Vent’anni dopo, Panic Room è ancora più attuale

Panic Room di David Fincher compie vent’anni, ma le paure di cui parla non sono invecchiate di un giorno – anzi

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Panic Room è su Netflix

Vent’anni e qualcosa fa, David Koepp, sceneggiatore tra le altre cose di Carlito’s Way, Mission: Impossible e Jurassic Park, notò che sui giornali si parlava sempre più spesso di questa nuova abitudine della gente ricca di farsi costruire una panic room, una stanza blindata della casa perfettamente indipendente e nella quale andarsi a nascondere in caso di problemi di qualsiasi genere – dai rapinatori a un incendio a un attacco alieno. La cosa lo colpì al punto che gli ispirò una sceneggiatura: uscito nel 2002 e dunque ventenne da oggi, Panic Room al tempo sembrò quasi una metafora, una voluta esagerazione di quelle che erano paure sempre più standard nella società americana e che venivano trasformate negli ingredienti di un thriller tesissimo e minimale. Fu uno dei primi film d’autore degli anni Duemila a riflettere sulla società della sorveglianza nelle sue declinazioni più moderne e moralmente ambigue, ma teneva tutto confinato nel generico recinto delle “stranezze dei ricchi”.

Vent’anni dopo, Panic Room potrebbe venire riportato in sala domani sotto falso titolo e venire scambiato per un film del 2021. Magari non nei dettagli tecnologici, ovviamente, ma nello spirito, nel messaggio, che due decenni di… be’, di realtà hanno amplificato ed esasperato. Il quinto film di Fincher era un thriller efficace perché prendeva quello che fin lì nel cinema americano era stato visto come un luogo sicuro, fisico e metaforico (la casa e la famiglia) e lo trasformava in un incubo; “come fanno gli horror”, direte voi, ed è vero – ma rispetto alla stragrande maggioranza degli home invasion, Panic Room è quasi privo del lato exploitation, è un film che parla di architettura prima di parlare di violenza.

Forest

È un thriller che è costruito su un paradosso, al contrario di quello che succede di solito nel genere. Uno home invasion classico prevede innanzitutto un qualche errore iniziale della famiglia protagonista (dimenticarsi di chiudere una porta, fidarsi della persona sbagliata…), e di seguito una completa decostruzione della sicurezza dell’ambiente domestico, trasformato in un terreno di caccia. Panic Room, invece, prende le sue due protagoniste (Jodie Foster e una dodicenne Kristen Stewart al suo secondo ruolo in carriera) e le chiude immediatamente nel luogo più sicuro della casa, in una stanza costruita appositamente per tenerle lontane da ogni pericolo. Dopodiché procede, nel modo più logico e razionale possibile, a smontare questa loro sicurezza, e soprattutto a dimostrare che non ci sono pareti d’acciaio che tengano di fronte al potere della comunicazione.

Tutto quello che Meg e sua figlia Sarah vedono sono immagini senza sonoro; al contrario tutto quello che i tre rapinatori (Forest Whitaker, Jared Leto e un imprevisto ma azzeccatissimo Dwight Yoakam) sentono sono le voci delle due donne e i rumori, attutiti dal cemento armato, dei loro tentativi di trovare una soluzione al problema di trovarsi perfettamente al sicuro – nella stessa stanza dove però gli invasori domestici vogliono entrare, perché è lì che si nasconde il bottino.

Panic Room

Direte “cosa c’entra tutto questo con il fatto che il film potrebbe essere stato scritto l’altroieri?”. Considerate questo: The Panic Room Company è una multinazionale che si occupa di costruire, appunto, panic room, rifugi anti-atomici e altre unità abitative simili. Il 19 marzo 2020, all’inizio della pandemia, la compagnia pubblicò sul suo blog questo post che spiegava come i ricchi si stessero attrezzando alla pandemia investendo nei loro prodotti. Tempo due anni e su ADNKronos compare questa intervista nella quale il principale imprenditore italiano nell’ambito delle panic room spiega come la sua attività abbia avuto un primo boom durante la pandemia, e ora un secondo di fronte al rischio, vero o presunto, di un conflitto atomico.

C’è una cosa a cui Fincher e Koepp non avevano pensato nel 2002: la tecnologia si muove sempre più velocemente di quello che crediamo, e una delle conseguenze di questo ritmo forsennato è che quello che nel 2002 sembrava un sogno da miliardari, nel 2022 può diventare un investimento importante sì ma tutto sommato medioborghese. Un’altra cosa a cui non avevano pensato è quanto rapidamente il mondo sarebbe peggiorato, e quanto in particolare il mondo occidentale sarebbe piombato in una paranoia sempre crescente; non avevano considerato la pandemia e la voglia/necessità di tenersi alla larga dal resto del mondo, non avevano considerato una guerra in Europa, non avevano considerato, insomma, che se Meg e Sarah nel 2002 avevano bisogno di una panic room per proteggere loro stesse e qualche milione di dollari, oggi c’è sempre più gente che sente di avere bisogno di una panic room per proteggersi da tutto quanto.

Panic Room Kristen

Il bello di guardare Panic Room nel 2002 (a meno che al tempo non foste già miliardari) era pensare, con un certo perverso piacere, che certi problemi ce li hai solo se hai tutti quei soldi – credere che il film raccontasse una storia che funzionava anche perché inquadrata in uno specifico contesto di classe che peraltro non coinvolge solo le due protagoniste ma anche un terzo della banda di invasori. Riguardarlo oggi fa scattare fantasie ben più concrete, domande su quale stanza della casa sarebbe adatta per la trasformazione in panic room, scommesse su quale delle mille diverse minacce si materializzerà per prima e ci obbligherà a nasconderci nel bunker…

Stiamo esagerando solo in parte; non siamo sociologi ma se il 2002 era l’inizio di un periodo di paranoia collettiva dell’occidente causata prima di tutto dagli attacchi dell’anno precedente a New York, il 2022 è il risultato di vent’anni di attenta coltivazione e arricchimento di questa paranoia. Al tempo le telecamere a circuito chiuso incluse nella panic room di casa Altman sembravano un preludio all’esordio sulla scena dell’Occhio del Grande Fratello, e l’inizio di un percorso che ci avrebbe portati a vivere in una società nella quale ogni singolo angolo di mondo civilizzato è monitorato e inquadrato da una qualche telecamera. Oggi… be’, oggi è proprio così, e negli angoli monitorati includiamo anche quelli casalinghi, domestici, privati: quello che un tempo costava migliaia di euro oggi lo si può fare con poche centinaia, uno smartphone e una connessione Internet.

Ovviamente l’altro grande motivo per cui Panic Room non dimostra i suoi vent’anni è che è ancora oggi un capolavoro, di tensione ma anche di semplicità. Una storia logica nella quale tutto quello che succede è funzione di come sono stati costruiti i personaggi e nella quale tutto quanto, dall’uso delle luci alla CGI utilizzata per simulare i piani sequenza e soprattutto i continui cambi di piano (inteso come “quello della casa”) di una macchina da presa che raramente sta ferma più di qualche secondo; un thriller che è anche survival movie, nel quale gran parte dell’azione non sta nel confronto tra rapinatori e rapinate, ma nei frenetici tentativi di sopravvivere di due donne intrappolate in quella che dovrebbe essere la stanza più sicura della casa. C’è chi lo considera un Fincher minore e lo stesso David al tempo lo presentò come “un pop-corn movie” (come se la cosa lo sminuisse – ma non entriamo in questa polemica). Forse ora che compie vent’anni è arrivato il momento di riguardarlo e di rivalutarlo per quello che era: una profezia, non una fantasia.

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