Venticinque anni di Il Silenzio degli Innocenti e ancora nessuno ne ha replicato il vero segreto

Il primo film a rappresentare la violenza dello sguardo maschile sulla donna, il primo a far sentire ogni spettatore violentato solo da un modo di guardare

Critico e giornalista cinematografico


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Venticinque anni fa usciva (in Italia) Il Silenzio degli Innocenti, film che ha segnato quell’annata con cinque oscar nelle cinque categorie principali (uno dei tre film nella storia del cinema ad esserci riuscito), un incasso straordinario e il villain che ha rivisto tutti i villain a seguire, aggiornando una delle figure fondamentali del cinema: l’assassino.
Lecter è diventata una figura archetipa e a quell’idea di raffinato uomo d’intelletto che nasconde una violenza barbara, quella suggestione spaventosa di viscida efferatezza non coperta, ma fomentata da un certo snobismo, si sono ispirati in tantissimi. Tutti però mancando quel che rendeva davvero devastante il film.

C’è moltissimo di convenzionale in questo film che doveva originariamente essere diretto ed interpretato da Gene Hackman (aveva acquistato i diritti del libro di Harris, soffiandoli proprio a Jodie Foster): dal detective con un passato strano al killer-freak fino ad un’indagine abbastanza prevedibile e in alcuni punti anche un po’ macchinosa. Invece non c’è niente di convenzionale nella maniera in cui Jonathan Demme, regista scelto per l'adattamento con imprevedibile pregnanza, si interessa a Clarice Starling e a come abiti quel mondo, quali siano le sue difficoltà, quale sia l’ambiente in cui è costretta a farsi forza.

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Di certo parlare di Il Silenzio degli Innocenti equivale a parlare di Hannibal Lecter, ma non tanto del personaggio, cioè di un serial killer cannibale dal gran profilo intellettuale, quanto della maniera in cui Demme ha lavorato assieme agli attori per creare un ambiente a lui favorevole e soprattutto delle interazioni in cui questo emerga per quel che vuole il regista.
In altre parole, ciò che di questo film rimane a venticinque anni di distanza e ciò che ha inciso nella storia del cinema, non è l’idea di un personaggio ma la maniera in cui lo utilizza assieme a Jodie Foster per raccontare la violenza che può avere lo sguardo degli uomini sulle donne. È quello che atterrisce, è quello che lavora nel cervello dello spettatore scatenando paure prima sconosciute.

Chi conosce Jonathan Demme sa bene che il suo interesse sono le donne, il loro mondo e la maniera in cui si confrontano con le difficoltà. Era così agli esordi (quando si faceva le ossa con i filmacci di Corman) ed è così ancora oggi (quando fa commedie o drammi con al centro caratteri femminili potenti e imprevedibili). Dunque quel che accadde con Il Silenzio degli Innocenti è che fu data ad un cineasta che si interessa di personaggi femminili una storia in cui il protagonista è un killer, uno che coadiuva a modo suo l’indagine comparendo per meno di mezz’ora in tutto il film, mentre il vero personaggio centrale è un donna sballottata dagli eventi.
A passare alla storia è stato Lecter e non Clarice, eppure se questo è accaduto è proprio per come il film lavora su di lei e non tanto su di lui.

Hannibal Lecter del resto non era nemmeno la novità che sembra. Non solo il killer violentissimo ma che si presenta con una disarmante normalità è una consuetudine (da M, il mostro di Dusseldhorf a Psyco), ma anche questa stessa variazione molto intellettuale era già comparsa in Manhunter, interpretato da Brian Cox, ancora una volta come personaggio “marginale”. In quel caso però l’interesse era stato scarso, tanto che De Laurentiis, produttore di Manhunter, cedette i diritti per l’uso gratis. Non fu una questione di interprete sbagliato (Cox non era niente male) ma di punti di vista, a Micheal Mann non interessava molto la maniera in cui il detective di William Petersen si relazionava con Lecter (che nel film si chiama Lektor) a Demme invece sì. Molto. Gli interessa come guardi Clarice e come Clarice ne esca traumatizzata senza che ci sia nemmeno contatto fisico. Tutto Il Silenzio degli Innocenti è la storia di una donna di provincia che subisce abusi mentali durante un'indagine che sembra un viaggio nella privazione di dignità. Senza che accada niente di diverso dal solito cinema poliziesco.
Al cinema noi siamo in grado di percepire lo status di un personaggio non tanto per quel che lui dice di sè o per come si atteggi ma per come lo guardano gli altri. Se lo trattano da capo sarà un capo, se lo trattano o lo guardano da scemo potrà atteggiarsi quanto vuole a capo, noi lo percepiremo come uno scemo.

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Il segreto di pulcinella di Il Silenzio degli Innocenti è che mette in scena la potenza insita nella maniera in cui una persona può guardare un’altra, riesce nelle sue interazioni tra Clarice e Hannibal a mettere in scena la violenza della maniera in cui l’uomo può guardare la donna. In una società in cui la donna è per lo più vista come oggetto sessuale e in un mondo, il poliziesco, le centrali di polizia, le carceri e l'universo criminale, in cui qualsiasi sensibilità femminile è bandita a meno che non serve ad ingannare come le donne del noir, questo film inserisce una donna forte con una fragilità interiore e la usa per far sperimentare allo spettatore cosa significhi l'umiliazione dello sguardo. Hannibal parla poco ma quando lo fa le sue parole pesano come macigni, Anthony Hopkins è impeccabile (quanti attori, lui compreso, avrebbero potuto esagerare e sconfinare nella macchietta? Quanto invece in questo film tutto sì tiene sul crinale del grottesco senza sconfinare mai nonostante sulla carta si dicano cose anche parecchio risibili?), ma sono davvero Jodie Foster e Jonathan Demme a portare a casa la partita. Hannibal è la macchina della sottomissione tramite uno sguardo che promette violenza sessuale e riduce l’essere umano a pezzo di carne (volendo anche “pezzi” separati), Hannibal guarda e umilia ma noi lo sappiamo perché è Jodie Foster, detective tutto d’un pezzo, a sembrare una ragazzina violentata mentre ascolta.

In tutte le loro interazioni, che paiono molte ma in realtà sono pochissime (altra forza del film), i due personaggi sono nella medesima inquadratura solo 4 volte di numero, Demme gioca tutto attraverso il campo/controcampo, cioè inquadrandoli sempre uno alla volta e ogni volta che Lecter sottomette Clarice con lo sguardo, fa in modo che stia guardando in camera. Non accanto all’obiettivo (come si fa di solito, voltato leggermente di tre quarti) e nemmeno inquadrando la nuca di Clarice a fare da quinta, cioè non piazza la macchina da presa dietro le spalle di Jodie Foster. Sistematicamente ogni qualvolta Hannibal applica la sua violenza Demme lo fa guardare in macchina e sistematicamente subito dopo c’è un’atterrita Jodie Foster che ci fa capire realmente cosa stia succedendo, al di là delle parole. Quando invece si scambiano battute più innocenti torna a guardare a lato dell'obiettivo.

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Sì, è un film di paura Il Silenzio degli Innocenti, ma se di tutte le paure del film ci ricordiamo soprattutto quelle scene lì è perché si tratta di una paura per molti inedita (sia uomini che donne), specialmente al cinema, quella di uno sguardo violento e di una sottomissione con un agghiacciante sottotesto sessuale. Al cinema nessuno l’aveva mai portata e, bene o male, nessuno più in questi venticinque anni, l’ha rimessa in scena in questa maniera. In anni di grande femminismo come sono questi in pochi sono riusciti a replicare quest’esperienza di stupro visivo di massa da cui si esce denudati e infreddoliti.

[caption id="attachment_168271" align="aligncenter" width="245"]Il pubblico alla fine del film Il pubblico alla fine del film[/caption]

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