Venezia 77: l'anno zero dei talent | Commento

Nell'anno in cui i festival saltano o vanno online, Venezia sceglie di tenere un'edizione fisica anche se senza talent

Critico e giornalista cinematografico


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Si sono aperte con l’annuncio di un’assenza clamorosa le speculazioni degli ultimi giorni prima della conferenza di Venezia, quella di Hideo Kojima, forse il nome più pesante e importante tra tutti i giurati, presidenti inclusi, coinvolti nella 77esima Mostra Del Cinema di Venezia (per quanto non strettamente legato al cinema), il quale non sarà al Lido nonostante sia giurato assieme ad Asif Kapadia e Celine Tricart, della sezione Venezia VR, perché questa si svolgerà da remoto. Che beffa!

Ad ogni modo lo sappiamo da mesi che la 77esima sarà un’annata particolare di Venezia, ma nondimeno Venezia 77 ci sarà e non in versione virtuale. Solo qualche tempo fa sembrava un auspicio ora è realtà. Se Cannes ha dovuto rinunciare e Toronto ha optato come molti altri per un evento solo online, il festival che ha inventato il concetto di festival del cinema è anche il primo a ripartire con un’edizione fisica. Per quanto rimaneggiata.

Prima ancora di guardare ai film scelti questa è la nota più importante. Rinunciare, andare online o ancora saltare sarebbe stata una scelta terribile per quello che avrebbe detto di noi e del nostro desiderio di creare, realizzare, pensare e cambiare. Specie in un evento culturale. Specie se internazionale. Perché questo festival si facesse molto è dovuto mutare, e molto probabilmente molto altro scopriremo che sarà diverso quando saremo lì. Oltre ai processi di selezione ci sono da reinventare accessi, circolazioni, possibilità, gestione delle masse e proiezioni. Tutto. Arrendersi all’idea che un festival non possa avvenire se non come siamo abituati a concepirlo sarebbe stato terribile. Realizzarlo lo stesso cambiando tutto perché non cambi il cuore (aggregare appassionati, mostrare il meglio del cinema tutto insieme per guardare, tramite le immagini sullo schermo, lo stato del mondo) è quasi un imperativo morale.

Guardando al programma ci sono due dati che facilmente saltano agli occhi: mancano gli americani maggiori, cioè gli studios sono quasi assenti e gli autori maggiori nordamericani sostanzialmente non ci sono; i nomi più forti sono fuori concorso, molti nei documentari.

Se la prima non è una scelta di nessuno, se non degli studios stessi che sono reticenti a muoversi vista la situazione in patria (e di certo non li invoglia il fatto che spostando gli Oscar Venezia non è più situato alla partenza della stagione dei premi), la seconda invece è una precisa scelta: tenere fuori dal concorso le star internazionali più grandi.

Roger Michell con Helen Mirren, Quentin Dupieux con Adele Exarchopoulos, Abel Ferrara, Luca Guadagnino, Gia Coppola con Maya Hawke, Alex Gibney e Alex de la Iglesia sono tutti fuori concorso o in Orizzonti. E che questi siano alcuni dei talent maggiori già fa capire il tono di questa Venezia in cui il nome più grande in competizione è quello di Frances McDormand nel film di Chloe Zhao, una regista di cui si parla da tempo con davanti a sé un film con la Marvel e dietro di sé un gioiellino indie come The Rider, ma sostanzialmente ad oggi ignota ai più. Non è solo il cinema in sala a non essere ripartito, è in linea di massima tutta l’industria maggiore che non vuole ripartire, inclusi i maggiori autori europei, fino a che non si riparte sul serio. A pieno regime.

E che in un’annata simile il festival abbia optato per un concorso senza i suoi nomi più forti fornirà la risposta ad un interrogativo atavico, se cioè la necessità commerciale di avere i grandissimi autori nei concorsi internazionali (spesso con film anche fiacchi) non levi spazio e visibilità o opportunità alle novità, se queste lo meritino. Quest’anno, forzata dalle condizioni, Venezia ha fatto questo, avremo un concorso con molto da scoprire e pochissimo già scoperto. E vedremo se un festival con questa capacità indubbia di attirare, interessare e promuovere (senza Cannes quello che ricevuto tutto il meglio dell’anno) abbia visionato film interessanti. Vedremo quanto è il nuovo che vale la pena vedere in un anno.

In un festival aperto e chiuso da un film italiano, uno in cui il cinema nostro è molto presente con tanti nomi importanti a cui viene chiesto di sostenerlo (visto che invece il cinema commerciale italiano non è in grado di sostenere le sale) ma non dalla serialità televisiva che non era mai mancata (ci pensa Alex de la Iglesia a quel comparto), le registe in concorso sono quasi la metà. Anche i più ottimisti davano come impossibile raggiungere 5050by2020, il protocollo firmato dai festival maggiori (inclusa Venezia) che mirava alla parità per quest’anno. Invece proprio il festival meno schierato sul fronte delle quote (che non significa schierato sul fronte delle opportunità per tutti), per via della situazione particolare, forse sarà l’unico ad averlo raggiunto.

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