Venezia 2024: è il primo anno di un nuovo tipo di festival

Serie tv importanti integrali, film di autori di richiamo sopra le tre ore, Venezia nel 2024 sancisce una nuova fruizione dei festival

Critico e giornalista cinematografico


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Quella del 2024 è l'edizione della svolta per il festival di Venezia, la prima a sancire che il posto che i film pretendono nelle vite degli spettatori sta cambiando e quindi anche come si frequenta un festival di cinema

Per la prima volta negli ultimi venti anni circa si può dire di trovarsi davanti a un’edizione di vera svolta e cambiamento della Mostra del cinema di Venezia. C'è da essere contenti, i cambiamenti sono sempre segno di grande vitalità e l'opposto della morte, e anche se non è chiaro ancora per quanto, in che modi e con quali conseguenze la selezione del 2024 abbia portato a un punto di non ritorno la tendenza festivaliera già osservata da parecchio tempo: la dilatazione delle durate dei film e l’aumento di presenza delle serie tv. Sono fenomeni diversi e separati ma con in comune una caratteristica che, arrivati a questo punto, cambia tutto: l’impegno del tempo del pubblico.

Siamo abituati all’idea che i festival cambino e svoltino in virtù del tipo di film che selezionano, cioè per i contenuti che propongono, ma questa volta è una questione di missione (della manifestazione) e frequentazione (del pubblico). Lo stesso Alberto Barbera nel presentare la selezione ha ironizzato più volte su come molti film abbiano durate superiori al comune, oltre le tre ore, e come questo si unisca alla programmazione integrale di quattro serie televisive con tutti i loro episodi. E sempre Barbera ha introdotto la questione spiegando quello che in molti sanno e hanno già osservato: che si tratta di una tendenza del cinema contemporaneo, quella del racconto lungo, misurata sia nella dilatazione dei film commerciali (stabilmente sopra le due ore, alle volte vicini alle tre), sia nella dilatazione del cinema di ricerca, sempre più ampio, sia infine nella scelta di molti grandi autori di fare cinema attraverso la serialità, quindi di nuovo lungo molte ore.

Che un festival non solo recepisca tutto questo, ma scelga di mostrarlo e cavalcarlo, per esempio programmando le serie tv non con i primi due episodi o (come pure si era fatto) con una selezione di alcuni episodi slegati ma integralmente, è solo che giusto e in linea con gli obiettivi dei festival, che ogni anno cercano di fare il punto su cosa stia accadendo nel mondo del cinema. Se però nelle scorse annate il discorso delle durate era stato limitato, arginato e contestualizzato, questa volta l’impressione è che si sia scelto (sicuramente anche in virtù di cosa è arrivato e cosa era pronto per essere selezionato) di non porsi limiti né remore. E di nuovo, è la decisione più sensata di tutte e una quasi obbligata per un festival che voglia dirsi sano e in linea con la sua epoca. Se il cinema si dilata la Mostra DEVE rispecchiarlo. A tal proposito fa un po' sorridere che nel poster della mostra di quest'anno ci sia un pachiderma.

Questo porta delle conseguenze. Ce ne saranno a livello di copertura stampa, ma di queste sia detto con il massimo rispetto per tutti, la Biennale deve curarsi relativamente, la sua priorità non è far lavorare meno o far lavorare con più comodità la stampa, la sua priorità è agevolare il pubblico e creare un festival che possa soddisfare chi paga i biglietti. A fronte del fatto che non sono state annunciate nuove sale (quest’anno almeno perché alcune piccole e nuove sono state inaugurate negli ultimi anni) né sono aumentati i giorni di durata del festival, cosa che forse a un certo punto potrà accadere come fisiologica reazione, è evidente che la programmazione nel senso letterale del termine, cioè la disposizione delle proiezioni lungo le giornate, cambierà. Non abbiamo ancora il calendario ma, a meno di soluzioni a sorpresa, è prevedibile una riduzione delle repliche dei film per fare posto a queste durate. Sempre di più si imporranno delle scelte al pubblico che non potrà recuperare i film come faceva prima. 

La Mostra del cinema, per rispecchiare cosa sta diventando il cinema in questi anni, diventa un luogo in cui sacrificare la visione di quattro i cinque film per una serie tv integrale, e in cui possono essere visti meno film in una giornata, data la quantità di opere da tre o quattro ore. Certo, esistono molti film, forse la maggioranza, con durate inferiori alle due ore, e chiunque può scegliere di vedere solo quelli ma vuol dire saltare i film più importanti e sarebbe un atto di resistenza e retroguardia. Che senso ha cercare di frequentare ancora la Mostra come si faceva 10 anni fa, invece di comprendere il cambiamento come il festival stesso ha accettato di fare? I film sono sempre più qualcosa di prezioso e unico, degli eventi. Una Mostra piena di film-evento (quest’anno probabilmente ci sarà più di un film con autori o talent di grandissimo richiamo al giorno) in cui se ne possono vedere sempre meno per giornata e quindi bisogna sempre di più operare una scelta, è in linea con quest’idea.

Sembra inevitabile che questo meccanismo finisca per schiacciare ancora di più i film più piccoli (se ci sono tre film di grandi autori o comunque attesi al giorno e molti durano più di due ore cosa altro si può vedere?), enfatizzando la differenza che già esiste tra frequentatori del festival: chi viene a vedere film che probabilmente non sarà più possibile vedere, se non con difficoltà, e chi viene a vedere in anteprima i grandi film che è chiaro che usciranno e saranno comunque reperibili con calma (per le serie tv proprio con comodità) lungo l’annata. Sono solo le prime e più prevedibili conseguenze, dall’osservatorio elitario dei grandi festival, di movimenti che stanno investendo il cinema, una forma d’arte che sempre di più pretende molto tempo di uno spettatore, si impone come qualcosa di grande, impegnativo (se non altro dal punto di vista delle risorse per vederlo) e opposto alla visione distratta, veloce e a pezzi delle altre forme audiovisive. Forse era scontato che accadesse, come reazione, di certo è uno dei più grandi cambi nella fruizione e quindi nella concezione di cosa siano i film: qualcosa che non cerca di insinuarsi tra le abitudini e nel tempo libero degli spettatori ma pretende il suo spazio.

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