Via da Las Vegas: il film dove Nicolas Cage inventa BoJack Horseman con vent’anni d’anticipo

Via da Las Vegas è una nerissima storia di alcolismo e autodistruzione e probabilmente la più grande prestazione della carriera di Nicolas Cage

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Via da Las Vegas è il nono capitolo del nostro viaggio allucinante nella carriera di Nicolas Cage che abbiamo deciso di intraprendere mentre aspettiamo l’uscita di The Unbearable Weight of Massive Talent. Trovate tutti i capitoli dello speciale a questo link.

Il film.

Tratto da un romanzo semi-autobiografico, Via da Las Vegas è la protesta di Mike Figgis contro i meccanismi produttivi hollywoodiani e i danni che provocano alla gente. È anche una delle più grandi parabole di alcolismo e metodica autodistruzione che siano mai state raccontate, un film di eccessi nel quale Cage sguazza senza un briciolo di ironia, girato come un thriller ma in ultima analisi placido come solo la storia di uno che sta cercando di ammazzarsi lentamente può essere. È il film più famoso di Mike Figgis ma anche per certi versi il film più famoso di Nicolas Cage, perché è quello che gli ha regalato un Oscar come miglior attore protagonista, l’unico della sua carriera.

Il cast.

Gran parte del film è in realtà un tango a due: da un lato c’è Cage, ex sceneggiatore di successo che è piombato nel gorgo  dell’alcolismo e ha perso la famiglia e il lavoro, dall’altro c’è Elisabeth Shue, prostituta che lavora a Las Vegas e che incarna alla perfezione l’archetipo della hooker with a heart of gold. Anche Shue si meritò una nomination all’Oscar per un ruolo storicamente ostico da affrontare senza esagerare, e che lei interpreta come forse nessun’altra nella storia del cinema. Il resto del cast ha particine secondarie che spariscono in breve tempo, avvolte nei fumi dell’alcool che attraversano tutto il film. Segnaliamo una piccola parte per Valeria Golino, la presenza di Richard Lewis, e una lunga serie di cameo che comprendono tra l’altro Julian Lennon, R. Lee Ermey e lo stesso Figgis.

Il regista.

Inglese ma da lungo tempo attivo anche in America, Mike Figgis è un nome che è stato un po’ dimenticato negli ultimi anni: il suo ultimo film, Suspension of Disbelief, una lynchata clamorosa che venne presentata anche al Festival di Roma, risale al 2012. L’apice della sua carriera rimane Via da Las Vegas, uscito peraltro dopo una striscia di altri grandi film, da Affari sporchi (il film che resuscitò tra l’altro la carriera di Richard Gere) al disastroso (al botteghino) Mr. Jones, che venne venduto come commedia divertente quando invece è la storia di un tizio depresso e con tendenze suicide.

Di cosa parla.

La storia è quella di Ben Sanderson, sceneggiatore caduto in disgrazia e che per questo motivo si è dato all’alcool – o forse è il contrario: Ben Sanderson è un alcolista e la sua condizione ha alienato prima sua moglie, poi i colleghi, infine l’intera industria. Ben decide quindi di trasferirsi a Las Vegas e di spendere tutti i suoi ultimi (e abbondanti) risparmi in alcolici, per, parole sue, “ammazzarsi dal bere”. Parole pronunciate a Sera, la prostituta interpretata da Elisabeth Shue, che per qualche motivo viene colpita dal più clamoroso caso di sindrome della crocerossina della storia e si innamora di questo cliente che sembra essere più interessato a bere che a fare sesso con lei.

Nonostante un primo atto che suggerisce la presenza di elementi thriller, in particolare grazie alla figura di Yuri, il datore di lavoro di Sera che abusa di lei e la minaccia di morte se non guadagna abbastanza soldi, Via da Las Vegas non è altro che la storia di come Ben Sanderson riesce a ottenere il risultato al quale puntava fin dall’inizio. Non c’è una vera e propria tensione narrativa, o una struttura classica con un qualche tipo di risoluzione; non ci sono colpi di scena o momenti inaspettati. Semplicemente, Figgis si incolla a questa coppia condannata al fallimento fin dal primo istante e non li molla più fino alla fine; come se avesse preso un impianto da dramedy, avesse tolto tutti i sentimenti positivi e avesse girato quello che rimane: disperazione, una lenta discesa agli Inferi, l’inevitabile deterioramento di un rapporto costruito su un’infatuazione e una cascata di bugie e mezze verità.

E Nicolas Cage che fa?

Inventa BoJack Horseman con vent’anni d’anticipo. Domina la scena: per prepararsi al ruolo Cage andò a Dublino a bere come un cammello per intere settimane, chiedendo a un amico di riprenderlo al suo peggio per potersi poi studiare a mente lucida. Eccede, ovviamente, ma sempre nel pieno rispetto del personaggio che sta interpretando: Ben Sanderson è una persona con istinti suicidi, un desiderio di morte fortissimo, una dipendenza invincibile e una data di scadenza stampata in fronte. Per cui anche quando Cage schiaccia il pulsante dell’overacting lo fa sempre entro il recinto del dramma, consapevole che un tizio ubriaco fradicio al ristorante non è buffo ma profondamente triste.

C’è un motivo se Nic Cage ha vinto l’Oscar per questo ruolo: Via da Las Vegas è forse la dimostrazione perfetta di come usare la sua tendenza all’eccesso e metterla al servizio del film, e non viceversa.

Cage-o-meter: quanto Nicolas Cage c’è in questo film da 1 a 10?

10 e lode con bacio accademico e statuetta dorata.

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