VannoTuttiTroppoPiano: lo Sceneggiatore è Dio, il Disegnatore la Macchina

Lo sceneggiatore è la star del fumetto, il disegnatore un mero esecutore: un'analisi dei pesi e delle misure dei ruoli creativi nel fumetto contemporaneo

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Come promesso, passate le vacanze e dopo aver affrontato per tutto agosto un pochino di educazione all'arte del fumetto, con la rubrica È Arte il Fumetto, eccoci ad affrontare un dibattito che si trascina da lungo tempo e che negli Stati Uniti è stato recentemente rivangato da questo ed altri articoli dell' ottimo SKTCHD.com (e da diversi approfondimenti di altri siti). Parliamo della superiorità percepita, o sarebbe meglio dire "peso" in termini di vendite, del ruolo dello Sceneggiatore rispetto a quello del Disegnatore (e tutto il resto del comparto grafico), nel mondo del fumetto.

Partiamo da un assunto: Jack Kirby è morto, Stan Lee è ancora qui a ballare sulla sua tomba. Basterebbe questo a chiudere la discussione.

Per eliminare tutte le fastidiose e viziose idee secondo cui ci possa essere della rivalità tra i due reparti o secondo cui i disegnatori soffrano di una sindrome da mancata attenzione, dobbiamo dire che i creatori di un'opera sono un'unica entità creativa. Allo stesso tempo però bisogna stabilire che per diversi aspetti tra cui la creazione dell'opera e la vendita della stessa, i pesi delle due parti sono differenti. E questo è un fatto.

Cosa conta di più quando ordini un fumetto?

Come detto sopra, dal sondaggio di Sktchd.com, risulta che gli ordini dei negozianti dipendono in gran parte dal nome dello sceneggiatore. Gli stessi editori pongono i propri sceneggiatori come star e anfitrioni delle testate pubblicate. Gli sceneggiatori hanno un seguito di fan maggiore rispetto al resto della catena produttiva. In questo vecchio articolo abbiamo già parlato di questi punti facendo diversi esempi.

Cosa stabilisce quindi questa differenza di peso? La maggior parte dei fattori sono puramente meccanici e non si può prescindere da questi. Scrivere (lo stesso numero di pagine) occupa "materialmente" meno tempo che disegnare. Se quindi un disegnatore riesce al massimo a fare 20 pagine al mese (la cifra cambia in base al tipo di mercato), lo sceneggiatore nello stesso arco di tempo riesce a gestire non solo diversi numeri della propria testata ma anche diverse testate mensili contemporaneamente. Pensiamo a Brian Michael Bendis che in America ha lavorato contemporaneamente a diverse testate degli X-Men, ai Guardiani della Galassia e i sui progetti personali (tra cui l'adattamento TV di Powers); o ad autori francesi come Jean Van Hamme o Fabien Vehlmann, o in Italia a Roberto Recchioni, che oltre a curare e scrivere Dylan Dog e Orfani riesce a portare avanti innumerevoli progetti personali.

Oltre al lavoro vero e proprio quindi agli sceneggiatori resta il tempo per essere presenti sui social e agli interventi pubblici, non solo per parlare delle proprie opere ma spaziando in diversi ambiti e temi come cinema, cucina o politica, creando in questo modo una vicinanza e un dialogo coi propri lettori che vada oltre la sponsorizzazione del fumetto. Sicuramente ci sono anche diversi disegnatori che intasano i social giornalmente, ma vi assicuro che difficilmente consegnano con regolarità o con qualità.

Tolta la questione dei tempi, c'è quella dei temi. Salvo rare eccezioni, gli sceneggiatori sono gli ideatori in primis dell'opera, sono quelli che vanno a rompere le scatole all'editore e che si occupano di radunare un team creativo. Gli sceneggiatori sono quindi in parte anche editor della testata su cui lavorano. Quando si tratta di entrare in una testata già avviata, gli sceneggiatori pianificano un ampio arco narrativo, difficilmente ragionano per il singolo numero.

[caption id="attachment_78475" align="alignright" width="300"]All-New X-Men di Stuart Immonen I Nuovissimi X-Men di Stuart Immonen[/caption]

Prendendo sempre ad esempio il lavoro di Bendis, sul suo arco narrativo di All-New X-Men si sono susseguiti più di 9 disegnatori differenti (ancor di più sono i coloristi e i letteristi). Il disegnatore con cui è stata lanciata la serie e che ha avuto la maggiore presenza è stato Stuart Immonen, un nome di assoluto rispetto e che nonostante sia presente da decadi in questo mondo, continua a consegnare un lavoro di una qualità infinita. Ma serve il nome di Immonen ad aumentare l'interesse e le vendite? O il rilancio di una delle testate più seguite d'America avrebbe avuto lo stesso successo con un qualsiasi altro disegnatore? Probabilmente il risultato sarebbe stato lo stesso. La fama della testata e la curiosità per ogni sorta di rilancio sono abbastanza per stare in vetta alle vendite.

Il  nome del disegnatore ha un impatto maggiore quando si parla di variant cover o eventi speciali come le signin session, dove si ha la possibilità di valorizzare la propria copia con un disegno originale. Sono eventi però che però riguardano più il collezionismo che la vendita del fumetto seriale. I lettori sono interessati alle storie, vogliono sapere che fine farà il proprio eroe preferito e c'è solo una persona a saperlo, lo sceneggiatore.

Vende di più un fumetto scritto bene e disegnato male

o uno scritto male e disegnato da dio? 

Non c'è gara, ai lettori importa poco dei disegni. La parte visiva del fumetto non viene più percepita come parte della narrazione. Come detto sopra, l'esigenza produttiva non lascia spazio e tempo alla pianificazione dei disegni. Gli editor fanno quello che possono. Ci sono poi le cattive abitudini: non è raro trovare una cattiva predisposizione di molti sceneggiatori che si pongono come deus ex machina dell'opera e impongono ai disegnatori un tipo di narrazione visiva, relegando questi a meri esecutori del pensiero dello scrittore. O l'attitudine, parlando del proprio fumetto sui diversi mezzi di informazione, a omettere il nome del disegnatore. Ancora peggio, i disegnatori che con regolarità omettono il nome del colorista, accaparrandosi tacitamente il merito del suo lavoro.

Negli ultimi anni il lavoro dei coloristi, grazie alle tecniche digitali, è diventato una componente fondamentale della qualità artistica di un prodotto. Il lavoro di un disegnatore mediocre apparirà più che decente se affiancato da un colorista di talento. È un discorso questo che meriterebbe un post a parte.

[caption id="attachment_78476" align="alignright" width="191"]Hawkeye_0001 Hawkeye di David Aya[/caption]

Il recente successo della serie Hawkeye è dovuto allo stile narrativo brillante ed innovativo per un mercato commerciale, ma è un risultato scaturito, per ammissione dello stesso Matt Fraction, dalla fusione delle idee sue e di David Aja e Matt Hollingsworth (disegni e colori).

Prendiamo altri due esempi sempre dal mercato americano: Jeff Lemire e Matt Kindt. Sono entrambi due autori completi (si occupano di testi e disegni) che, visto il successo delle loro opere sono stati chiamati a occuparsi di diverse testate mainstream famose. Entrambi non sono dei disegnatori eccellenti, almeno secondo dei canoni estetici comuni, il loro stile è molto underground. Guardando alle vendite dei loro albi, la differenza di vendite tra quando sono da soli a disegnarsi e quando sono affiancati da un altro artista è pressochè nulla. In questo tipo di narrazione la storia prevale. Probabilmente quelle opere avrebbero avuto lo stesso successo sotto forma di romanzo, non ci è dato saperlo, di certo l'impianto visivo non è peculiare.

Un altro esempio simile è The Walking Dead. Tony Moore, il creatore grafico, è un buon disegnatore ma non di certo eccellente eil passaggio a Charlie Adlard non ha avuto nessuna influenza sulle vendite. I lettori vogliono solo sapere cosa accadrà ai sopravvissuti.

Una piccola differenza la troviamo sugli albi creator owned (cioè di ideazione e proprietà da parte degli stessi autori). In questo caso il lavoro di creazione dell'opera è più organico e partecipato e anche i lettori percepiscono il peso del disegnatore. Anche perché non avendo informazioni sulla qualità dell'opera a lungo termine, ci si deve per forza affidare al nome degli autori. Una testata scritta da Mark Millar (autore di Kick-Ass e altri successi) riceverà più ordini se disegnata da un big come Sean Gordon Murphy, piuttosto che da uno sconosciuto. Su Saga, tra un arco narrativo e l'altro, c'è una pausa che permette all'artista di prendersi un vantaggio sulla consegna evitando di affidarsi ad un fill-in artist (quello che riempie i buchi); forse è anche per questo che il fumetto è uno dei maggiori successi commerciali degli ultimi anni, perché i lettori amano i disegni di Fiona Staples. Su molte testate invece, arrivati al numero #5 o #6 che è la soglia di stabilizzazione delle vendite per un nuovo lancio, il disegnatore comincia ad alternarsi o a lasciare il posto ad altri colleghi, questo per non interrompere la serializzazione mensile.

Il ruolo degli editori e degli editor

Per fare fumetti bisogna vendere fumetti, è chiaro quindi che quello delle vendite sia il pensiero principale di editor ed editori, non possiamo biasimarli per questo. Come abbiamo detto prima, disegnare un albo da 22 pagine (46 per la Francia, 98 per l'Italia) è un compito davvero arduo e rispettare la deadline mensile diventa spesso impossibile. Fu Jim Shooter nel 1978 a occuparsi del problema delle deadline mancate alla Marvel, problema che costava una perdita continua di denaro: assunse infatti nuovi editor per le diverse testate a supervisionare le consegne.

Gli editor quindi loro malgrado, o spesso noncuranti della cosa, hanno due opzioni: una è quella di avere un ricambio continuo degli artisti in modo da farli lavorare contemporaneamente su più numeri; l'altra, quella di affidarsi ad artisti che non hanno problemi a rispettare la scadenza mensile grazie al basso livello di qualità artistica fornita o da scorciatoie meccaniche, come l'uso di Poser (software 3D che permette di creare delle pose del corpo umano modellabile a discrezione per poi ricalcarle): vedi Mikel Janin su Grayson o il Mike Deodato Jr. degli ultimi anni, oppure artisti che compongono fumetti tramite foto filtrate con effetti di Photoshop, come Andrea Sorrentino su Old Man Logan o Tony Harris su Ex Machina.

Molti anni fa era una linea editoriale stabilita della DC Comics quella di avere sulle testate principali disegnatori sconosciuti con uno stile uniforme tra loro. Questo perché il nome degli autori non doveva essere più in vista di quello della testata. Fu un approccio che portò a un calo della qualità e delle vendite e al successivo e ripetuto reboot delle testate, e in seguito al rientro di nomi noti, che riporto l'editore in quota a livello di vendite.

Oggi gli sceneggiatori hanno la possibilità di sconvolgere radicalmente la testata su cui lavorano. La svolta creativa è in mano a loro. È raro che venga chiamato un disegnatore a ribaltare l'impianto creativo di un fumetto seriale. Le star che si muovono tra underground e pop, come Paul Pope per fare un nome, appaiono raramente e con cameo di poche pagine, spesso su speciali a parte, una sorta di divertissement che non ha nessun seguito. Ancora una volta la narrazione grafica viene vista come un accompagno, non come la base fondante.

[caption id="attachment_78478" align="alignright" width="300"]liefeld levis Rob Liefeld per Levis[/caption]

Negli anni '90 diversi disegnatori diventarono delle vere e proprie star, non solo per la qualità dei loro fumetti, ma anche grazie alla voglia di creare e di essere padroni delle proprie creazioni. Un fermento quello dell'epoca che portò a una grande esposizione mediatica per diversi disegnatori. Erano gli anni in cui Rob Liefeld non solo creava Deadpool (uno dei personaggi più amati di sempre) e X-Force (Cable, Shatterstar e soci), ma pubblicizzava anche i jeans Levis in uno spot TV. La rivista Wizard offriva set fotografici degli artisti. Erano gli anni in cui Jim Lee aiutò a creare la doppia numerazione degli X-Men creando assieme a Claremont una testata parallela (X-Men che affiancò Uncanny X-Men) che raddoppiò le vendite per la Marvel. X-Men #1 è ancora oggi uno dei best-selling di sempre con 8 milioni di copie vendute. Jim Lee che in seguito formò il proprio studio assieme ad altri disegnatori, la Image Comics il cui successo è noto a tutti.

Erano sicuramente anni di cambiamento ma nulla di tutto questo sarebbe potuto accadere se gli artisti non avessero avuto la tenacia di imporre il proprio stile e di esigere dagli studios i diritti sulle proprie creazioni.

Il mio amico sceneggiatore Giovanni Masi (uno che oltre a fare fumetti ha la preoccupazione di studiarli) propone l'ipotesi secondo cui quella di avere gli sceneggiatori come "headliners" possa essere una moda temporanea. Una volta erano le etichette a guidare gli acquisti dei lettori. Poi la palla è passata ai disegnatori, ora agli sceneggiatori, in futuro chissà.

La cattiva predisposizione di alcuni editor non è un problema solo del mercato americano. In Francia la maggior parte degli editori sono di proprietà di due grossi gruppi commerciali, in questo modo la concorrenza è pressochè nulla e non è un caso se negli ultimi anni il mercato francese anziché produrre novità si sia avvolto sulla riedizione di vecchi classici, integrali e versioni da collezione di successi assodati. La posizione degli editor non dipende più dalle vendite, quindi il lancio di nuovi titoli è diventato un piccolo passatempo privo di incentivi.

In Italia abbiamo una situazione di grosso fermento. C'è ancora una certa difficoltà a imporre il fumetto come opera artistica anziché intrattenimento usa e getta. Ci sono alcuni editori che sperimentano, introducendo il colore come parte fondamentale o cercando di percorre parallelamente il mercato dell'edicola e quello della libreria con edizioni diversificate, ma gli investimenti sono ancora pochi e la legge del mercato dice che più produci e più guadagni (fatto salvo l'avere un incompetente alla guida). Un modo di fare, quello italiano, che ha avuto dei riscontri negativi anche sugli artisti, sono tanti infatti i disegnatori che hanno dimostrato un grande talento in passato ma che si sono poi appoggiati allo "stipendio fisso" (e soprattutto non dipendente dalla qualità offerta), diventando dei noiosi manieristi che ripetono ossessivamente lo stesso lavoro da diverse decadi.

Il lettore compra e questo basta

Chissà in che modo verrebbero inflazionate le vendite se la qualità artistica aumentasse. Rimarrebbero le stesse quindi l'investimento in ricerca di talenti e nella fase di editing, sarebbe tempo e denaro sprecato? È uno spreco di risorse "crescere" dei nuovi autori se questi offrono una qualità superiore a quelli già presenti?

CollezionePerché c'è la tendenza dagli autori "radicati" a vedere il nuovo come una pericolosa competizione e non come uno stimolo a rinnovarsi ed imparare ancora? Non oso immaginare quale potrebbe essere la reazione di uno di questi autori di fronte alla proposta di fare un workshop (non di tenerlo ma di ascoltarlo) a spese dell'editore.

Qualche tempo fa ci fu un caso molto noto di diversi autori storici della Disney Italia che vennero "lasciati a casa" con grande sdegno di tutti. Per carità non era quello il modo di trattare i propri collaboratori, non si prescinde dalla cura che il datore di lavoro deve avere nei confronti del proprio impiegato, tanto più se di una certa età. Ma ci sono diversi dati da considerare.

Un autore che lavora da decenni in modo continuativo con un editore come Disney o Bonelli, cioè con un pagamento a pagina più che dignitoso (spesso davvero alto), dovrebbe avere avuto il buon senso di mettere da parte qualcosa come sicurezza per il futuro (per alcuni intere fortune). Un autore che per decenni non si è curato di aggiornare il proprio lavoro perché non richiesto dal proprio datore di lavoro, è un autore stupido e poco accorto, addirittura presuntuoso.

[caption id="attachment_78472" align="alignleft" width="241"]leggere - La gente non legge più... - ...Scrive![/caption]

La qualità del lavoro va offerta al proprio editore ma soprattutto ai lettori "a prescindere dalla solidità della poltrona occupata". Ci sono diversi nomi di autori che hanno lavorato molto bene in passato e continuano a farlo ancora oggi senza problemi perché attenti all'evoluzione della società, perché guidati dalla passione e dalla curiosità a confrontarsi col nuovo.

Forse è questa tendenza che ci ha portato ad avere oggi una grande assenza di bravi sceneggiatori. Un editor di una collana mensile oggi può avere quanti disegnatori vuole ma su quanti bravi sceneggiatori può contare? Bisognerebbe preoccuparsi di tirare su una buona scuola di sceneggiatori e qualcuno lo sta già facendo per fortuna.

Perché due cose sono certe: il lavoro non si crea da solo, sono gli autori a doverlo creare, insistendo con il proprio editore e contro le abitudini del pubblico; di contro l'offerta diversificata non arriverà mai dall'editore, è il pubblico ad dover chiedere ed esigere il tipo di fumetto che vuole leggere. È il pubblico che crea l'offerta, sprofondati nell'inedia spesso lo dimentichiamo.

Sembra un paradosso: gli sceneggiatori sono le star...ma sono anche in via di estinzione.

Chi se ne frega dell'arte!

Gli editor (non tutti per fortuna) quindi, non hanno un grande interesse nel dispensare vera arte. I lettori non sono più abituati a nutrirsene. Gli artisti devono pensare alla propria sussistenza, quindi piuttosto che cedere il posto, macinano tavole abbassando l'asticella della qualità. Dove ha portato e dove porterà questo modo di operare? Probabilmente all'affermazione dell'intrattenimento effimero e alla ghettizzazione dell'arte in spazi non comuni.

Lo so, sembra una frase da vecchi disillusi quella appena espressa, però ha diversi fondamenti. È percepibile come la gente abbia perso l'abitudine di nutrirsi d'arte e alla lunga a non riconoscerne il valore come indispensabile. Manca l'educazione all'arte, non basta che l'arte esista e sia a portata. Bisogna capirne il linguaggio per poterla apprezzare al meglio, bisogna aguzzare i sensi e lasciarsi stimolare. L'arte è qualcosa che migliora la vita, ma non sempre arriva in modo naturale.

Sembra che ultimamente il gossip sia diventata la forza produttiva trainante. Kanye West che ruba il microfono a Taylor Swift sul palco degli MTV Awards è una notizia che tiene banco ancora oggi a diversi anni di distanza, le ragioni di quel gesto sono invece sconosciute ai più. Il dito medio di Cattelan esposto a Milano in Piazza Affari ha avuto più risalto dell'intera carriera artistica dell'autore. La notizia, istantanea e continua, ha rimpiazzato il racconto (di graduale assorbimento e duraturo).

Allo stesso modo nel fumetto la trasformazione continua dei personaggi ha rimpiazzato la pianificazione di un arco narrativo stabile. La morte e la rinascita, il cambio di ruolo, di razza o di sesso sono le varianti dei comics mainstream. Il lettore non ha tempo di aspettare che il personaggio compia il proprio percorso. Di conseguenza , lo spazio per l'approfondimento artistico è sempre minore.

È la storia di sempre. È sempre stato così nel fumetto, così come in ogni altra forma artistica e di comunicazione. Resta il fatto che il fumetto è una forma di comunicazione visiva quindi probabilmente nel tempo qualcosa in termini di comunicazione è andato perso. Un po' come nella musica: quand'è che in Italia abbiamo smesso di comporre musica rimpiazzandola con i soli testi? (nei primi anni '60 forse?)

Ritorniamo all'assunto iniziale, è opinione comune che i fumetti di Lee e Kirby siano una grande parte di questa forma d'arte. Ora pensiamo a quante storie davvero buone abbia scritto Lee e a quante tavole come quelle che trovate a questo link, abbia sfornato Kirby. Lascio a voi formarvi un'idea e perché no, studiarci sopra.

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