Virginia è davvero un videogioco, o è qualcos'altro?

Virginia è una produzione di certo diversa da tutti gli altri indie games, rimane da capire se per il bene o per il male

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Virginia non è un gioco.

Non è un videogioco narrativo, non è un videogioco d’esplorazione, non è proprio un gioco. Essere distribuito su Steam o su su Playstation Store non lo rende tale, il fatto di dover premere ogni tanto un pulsante nemmeno. Perché nonostante qualcosa vada fatto dal “giocatore” per mandarlo avanti, non richiede nessuna decisione, solo di premere i pulsanti in sequenza come indicato. Avanzare in un corridoio, girare fino a che non si trova un oggetto con cui interagire, premere il pulsante per interagire, non solo non c’è “abilità” (non tutti i giochi la prevedono) ma non c’è nessuna effettiva partecipazione.
Insomma non è un gioco. Non ci sono nemmeno modi personali per poterlo giocare, non c’è l’esaltazione dell’azione, del gesto, del movimento o della dinamica ludica. Non c’è niente se non un racconto. Virginia è un film. Strano ma è un film.

[caption id="attachment_161209" align="aligncenter" width="600"]Virginia screenshot Virginia - screenshot[/caption]

È un film a tutti gli effetti perché l’accento è tutto sulla storia e le caratteristiche più memorabili del come è narrata non sono soluzioni di giochi (che non c’è!) ma artifici di montaggio, cioè materia da cinema. In questo senso nella grande linea evolutiva della videoludica che lentamente la sta avvicinando al racconto audiovisivo, Virginia è forse un filo più in là del dovuto, è l’estremo massimo raggiungibile. In quante tale, inevitabilmente, non può che essere una delusione.

"Troppo autonomo per essere realmente un gioco, troppo vacuo per essere davvero buona tv o buon cinema, Virginia siede nel mezzo"

Troppo autonomo per essere realmente un gioco, troppo vacuo per essere davvero buona tv o buon cinema, Virginia siede nel mezzo. Con la sua ambientazione pienamente X-Files, i suoi anni ‘90 poligonali stilizzati, la sua narrazione priva di dialoghi e soprattutto i suoi stacchi in asse (quando un taglio di montaggio cambia scena ma oggetti o personaggi inquadrati sono nella medesima posizione) dimostra grandissima inventiva e da subito gli sì vuole bene, perché ha gusto e stile. Peccato non sia un gioco.

La storia dell’agente dell’FBI che deve indagare su una persona scomparsa ma anche sull’altra agente con cui è stata messa in coppia, è una favola morale di dubbi e misteri, di vessazioni, razzismo e profonda provincia, quella dei luoghi pieni d’erba e caverne che paiono fatte apposta per avvistamenti alieni, per volare con la fantasia mentre le cose che vi accadono sono in realtà terribilmente reali. Una favola raccontata con sogni, premonizioni, paure e flashforward ma senza nemmeno un dialogo, cosa che rende apprezzabile lo sforzo ma in ultima analisi posiziona VirTroppo autonomo per essere realmente un gioco, troppo vacuo per essere davvero buona tv o buon cinema, Virginia siede nel mezzoginia nella terra di mezzo di cui si diceva sopra.

[caption id="attachment_161207" align="aligncenter" width="600"]Virginia screenshot Virginia - screenshot[/caption]

Non ci sono dubbi che le atmosfere create sarebbero state ottime per un gioco, uno in cui realmente interagire (come può essere Firewatch, anch’esso basato su una storiella autoconclusiva più evocativa che intrecciata e su un gameplay elementare ma molto presente). Ci sono momenti in cui la storia ci trascina che si elevano sopra la media delle trovate videoludiche, attimi sospesi nella confusione tra sogno e realtà, in cui elementi della veglia tornano negli incubi o in cui dei ricordi infestano i nostri pensieri, che non sono per nulla scontati e di certo encomiabili. È probabile che l’intento di Variable State fosse quello di realizzare un ibrido tra narrazione convenzionale e interazione, coinvolgere il giocatore/spettatore di più facendolo muovere negli spazi. Ma non è così che si crea coinvolgimento, quanto fornendo l’illusione di compiere scelte autonome. Nei videogiochi non si fanno mai davvero delle scelte indipendenti, semmai si ubbidisce ad uno tra i molti possibili sbocchi della storia, ma quei titoli che forniscono l’illusione di dare una piega personale agli eventi sono quelli che più coinvolgono (a meno di non riuscire a fare il contrario, cioè obbligare ad un certo percorso e poi svelarne un terribile esito come insegna Shadow Of The Colossus).

È vero che i videogiochi sono diventati una delle forme audiovisive migliori per raccontare una storia, non ci sono dubbi. Come non ci sono dubbi che se lo sono diventati è perché in maniere complesse riescono a creare una diversa partecipazione alla trama. Le azioni compiute in prima persona in Last of Us, gli scenari da attraversare e le atmosfere di BioShock Infinite o le folgoranti immagini epiche nel gameplay di God of War, sono tutti modi diversi attraverso i quali alcuni videogiochi hanno sfruttato le armi specifiche del mezzo per raccontare una storia, finendo per essere (loro, dei titoli tripla A con poco da sperimentare) degli ibridi più significativi di Virginia.

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