Videodrome: la nuova carne siamo noi

Videodrome di David Cronenberg presagiva un futuro di integrazione totale tra schermo e realtà, che con gli anni si è realizzato – grazie alla TV, e non solo

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Videodrome va in onda su Italia 2 questa sera alle 21:15 e in replica domani sera alle 23:05

C’è un motivo se Videodrome, l’ottavo film di David Cronenberg e il primo a venire finanziato da una major americana, costò cinque milioni di dollari e ne incassò poco più di due. Ce ne sono molti, in realtà: Cronenberg non era ancora un autore riconosciuto ma “solo” un talentuoso regista di cinema di genere con la passione per mutilazioni, organi genitali, teste che esplodono e quella sottile linea che separa il sesso dalla violenza, e Videodrome era il suo primo tentativo di esplicitare le sue intenzioni teoriche e collezionare livelli di lettura anche per le scene più semplici e d’impatto – non esattamente la materia più digeribile del mondo. C’è il fatto che il film venne promosso pochissimo e trattato come un horror da visione collettiva e pop-corn, e in quest’ottica venne tagliuzzato e smussato di parecchi spigoli; ma anche semi-addomesticato Videodrome rimase un film troppo estremo per venire apprezzato dal pubblico al quale si provò a venderlo – quello che con “andiamo a vedere un horror” intendeva il terzo capitolo di Venerdì 13, e che solo l’anno prima dell’uscita del film di Cronenberg aveva bocciato un altro futuro classico come La cosa.

Ma più di tutto c’è il fatto che Videodrome (guarda il trailer) presagiva e metteva su pellicola un futuro che al tempo esisteva solo nella testa di filosofi, esperti di comunicazione e scrittori di fantascienza, e che oggi è diventato così tanto la nostra quotidianità che semmai il film di Cronenberg può apparire ingenuo e quasi ottimista.

La storia di Videodrome è quella di un brutto sogno, o di un’allucinazione costante, ed è quindi complicata da riassumere prima di tutto perché è raccontata dal punto di vista della vittima della suddetta allucinazione, e lascia dunque a chi guarda la libertà più o meno totale di scegliere come interpretare quello che sta succedendo – di decidere se sia vero o se esista solo nella testa di Max Renn, e di decidere se questo dettaglio abbia importanza visto che “la televisione è la realtà e la realtà è meno della televisione” come dice il dottor Brian O’Blivion (il personaggio con il nome migliore di sempre), teorico della fusione tra uomo e macchina e una delle bizzarre figure che Max incontra, o forse no, nel corso del suo viaggio, sempre che di viaggio si tratti.

Ci proveremo, almeno a grandi linee.

Max

Max Renn (James Woods: se guardate il suo volto scavato e i suoi zigomi taglienti capirete perché anni dopo Cronenberg si innamorerà cinematograficamente di Viggo Mortensen) è il presidente di una stazione televisiva di Toronto, che si chiama CIVIC-TV e la cui programmazione è composta in larga parte di soft porno e altri contenuti considerati moralmente discutibili. Nel commento al film che trovate nell’edizione Criterion di Videodrome, Cronenberg racconta che l’embrione dell’idea nasce nella sua infanzia, di notte, quando i canali canadesi avevano sospeso la programmazione, la sua TV intercettava segnali provenienti dagli Stati Uniti, e lui viveva nel terrore di capitare su qualcosa di disturbante o perverso. CIVIC-TV è esattamente quello che Cronenberg aveva paura di trovare facendo zapping, ma Renn non è ancora soddisfatto, perché è convinto che là fuori ci sia qualcosa di più, qualcosa che morda e graffi e colpisca duro, più duro del quasi-porno giapponese che gli continua a venire proposto.

Renn ha anche una labile filosofia dietro alla sua scelta di trasmettere solo contenuti, chiamiamoli così, immorali: tutto quello che avviene sulla TV, dice, non succede per strada, e mostrare sesso e violenza 24 ore al giorno è un ottimo modo per distrarre un bel po’ di gente dalla vera violenza. L’occasione della vita gli capita quindi quando il suo pirata di fiducia Harlan, che di mestiere va in cerca di trasmissioni clandestine che stuzzichino i gusti del suo capo, scopre Videodrome, uno show assurdo e senza trama trasmesso, a quanto pare, dalla Malesia e nel quale non si vede altro che una sequenza di torture di ogni tipo inflitte a persone che, almeno pensa Renn, recitano alla perfezione la parte di quelle che stanno soffrendo tantissimo. Renn vuole Videodrome a tutti i costi, e si mette alla ricerca della sorgente del segnale e della produzione dello show.

Nicki

Qui finisce la parte che possiamo raccontarvi con sicurezza, perché, come scopriremo qualche miunto dopo, Videodrome non è quello che sembra; non solo tutta la violenza che si vede è reale (ma questo lo sospettiamo immediatamente anche noi che guardiamo), ma le immagini nascondono un segnale impercettibile e subliminale che ha due effetti su chi lo riceve: causa allucinazioni fortissime, e soprattutto gli fa venire un tumore al cervello grosso come una palla da baseball. Tutto quello che Cronenberg mette in scena dal momento in cui Renn mette per la prima volta gli occhi su Videodrome (compresa la sua storia d'amore con la DJ sadomaso Nicki, interpretata da Debbie Harry) fino alla sequenza finale (inventata da James Woods) diventa quindi un grosso punto di domanda: che cosa succede davvero e che cosa solo nella testa di Renn? Inizialmente, Cronenberg ci inganna e sembra volerla fare facile: le allucinazioni sono spettacolari e vistose, e ogni volta che James Woods comincia/smette di vedere cose il montaggio piazza un taglio netto e lo fa risvegliare altrove, per chiarire ulteriormente che quanto abbiamo appena visto è successo solo nella testa del protagonista. Ma più il delirio sale di volume più aumentano gli elementi che disorientano, finché non cominciano a farlo anche retroattivamente: “davvero quello che abbiamo visto finora è successo?” viene da chiedersi sempre più di frequente nel corso della visione.

Questa confusione è, come direbbe Microsoft di fronte a un bug irrisolvibile di Windows 10, by design, e inestricabilmente legata ai temi del film. Che sono tantissimi, spesso in contraddizione tra loro ma che derivano tutti da un’idea che, racconta sempre Cronenberg, gli venne quando era all’università di Toronto dove insegnava anche Marshall McLuhan – l’idea, cioè, che la televisione, e lo schermo in generale, stessero diventando sempre di più il vero occhio dell’uomo. In questa prospettiva, crolla la differenza tra quello che succede in TV e quello che succede intorno a noi nel mondo fisico, e l’unico modo per integrarsi con il resto dell’umanità è accettare la fusione tra carne e tecnologia, e riconoscere che lo schermo è la nuova realtà. Tutti i personaggi di Videodrome agiscono a partire da questa verità. Lo fa Renn, per il quale trasportare sesso e violenza (il legame tra i due, che è uno dei temi più cari a Cronenberg, richiederebbe un approfondimento a parte) su uno schermo è un modo per “tenere le strade pulite”. Lo fa il dottor O’Blivion, a capo di un’organizzazione benefica che accoglie i cosiddetti “derelitti” (coloro che non hanno accesso a una TV) e prova a reintegrarli nella società sottoponendoli a maratone infinite davanti a uno schermo. E lo fanno anche i creatori di Videodrome, le cui motivazioni potrebbero persino sembrare condivisibili e da un certo punto di vista li rendono i buoni di turno.

Videodrome Nicki

Cronenberg declina tutto questo nel modo che al tempo gli veniva più facile: prendendo metafore e allegorie e rendendole molto reali, anche quando (soprattutto quando) farlo significa spingere il film nei territori del grottesco, del ripugnante e dell’ultraviolento. Per capirci: secondo Cronenberg, il modo migliore per rappresentare l’idea che “il segnale che arriva dalla TV influenza il tuo cervello e la tua percezione della realtà” è aprire una ferita dalla vaga forma vaginiforme sulla pancia di James Woods e inserirci un Betamax; e quindi Videodrome è anche un body horror dall’impatto fortissimo ancora oggi, anche per merito degli effetti speciali del mago Rick Baker, dove con “mago” intendiamo che siamo seriamente convinti che Rick Baker sia dotato di poteri magici e lo dimostra ogni volta che fa deformare una videocassetta o lo schermo di una TV. E siccome parliamo di un film del 1983, vedere l’orrore affidato a vecchi CRT e formati di riproduzione altrettanto obsoleti può quasi far sorridere – noi oggi abbiamo la cloud e i touch screen, e inserirsi una microSD nell’ombelico è decisamente meno spaventoso che farlo con una videocassetta.

Ma il punto è che, uscendo per un attimo dalla lettera del film per scavare nella sua filosofia, il cuore di Videodrome non è nella TV in quanto tale, ma in quanto tecnologia nuova che ci permette di leggere la realtà in un modo diverso e mai fatto prima. E se la TV, appunto, era ancora legata ai suoi limiti (fisici e non solo), oggi che siamo nel 2021 e abbiamo Internet a portata di smartphone in qualsiasi angolo del pianeta la filosofia dietro Videodrome smette di assomigliare alla fantascienza per diventare attualità. Dice Brian O’Blivion che “lo schermo televisivo, ormai, è il vero unico occhio dell'uomo. Ne consegue che lo schermo televisivo fa ormai parte della struttura fisica del cervello umano. Ne consegue che quello che appare sul nostro schermo televisivo emerge come una cruda esperienza per noi che guardiamo. Ne consegue che la televisione è la realtà e che la realtà è meno della televisione”. Ora andate a vedere Videodrome, poi tornate qui, e nella citazione di poco sopra sostituite lo schermo televisivo con quello di uno smartphone, buttateci dentro un po’ di parole-chiave del nostro tempo tipo “social”, “cloud”, “notifiche”, ripensate all'inizio del film quando James Woods viene svegliato da una versione vintage di Siri.

Poi diteci che non è vero che la nuova carne siamo noi.

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