacanestro contro Bugs Bunny!” conclude la maga. Ma è troppo anche per gli ingenui ragazzoni: “Proviamo con l’agopuntura!” esclama incredulo Shawn Bradley. I cartoni, dal canto loro, conoscono il mondo umano ma se ne tengono opportunamente alla larga, limitandosi a guardarne in tv le lezioni di aerobica e riservandogli qualche meritatissima frecciata: “Hai presente tazze, magliette, quaderni e gli altri oggetti venduti con le nostre foto sopra? Tu hai mai visto un soldo per quella roba?” chiede Bugs a Daffy Duck, “Neanche un centesimo, è una vergogna! Dobbiamo cambiare aziende ci stanno derubando!”. Il rapporto tra il geniale coniglio e il papero sbruffone è uno degli aspetti più azzeccati dello script: Daffy non sopporta di essere subalterno a Bugs ma inevitabilmente, ogni volta che tenta di fare di testa sua, ci sono guai alle porte.
Fly Like An Eagle
A metà degli Anni ’90, il pubblico adora le star che si prestano al gioco non soltanto sul campo ma anche nella vita. E da loro ci si aspetta, innanzitutto, tanta ironia. Nella versione italiana, la recitazione dei campioni dell’NBA è fin troppo migliorata dalla nostra scuola di doppiaggio. Gli americani hanno visto i loro atleti migliori recitare e hanno perdonato loro le limitate doti attoriali, apprezzando il loro prestarsi a un’operazione perfetta per celebrare le stagioni della National Basketball Association come dei momenti di unità nazionale. Non a caso i giocatori, prima ancora che campioni di squadre diverse, nel film sono innanzitutto grandi amici. E tra le scene più riuscite c’è sicuramente il girone infernale di test clinici e psichiatrici che gli assi della pallacanestro si ritrovano ad affrontare una volta derubati delle loro abilità sul campo. Due anni dopo, troveremo una sequenza girata e montata in maniera pressoché identica in Armageddon, quando vengono mostrati i disastrosi risultati della squadra di Bruce Willis sottoposta ai test attitudinali della NASA.
Chiaramente, l’ironia funziona meglio nel film con Jordan, perché Space Jam non si limita a celebrare la fama dei campioni ma, indirettamente, offre loro la possibilità di esprimere gratitudine ai piccoli spettatori, che li hanno elevati a modelli di vita oltre lo sport. E' anche per questo che Charles Barkley, Patrick Ewing, Shawn Bradley, Larry Johnson e Muggsy Bogues restano gli elementi più gustosi di cui il film si serve per riportare periodicamente l'azione nel mondo umano, inevitabilmente privo della frizzante presenza dei Looney Tunes. I cinque sono fisicamente molto diversi tra loro, incarnando differenti qualità da spendere sul campo: i Monstars, rubandone il talento, assumono fattezze modellate proprio sulle loro corporature. Rimasti momentaneamente senza lavoro, sviluppano una disperata solidarietà reciproca che li porta a fare squadra anche fuori dal campo. Nell’immagine che il film vuole dare della lega dei professionisti del basket, i bambini vedono nell'NBA una sorta di famiglia allargata nella quale gli atleti, privati delle loro abilità di campioni, ridiventano improvvisamente dei fratelli maggiori.
Il match finale, Looney Tunes vs Monstars, è l’apice di un climax ascendente che non delude le aspettative: il ritmo è alle stelle, si infrangono le regole e c’è spettacolo, tridimensionalità e soprattutto anarchia. Il Basket dei Looney Tunes possiede la fisica impossibile dei cartoni e le regole libertarie del Wacky Race: Will Coyote può piazzare gli ordigni della ACME, Yosemite Sam può sparare agli avversari, Bugs può girare in motocicletta, Taz può dare di matto, Silvestro può usare una canna da pesca per sottrarre i pantaloncini agli avversari, Pepé Le Pew può usare il suo fetore di puzzola e la nonna di Titti può fare la ragazza pompon. E al gioco partecipa con classe un tormentato Bill Murray nel ruolo di se stesso, che alla domanda di Bugs Bunny “Ma lei come è arrivato qui?” ammette di essere amico del produttore Ivan Reitman, che con Ghostbusters lo ha trasformato in un’icona. Completano la giostra le partecipazioni nel cast vocale italiano di un gran numero di nomi celebri del nostro Paese: Giampiero Galeazzi è la voce di Mr. Swackhammer, l’orribile impresario di Moron Mountain e della squadra dei Monstars; Sandro Ciotti è il radiocronista sportivo del match, Simona Ventura è la voce della bella Lola Bunny, al centro delle attenzioni di Bugs; la voce di Marvin il Marziano è di Neri Marcoré, che lo doppierà anche in Looney Tunes: Back in Action di Joe Dante (che riprende l’universo dei personaggi del film ma non ne rappresenta un sequel). La svolta della partita arriva con una rivelazione assolutamente tardiva: nel paese dei Looney Tunes non valgono le regole della nostra fisica. Il nostro corpo può allungarsi, mutare forma e fattezze proprio come quello di un cartone. Nella tradizione di Roger Rabbit, che può liberarsi dalle manette di Eddie Valiant “solo quando fa ridere”, anche i cartoni di Space Jam rivelano a Michael il segreto per vincere il match solo quando è assolutamente indispensabile: mancano appena dieci secondi al termine della partita, e l’ultimo decisivo canestro è possibile solo grazie all’allungarsi del braccio di Michael, che diventando un arto alla Slender Man svela un’elasticità impossibile nel mondo umano.
Si può replicare la formula di Space Jam? A oggi il brillante e coloratissimo film di Pytka è abbastanza un unicum, considerando come il cinema ha spesso portato in scena il basket come elemento di riscatto sociale e in chiave drammatica (da Chi non salta bianco è con Wesley Snipes a He Got Game di Spike Lee, che vede un cameo dello stesso Jordan, o da Ritorno dal nulla con Leonardo DiCaprio fino a Il Sogno di Calvin, con il rapper Bow Wow nei panni di un orfano che entra in possesso di un paio di scarpe appartenute proprio a Jordan). Il nuovo film in arrivo non sarà un remake o un reboot, ma un sequel che vedrà il coinvolgimento di LeBron James, cestista dei Cleveland Cavaliers. Sarà dunque ambientato su una linea narrativa nella quale, verosimilmente, il tempo trascorso dal film del '96 corrisponde a quello trascorso nel film. E' probabile che i Looney Tunes, pur rimanendo la stessa combriccola di canaglie, si siano dati una sonora aggiornata alle tecnologie dell'ultimo ventennio e siano forse finiti a contendersi il primato del maggior numero di follower. A livello di continuità visiva è auspicabile che l'animazione resti quella tradizionale, opportunamente svecchiata e condita da un uso saggio sia di CGI (di cui anche il film del '96 faceva un uso accorto) che di IMAX, per rendere il nuovo match un'esperienza ancora più coinvolgente. Alla regia c’è Justin Lin, dietro la macchina da presa di quattro capitoli di Fast & Furious e dell'imminente Star Trek Beyond. Non potendo esserci una figura assimilabile a ciò che Michael Jordan ha rappresentato per l’NBA e per il mondo, il sequel di Space Jam dovrà reggersi su basi nuove e agganciare due diverse generazioni di pubblico. L'importante è che Sam e Taddeo tornino in stile Vincent Vega e Jules Winnfield.