Venezia 77: un'edizione d'emergenza è diventata una da imitare

La contingenza ha asciugato il programma e valorizzato i film meno scontati. I premi invece hanno consacrato il trend del terzo mandato Barbera

Critico e giornalista cinematografico


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La domanda che era lecito farsi prima che il Venezia 77 iniziasse con una delle edizioni più strane, incerte e difficili, cioè se il buco lasciato dal cinema americano dei grandissimi autori e delle megastar sarebbe stato colmato da film di altri paesi piccoli e meno potenti industrialmente ma ugualmente interessanti e sorprendenti che altrimenti non avrebbero trovato posto, ha ricevuto una risposta parziale. E questa non era né nei film del concorso né in quelli fuori concorso. Era in Orizzonti e nella Settimana della Critica.

Erano film come Senza sosta senza riposo, La Nuit De Rois, I Predatori, Mainstream, Selva tragica o Terra desolata (per dire solo alcuni tra quelli visti) e quelli della SIC come Shorta, Topside o The Book Of Vision (almeno 3 su 9 ottimi, non male come media). Nell’anno in cui sembrava che i film fossero l’ultima cosa di cui si sarebbe parlato tra Zoom, assenza di star, distanziamenti e imprevisti, per la prima volta la valutazione finale sul festival di Venezia può basarsi ed essere influenzata molto anche da questi titoli.

Come sempre non possiamo sapere quali meccanismi abbiano portato alla selezione di certi film o se questi sarebbe stati selezionati comunque, anche in caso di forte presenza hollywoodiana. Quello che è sicuro però è che questa edizione più snella, senza Sconfini, con un po’ meno titoli in ogni sezione, ha lasciato più tempo a disposizione a chi per lavoro deve seguire soprattutto concorso e fuori concorso (ovvero una buona fetta della stampa e appassionati), facendo così respirare le altre sezioni. Tantissimi spettatori abitualmente le seguono anche per intero, tuttavia finalmente anche chi non ci si può dedicare interamente ha potuto pescare nel loro bacino con facilità.

Non si può dire che queste sezioni siano una scoperta, sono sempre state lì, e negli ultimi anni hanno sempre mostrato ottimi film, comprensibilmente più audaci e quindi spesso più clamorosi di quelli del concorso (la Settimana della critica poi è dedicata agli esordi, quindi…). Solitamente ce ne rendiamo conto durante il resto dell’anno, quando alcuni di questi film escono, si fanno notare e solo lì vediamo l’etichetta del festival di provenienza pensando “Ah vedi, chissà che stavo vedendo quando passava questo film...

[caption id="attachment_362338" align="aligncenter" width="1400"]shorta Shorta - Settimana della critica[/caption]

Non si è sentita per niente la mancanza di Sconfini, sezione dalla missione meritevole ma che nella sua breve vita non è mai riuscita a guadagnare considerazione, né è sembrato che concorso e fuori concorso fossero “scarichi” rispetto al solito. Né infine il bilanciamento tra film medi, buoni, eccezionali e “ma perché l’hanno preso questo? Che ci fa qui?” è sembrato diverso dal solito. Questa formula d’emergenza, così asciutta, è risultata semplicemente più equilibrata. Purtroppo è difficile immaginare che sia una miglioria destinata a rimanere.

I PREMI

Ovviamente è stata un’edizione femminile come richiesto dal contesto storico. Lo sapevamo prima dell’inizio, visto il 50% delle cineaste donna in concorso, e l’abbiamo capito ancora di più vedendo i film, notando che a fronte di tantissime concorrenti per la Coppa Volpi femminile, ce n’erano pochissimi per quella maschile e notando che finalmente, a differenza di tanti film femminili sulla carta che poi femminili non sono per niente, alcuni di questi davvero ribaltano il solito sguardo maschile sul cinema e ne impongono a forza un altro (il vincitore del Leone d’Oro è un perfetto esempio).

I premi hanno infastidito alcuni (non chi scrive, che passa volentieri sopra all'unico incomprensibile, quello al pessimo Wife Of A Spy per eccesso d'amore per la restante carriera di Kiyoshi Kurosawa) e questo già è bene, ma più importante è il fatto che hanno quasi tutti consacrato chi sta esplodendo invece di reiterare e confermare la statura di chi già conosciamo, come spesso capita. Pierfrancesco Favino, che sembrerebbe una certezza, ha vinto il secondo premio dell’anno. David per Il Traditore, Coppa Volpi per PADRENOSTRO. Una doppietta clamorosa che non lo consacra come attore (non ne ha bisogno) ma come attore di cinema arthouse, cosa che prima non era mai stato, un premio che sigilla la svolta della sua carriera, anche se PADRENOSTRO probabilmente non sarà ricordata come una delle sue migliori interpretazioni. Vanessa Kirby era venuta con quest’obiettivo, con due film, ed è ora una certezza del mondo arthouse, così Chaitanya Tamhane, regista già vincitore di Orizzonti e ora con un miglior sceneggiatura. Unico venerato maestro premiato è Andrei Konchalovsky, al terzo premio veneziano "minore" di fila (chissà se al quarto li può scambiare con un Leone d'oro, come si fa con case e alberghi al Monopoli). Fino ovviamente a Chloe Zhao, la più consacrata tra i consacrati.

[caption id="attachment_362339" align="aligncenter" width="1152"]nomadland Nomadland - Leone d'Oro[/caption]

A tal proposito il dettaglio cruciale sembra essere che nonostante non sembri per il quarto anno di seguito la Mostra del cinema di Venezia sancisce la fusione totale che sta avvenendo nei nostri anni tra cinema commerciale e d’autore. Un punto cruciale del terzo mandato Barbera. Se le vittorie di La forma dell’acqua, Joker e Roma, avevano dato il massimo premio a film che forse una volta non avrebbero nemmeno gareggiato, quella di Nomadland lo dà ad una regista che sta per lavorare ala Marvel, una delle molte figure ponte tra arthouse e blockbuster.
Lo si era detto dai tempi di Arrival, Gravity, Birdman e La La Land (tutti presentati a Venezia) che il nuovo cinema d’autore è per molti versi il cinema commerciale. Nomadland e il destino di Chloe Zhao come prossima regista Marvel è un altro esempio di come siano ormai cadute barriere una volta invalicabili.

I film italiani

Il cinema italiano ne è uscito complessivamente bene, dei ben 4 film in concorso almeno 3 avrebbero meritato un posto in qualsiasi festival non solo in uno italiano (anche se il migliore di tutti l’abbiamo visto fuori concorso, Assandira, battezzato da Barbera come il quinto film che avrebbe voluto in concorso ma di fatto non ha messo, ed è un peccato). Come spesso accade poi l’unico premio vinto è andato al film forse meno apprezzato e meno audace. Non è la prima volta che capita. Va ricordato che solo l'anno scorso Ema di Pablo Larrain non ha preso premi e quello, a differenza dei buoni e ottimi film di Rai Cinema di quest'anno, è un capolavoro.

[caption id="attachment_362336" align="aligncenter" width="1400"]assandira Assandira - Fuori concorso[/caption]

Di certo è molto ma molto più problematico che il direttore di Rai Cinema, Paolo Del Brocco, all’indomani di quella che percepisce come una sconfitta (aveva portato 3 film e l’unico premiato è di Vision, cioè Sky), invii a tutta la stampa un comunicato dicendosi “dispiaciuto” (questo il termine usato) del fatto che i film della Rai non abbiano preso premi quando lo meritavano. È comprensibile che visto l’investimento di portare 3 film in concorso (e 18 se si contano tutte le sezioni) poi bruci tornare senza premi che non siano la miglior sceneggiatura di Orizzonti per I predatori (che però è l'esordio dell'anno e il vero colpo di cui dovrebbe essere fiero, potete vedere la nostra intervista con Pietro Castellitto qui). Ma con questo comunicato Del Brocco a chi sta parlando? Cosa sta richiedendo? Non è certo un messaggio ai giurati (difficile che lo leggano mai), quindi sta dicendo alla stampa (e per estensione ai loro lettori) che i loro film erano i veri migliori? O sta dicendo alla Mostra che Rai Cinema non ci sta al fatto che le giurie non li premino e quindi i giurati vanno scelti “meglio”? Qualunque sia la risposta non solo non appare come una buona ragione, ma non appare proprio come una bella reazione davanti a una parziale sconfitta (perché i premi di Venezia non sono gli unici al mondo, e lunga è la vita di quei film) per il primo produttore italiano che di premi, spesso giustamente altre volte molto meno, ne ha vinti, ne vince e ne vincerà parecchi.

Il distanziamento

Infine una nota meno cinematografica e più pratica. Venezia per collocazione temporale e per eventi indipendenti dalla propria volontà, ha ricevuto l’ingrato carico di essere il primo festival internazionale di serie A a poter tenere un’edizione fisica. La Biennale ha avuto il merito di non tirarsi indietro (nonostante probabilmente l’ipotesi sia stata più volte ventilata) e anzi ha ripensato moltissimo del funzionamento del festival per renderlo possibile ottemperando alle regole. Tutti erano pronti a dover passare sopra molti fastidi, molte incertezze e problemi. La notizia incredibile è che non ce ne sono stati. Un festival distanziato non è l’ideale ma è possibile ed è stato fatto senza intoppi!

[caption id="attachment_362337" align="aligncenter" width="1050"]Predatori I Predatori - Orizzonti[/caption]

Il distanziamento è stato sempre applicato, sempre possibile, sempre facile. La stampa non è propriamente una categoria conciliante, tranquilla e serena, eppure non ci sono state proteste, polemiche o rimostranze clamorose. Sistemi come la prenotazione elettronica del posto in sala forse saranno tenuti anche senza distanziamento (comodo per quanto uccida molto del buzz prima e dopo il film che è parte della vita di un festival e del suo essere un’esperienza collettiva che crea la sensation intorno ad un dato film) molte novità invece se ne andranno. Di certo è stata un’edizione dall’organizzazione mostruosa perché invisibile. Apparentemente facilissima, effettivamente pazzesca.

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