Vent’anni fa Shrek normalizzò la morte nell’animazione
Shrek compie vent’anni, e ha lasciato un’eredità gigantesca e sfaccettata: qui vi parliamo del suo rapporto con la morte
Certi film sono come gli orchi, i quali a loro volta sono come le cipolle: sono fatti a strati, e non sono solo quello che sembrano in superficie. Vent’anni di Shrek hanno dimostrato che il film degli allora esordienti Andrew Adamson e Vicky Jenson è in linea con il suo protagonista: quella che sembrava solo una buffa operazione parodistica che prendeva di mira i classici dell’animazione e quelli Disney in particolare si è rivelata essere una miniera di ispirazione, un film che ha segnato in modo indelebile il mondo dell’animazione e anche una fonte inesauribile di morali e contro-morali, di opinioni contrastanti che ancora oggi si inseguono quando si parla di Shrek. È un film progressista e rivoluzionario che invita a guardare oltre il pregiudizio e la superficie per scoprire la vera essenza delle persone che incontriamo? Oppure, come si sostiene da altre parti, ha un messaggio tremendo che si può riassumere in “i brutti stanno con i brutti e la bellezza rimane un privilegio”? Ci sono milioni di dettagli in Shrek dei quali vale ancora oggi la pena di discutere, anche alla luce di quanto sono cambiate le cose in questi vent’anni; e altrettante storie produttive che raccontano come il film abbia visto la luce nonostante tutto (qui ve ne abbiamo raccontate un po’). Qui però vogliamo parlare di un dettaglio discusso meno di frequente, e che salta all’occhio con prepotenza se si riguarda oggi il film: l’importanza della morte, e il fatto che Shrek abbia contribuito a sdoganarla.
Anche Shrek ha una di queste morti, per quanto declinata in maniera ridicola come quasi tutto quello che succede nel film. È quella di Lord Farquaad, un’idea che oggi non passerebbe mai le forche caudine del montaggio non tanto perché non vada bene mostrare una morte in un film per bambini, quanto perché Farquaad è un personaggio potentissimo e facilmente riciclabile in almeno un paio di sequel, e la sua dipartita è soprattutto uno spreco. Shrek però non venne concepito per diventare un franchise miliardario – anzi, i franchise miliardari erano uno dei bersagli preferiti della sua satira, come dimostra questa scena e quelle che ci stanno intorno – ma “solo” per raccontare una storia con un inizio, uno svolgimento e una conclusione. E quindi Farquaad fa la fine che ci si aspetta da un personaggio come lui in un mondo come quello che ci è stato raccontato fin lì: ingloriosa, e conclusa con un poderoso rutto. Commercialmente e con il senno di poi è una mossa spericolata, ma narrativamente siamo sempre dalle parti dei film Disney, dove la morte di un villain corrisponde con il crollo dell’ultimo ostacolo verso il “vissero tutti felici e contenti”.
Ma potremmo citare anche la rana e il serpente che vengono trasformati in palloncini, o la brutta fine che immaginiamo facciano tutti i soldati che vengono malmenati da Shrek e Ciuchino (alcuni saranno anche sopravvissuti, ma con gravissime fratture scomposte ovunque e svariate emorragie interne). La scena dell’uccellino però è la più adatta, perché è quella che più direttamente cita un’opera Disney. E lo fa buttandola sul ridere, certo, ma dicendo anche una cosa tremenda sull’universo di Shrek: non è un luogo sanificato dove si muore solo per esigenze di copione e sempre in sequenza ad alto tasso di emotività, ma un mondo duro e crudele dove un povero volatile rischia di saltare per aria se incontra la principessa sbagliata.
Sembra una piccolezza, ma scene come quella del canto mortale sono ancora più rare in un classico Disney di quanto lo sia vedere due creature verdi e teoricamente spaventose che scoprono l’amore e si baciano tra gli AAAAWWW della folla. Sono, paradossalmente, quelle veramente “adulte”: quelle, cioè, che sono davvero difficili da spiegare a una creatura di pochi anni. Perché è vero che è violenza cartoonesca ed esasperata, non dissimile da un cartoon con Wile E. Coyote, ma è anche completamente gratuita e riservata a creature innocenti e soprattutto senza alcuna funzione narrativa. È la dimostrazione che Shrek guardava anche a un altro tipo di animazione, che al tempo era ancora considerata underground ma che con gli anni dispiegherà le sue ali e convincerà un sacco di adulti che guardare cartoni animati non è cosa di cui vergognarsi: per esempio Ren & Stimpy, al quale Vicky Jensen lavorò prima di passare a DreamWorks, o addirittura gli Happy Tree Friends.
A conti fatti, è chiaro che la morte di lord Farquaad è quella che più rimane impressa, anche perché è a suo modo inutile: avviene quando ormai è chiaro che il poveraccio ha perso, che non sarà mai re e che il suo stesso popolo ce l’ha con lui, e il film sarebbe potuto finire con un esilio invece di un rutto e non sarebbe cambiato nulla. Ma guardando meglio ci si accorge che Shrek è molto più innamorato della morte, e dell’idea della violenza gratuita e improvvisa come tratto distintivo del suo mondo, di quanto non possa sembrare. E questo un è dettaglio sul quale Disney/Pixar non è ancora riuscita a mettersi in pari (o non è interessata a farlo).
Una nota finale: tutto quanto detto finora si potrebbe anche leggere in un altro senso, e cioè "Shrek ha normalizzato e sdoganato la crudeltà e la violenza gratuite, e questa non è una bella eredità". Come dicevamo sopra, è un film con un'infinità di strati, e per ogni interpretazione esiste una contro-interpretazione altrettanto valida: scegliete voi quella che vi convince di più