Videogiochi e politica: è davvero solo questione di intrattenimento?

Il rapporto tra videogiochi e politica va oltre le produzioni specificamente costruiti su tale connessione

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L'anno scorso, fece molto discutere la decisione di Nintendo di esprimersi sul tema della politica nei videogiochi, nel contesto di un servizio dedicato all'emergere di tematiche sociali e politiche all'interno del mondo videoludico. Reggie Fils-Aime disse che l'obiettivo di Nintendo è quello di far sorridere e divertire i giocatori, e che lasciavano il campo delle affermazioni e prese di posizione politiche ad altri sviluppatori. L'affermazione sembrò assolutamente superflua ai più: come si può fare politica con giochi in cui un idraulico salta su dei funghi? In realtà, il tema è molto più complesso, e si scontra con i cambiamenti sociali e culturali che abbiamo affrontato nel corso degli ultimi decenni. Vediamo perché.

Se per politica intendiamo i comizi, le elezioni e le campagne elettorali, è chiaro che il videogioco, esattamente come il cinema e gli altri mezzi di comunicazione, non rientra nella categoria. Ma su cosa agisce la politica, oggi? Nel secolo appena passato, le realtà governative del mondo si sono stabilizzate su un modello politico di Stato-nazione, in cui le scelte relative alla gestione delle risorse economiche e delle pratiche sociali venivano delegate a una classe dirigente, scelta dai partiti ed eletta dai cittadini, che legiferava su temi prestabiliti, che difficilmente però entravano in contatto diretto con l'esistenza stessa dell'individuo, con la sua stessa vita. Nel corso del tempo, soprattutto a partite dagli anni '90 in poi, l'evoluzione della scienza e della tecnologia e i cambiamenti dei rapporti tra gli Stati e la globalizzazione ha creato una serie di problematiche prima assenti, e le nuove identificazioni sociali (non più proletario o borghese, ma cittadino e straniero, eterosessuale o LGBTQI+, donna o uomo, ecc.) hanno iniziato a riguardare non più e non solo la classe economica, ma anche e soprattutto le soggettività dell'individuo: essere donna, uomo, nero, bianco, migrante o residente sono diventati strumenti di identificazione sociale tanto quanto l'essere ricchi o poveri. Ciò ha trasformato in rilevanti e politici temi relativi all'individuo prima poco presenti, con la complicità, come detto prima, delle evoluzioni tecnologiche: privacy, aborto, utero in affitto, trasformazioni ed operazioni fisiche, clonazione, assistenza e ospitalità umanitaria, e molto altro ancora. Queste evoluzioni e cambiamento hanno portato gli studiosi a parlare di una nuova politica, la biopolitica (cioè la politica della vita, relativa direttamente all'esistenza stessa dell'essere umano in quanto corpo e individuo).

Se dunque riusciamo a renderci conto di come oggi la politica agisca su queste identificazioni sociali, non possiamo non chiederci cosa costruisca questi modelli di riferimento. Come ogni analisi storica, sociologica e scientifica dimostra, i media (intesi come mezzi di comunicazione a tutto tondo, dai giornali alla moda, e dunque anche i videogiochi) influenzano il nostro modo di percepire ciò che è giusto o sbagliato, ciò che è accettabile e ciò che è anormale, strano, atipico. Sia chiaro: influenzano, non impongono; contribuiscono a creare, non comandano sulla nostra psiche. Come avviene tutto ciò? Michel Foucault, uno dei massimi pensatori del '900, riuscì a schematizzare la realtà proponendo la concettualizzazione dei discorsi: la nostra famiglia, la scuola, il nostro contesto sociale e i media ci influenzano, educano e insegnano in un insieme di frasi, che formano un “discorso” che ci forma come individui. È importante sottolineare ancora una volta che questi elementi non ci obbligano a divenire qualcuno di specifico, ma costruiscono un contesto di significati e modelli a cui possiamo decidere di aderire in forma più o meno assoluta, ma tutto ciò che oggi possiamo osservare e studiare ci suggerisce che queste pressioni siano abbastanza forti: se così non fosse, non potremmo sentirci parte di una società (si pensi alla monogamia). Questi modelli di comportamento originano dalla società e dalla società stessa vengono o protratti, o distrutti, a seconda dei cambiamenti che affrontano. Tra gli elementi che costituiscono la società, ci sono anche i media che quest'ultima usa per comunicare, e quindi anche i videogiochi.

"come può un gioco produrre politica?"Arrivati a questo punto, abbiamo capito che oggi la politica affronta anche e soprattutto temi che riguardano l'identità dell'individuo, non discute solo del cuneo fiscale o della flat tax ma anche di cosa significa essere etero o LGBTQI+, cittadino o straniero, persona o cosa. Abbiamo inoltre appreso che queste categorie vengono formate dalla società, che include anche i media e, quindi, il videogioco. Ma all'atto pratico, come può un gioco produrre politica? E soprattutto, come possono giochi come Rocket League, Fortnite o Splatoon, costruire modelli sociali? Tenendo sempre a mente la “discorsività” di cui sopra, prendiamo questi tre giochi come esempio, analizzandone gli elementi base per cercare di trovare un punto comune. Cosa si fa, di base, in questi giochi? Si sfida qualcuno in una gara, che sia a chi fa più goal, chi sopravvive per ultimo o chi conquista più zone del campo. Le differenze tra questi giochi, se analizzati a fondo, sono abissali: da un lato c'è un individualismo sfrenato, dall'altro estrema necessità di cooperazione; uno premia intelligenza tattica e studio delle mappe, l'altro ricompensa i giocatori più abili e reattivi. Eppure, la natura alla base di queste esperienza è sempre la stessa: prevede una violenza ludica sull'altro per ottenere la vittoria. Ecco, questo è un messaggio politico implicito, voluto o meno dagli sviluppatori, presente in tutti e tre i giochi: non è una richiesta su chi votare e perché, ovviamente, ma si inserisce nel discorso sull'individualismo e la vittoria sull'altro attualmente presente nel mondo occidentale, e aiuta a cementare questo modello sociale. Anche giochi come Journey o FAR: Lone Sails, all'apparenza, sembrano non essere spiccatamente politici: non richiamano contesti sociali odierni, non hanno riferimenti evidenti e chiari al mondo moderno, non citano questo o quel tema. Eppure, nel loro proporre cooperazione e nel mostrare la debolezza dell'individuo da solo contro il mondo, intervengono anche loro, in maniera implicita, nel “discorso” sull'individualismo e vittoria sull'altro di cui sopra, ma da una prospettiva diversa, ossia critica e che mette in crisi quel modello, proponendone un altro.

Journey screenshot

È importante sottolineare come la volontà autoriale (se presente) in questo frangente sia assolutamente ininfluente: i media sono comunicazione, ossia messaggi, e ciò che è importante non è solo quello che intende dire il comunicatore, ma anche e soprattutto il mezzo e i modi con cui lo dice, la loro chiarezza e la loro facilità di comprensione, per non parlare anche di ciò che arriva al ricevente, che in funzione del suo contesto sociale e culturale recepisce ogni messaggio diversamente. Affermare dunque che non sia intenzione o volontà dell'autore dire o esprimere certi messaggi non ha alcun rilievo, sebbene sia ovviamente valido in ottica di analisi del messaggio. Non si tratta neanche di colpe: ciò che è rilevante, in questo contesto, è capire quale sia il messaggio e cercare di comprendere se cementa o smantella un certo modello sociale, e non se chi lo esprime ha una sorta di non meglio specificata colpa.

Esiste dunque il puro intrattenimento, il classico svago pensato per far staccare la spina al nostro cervello? Se si intende sostenere che un gioco, in virtù della sua spensieratezza o distanza da temi seri e politicizzati, sia assolutamente privo di alcun legame con la nostra percezione del mondo e con la realtà politica, si commette un errore: ogni media, leggero o impegnato, influisce sulla nostra costruzione o distruzione di modelli sociali e culturali.

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