VannoTuttiTroppoPiano - Il fumetto che crea comunità: Alessio Danesi commenta le parole di Eric Stephenson

Alessio Danesi dice la sua in merito al discorso di Eric Stephenson sull'importanza delle buone storie nei fumetti

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Ho contattato Alessio Danesi (ex supervisore e coordinatore di Magic Press ed ex direttore editoriale di RW-Lion) per chiedergli di commentare il discorso fatto da Eric Stephenson all'ultima conferenza Image Comics tenutasi al ComicsPRO di Portland. Trovate qui una sintesi tradotta del discorso e qui la versione originale. Stephenson ha richiamato l'attenzione sull'importanza di mettere delle buone storie al centro della creazione di nuovi progetti e ha ricordato che in passato, ogni volta che si è cercato di puntare sul marketing, anzichè sulla qualità dei fumetti, il mercato ha sempre subito un'involuzione.

Conosco poche persone così appassionate e preparate sul mercato dei comics americani (ma anche sul fumetto in generale) come Alessio Danesi. Ho approfittato quindi della sua disponibilità per commentare il discorso di Stephenson e fare un piccolo approfondimento.

Ciao, Alessio, benvenuto su BadComics.it. A bruciapelo: Stephenson porta acqua al suo mulino o il suo discorso è davvero accorato?

HitmanCiao! Cominciamo col dire che Stephenson è la cosa migliore che sia capitata al fumetto americano negli ultimi cinque o sei anni. Io non ricordo un periodo in cui le storie siano state tanto importanti. Però questo non significa che il suo discorso sia accorato o puro: è interessato. Lui ha deciso di puntare sull’idea forte dietro al suo progetto e sulla comunicazione. Non c’è un editore che comunica così tanto con i propri lettori e con i propri clienti (fumetterie e fan). Questo fa Stephenson con i suoi speech periodici: comunica. Tra l’altro non è la prima volta che dice queste cose, i suoi appelli contro l’inutile saturazione commerciale degli editori di fumetto sono fondatissimi. Ha ragione.

Ok, ma vista dal lato delle due major concorrenti, il crossover annuale fa fare i botti in quanto a vendite, quindi cosa gli frega? Chi è il destinatario di questo appello?

Aspetta. Ci sono crossover e crossover. Alcuni sono qualitativamente molto bassi, altri hanno più di un senso, non solo commerciale. I tie-in di Civil War o Avengers vs X-Men qualche qualità ce l’avevano. Andando invece indietro, cose come Atti di Vendetta o Atlantide Attacca me le ricordo proprio bruttine (anche se di Acts of Vengeance ho comprato l’Omnibus).

La qualità del crossover è avulsa dal concetto commerciale del progetto: se hai un ottimo scrittore, te lo scrive bene. Mi pare però che la sostanza non cambi molto.

Un esempio che faccio sempre è questo. Una delle storie più belle di Hitman, il personaggio straordinario di Ennis e McCrea (straordinario perché è una creazione ex novo, senza rimasticazioni di concetti precedenti), è proprio quella contenuta nel crossover The Final Night (numero #8: The Night the Lights Went Out). Quindi crossover o no, se te lo scrive uno bravo il senso ce l’ha eccome. Non mi importa se sia una operazione commerciale o no.

Da come si comportano Marvel e DC Comics, a me pare che gli introiti economici siano più importanti della qualità delle storie.

Malekith and the Casket of Ancient Winters.Io non credo che i crossover siano il male, come anche l’aspetto commerciale. I fumetti devono vendere per sostenere tutta la catena coinvolta. È un compromesso che devi accettare quando hai un universo di storie condiviso. I crossover, per esempio, creano comunità. Io poi sono figlio di Jim Shooter: quando su Thor lo Scrigno degli Antichi Inverni veniva aperto, in tutte le altre serie nevicava! E io gioivo!

Quando il crossover ha un senso organico rispetto all’universo in cui si svolge, per me va bene. Quello che non mi piace è “l’evento” che non lascia nulla.

Allora non sarebbe più sensato da parte di Stephenson allontanarsi dalle major? Mettere un muro e dire: "Ok facciamo due cose diverse, noi creiamo storie, voi siete dei commercianti"?

Beh, lui parla agli editori in maniera liminale. Nel suo discorso precisa di non voler passare per supponente, ha già visto ripetersi grandi crisi più volte e adesso dà l’allarme. Ma il suo vero bersaglio sono i negozianti, e questa è una preoccupazione che riguarda anche lui. Se domani il povero proprietario di una fumetteria non riesce a coprire l’assegno alla Diamond (il distributore monopolista americano) perché ha dovuto/voluto comprare "X" copie più di quante gliene servivano di Dark Knight III per avere la cover limitata di un autorone tipo Jim Lee, allora diventa un problema anche per gli altri editori.

Preciso per il pubblico: le fumetterie americane se vogliono avere una variant cover prestigiosa sono costrette a comprare uno stock di albi che talvolta possono essere il doppio di quelli che riusciranno a vendere. E questo significa non riuscire a coprire i costi, o comunque non recuperare la somma nel breve periodo.

Secondo me la variant cover ha senso quando celebra un determinato momento della testata o rappresenta un evento artistico particolare. Per esempio: sotto il mio operato in RW-Lion, le variant che ho proposto personalmente sono state poche e scelte con dei motivi precisi: il n° 50 di Lanterna Verde con la copertina disegnata da Ausonia o il n° 100 di Superman con la copertina da edicola di Claudio Villa e quella variant componibile di Bruno Brindisi. O quelle del “mese Harley Quinn”.

Non ci credevano in molti nel potenziale di questa testata, ma io la volevo fortemente, perché alle fiere avevo visto crescere un grande interesse da parte di ragazzi e ragazze. Tanti (ma soprattutto tante!) venivano allo stand a chiedere notizie. Ho pensato che un fenomeno crescente di questo tipo aveva bisogno del giusto incentivo: uscire con una decina di variant, una per ogni testata dell’editore e ognuna disegnata da nomi prestigiosi come Bruce Timm, Amanda Conner e JG Jones, ha dato un’occasione in più a pubblico, fumetterie ed editore per accorgersi del potenziale di un personaggio che da noi non era ancora conosciuto bene.

Superman 100 e Batman 100 di Bruno Brindisi

Al di là di questi momenti “speciali”, la variant non la capisco. Non comprerei mai un fumetto doppio solo per avere una copertina differente. Faccio un esempio: mi capita di prendere gli Omnibus Marvel (o DC Comics, Valiant e Image) che spesso hanno una variant più limitata, ma non mi importa avere quello stampato in meno copie o più difficile da trovare, scelgo quello con la cover che non ho. Non comprerei mai due copie per avere entrambe le edizioni.

Per esempio, ho preso con piacere le variant Bonelli. Quelle avevano un senso: quando chiami un autore insolito a fare rielaborazioni dei soggetti e lo fai una volta l’anno, a me va strabene.

Insomma il fumetto per me deve vendere perché è scritto e disegnato bene e perché è interessante. E secondariamente deve vendere per collezionismo.

Una cosa che mi è sembrata un po’ contraddittoria nel discorso di Stephenson: dice di guardare a successi della nostra epoca che ispirano un genuino entusiasmo e cita Jessica Jones, The Walking Dead e i fumetti di Mark Millar. Non ti pare che siano tre esempi che non spiccano esattamente per la forza delle storie, ma anzi probabilmente ricorderemo solo per il clamore mediatico delle riproposizioni televisive e cinematografiche?

Non sono molto d’accordo. La serie di Bendis, Alias (con Jessica Jones) per me è una bomba. The Walking Dead ha un’idea della madonna che è cresciuta mese dopo mese…

Beh, è un po’ una soap opera, no?

Sì, è una soap opera, ma con gli zombie! Il fatto che i personaggi muoiano in continuazione crea un sistema che si autoalimenta, è un rilancio continuo. Quindi “soap opera”, in questo caso, per me ha un’accezione brillante.

aliasE Millar? Non trovi che i suoi progetti siano studiati per generare property?

Ciò non toglie che dietro ci siano molte idee geniali. Kick-Ass e Chrononauts mi sono piaciuti parecchio, li trovo freschi, divertenti da leggere. Certo, se in un anno sforni dieci prodotti, qualcuno sarà un po’ meno bello, ma avercene di gente così.

Insomma, credo che Stephenson citi idee fresche, non il solito polpettone di supereroi in costume.

Allora qual è il sistema promozionale più efficace e sano per il fumetto?

Stephenson, in più occasioni, ha detto un’altra cosa con cui sono molto d’accordo e che ha funzionato per molte fumetterie americane: “creare un luogo”. È finito il tempo in cui il negozio è un mero magazzino dove il lettore arriva, compra e se ne va, quella è l’edicola e non può essere la fumetteria. Se guardi anche da noi, i comic shop che hanno più successo sono quelli che creano eventi, le cui mura sono vive. Nel negozio in cui andavo io da piccolo c’erano molti fumettisti, non erano grandi nomi, ma si poteva parlare, si creava gruppo. Era bello.

Pensa a questo: il fumetto non è il cinema, dove vai con gli amici. Il fumetto è un dialogo uno a uno tra il lettore e l’autore, il mondo esterno è escluso. Ma una volta chiuso l’albo il sentimento che hai ricevuto lo vuoi (e lo devi) condividere col resto del mondo. La fumetteria deve diventare quel luogo di condivisione, deve generare un network di persone che si parlano e che quindi poi comprano.

Mi stai diventando il Terzani del fumetto dicendo queste cose. Non trovi che al di là delle comunità, i numeri che si fanno in fumetteria siano comunque troppo piccoli per gli editori?

Ma l’alternativa non esiste. L’alternativa è Amazon: allora ordini il tuo fumetto, ti arriva a casa, lo leggi, insulti la gente sui forum se non ti piace e finisce lì. La fumetteria è un luogo con quattro mura e dentro delle persone, c’è la possibilità da parte del commerciante di parlare col proprio pubblico, consigliarlo e indirizzarlo nelle scelte e quindi non perderlo.

Il discorso della comunità è molto importante. Io vengo da un quartiere di Roma, l’Appio-Tuscolano, che per statistiche ha una delle più alte concentrazioni di fumetti venduti in Italia. Il perché è semplice da capire, è aritmetico: molti licei (alveo della lettura consapevole di fumetto) sono numerosi, ci vivevano un sacco di autori e poi hanno aperto tante fumetterie, non c’è un altro quartiere a Roma con così tante fumetterie. Col tempo, gli autori hanno messo in piedi sei studi differenti, che vivono il quartiere e organizzano eventi. Il quartiere “respira fumetto”, e tutto questo è contagioso. Mi ricordo che in terza media una professoressa mi fece una lezione sui fumetti, non è un caso. Gli alunni degli anni precedenti al mio, evidentemente, gli avevano chiesto notizie di questo medium.

Pensi sia possibile un’inversione di marcia delle major rispetto al prodotto dal consumo veloce e di poca sostanza, che genera un rientro economico solo nel breve termine e che ha bisogno di essere rinnovato continuamente?

Non so, considera però che negli ultimi anni il pubblico è cambiato parecchio e continua a cambiare. Questi sono anche dei tentativi per individuare e conquistare nuovo pubblico. A volte riusciti, altre meno. Però, in ambito Marvel e DC, dei prodotti di qualità si trovano.

Prendi il successo (meritatissimo) di Spider Gwen: gli editor sono corsi a generare emuli di scarso livello solo per sfruttare l’onda, vedi il flop di Gwenpool.

gwenpoolNon ho letto Gwenpool, ma penso che a volte va bene, a volte va male. Capitan Marvel ha generato Ms. Marvel e poi la nuova Kamala Khan. Quella è una serie davvero bella. Il problema è che gli editor o sono troppo vecchi o sono troppo giovani e in entrambi i fronti hanno paura a rischiare o a dire di “no” a un progetto che sembra vincente, ma probabilmente non lo è. Bisognerebbe avere le palle di aspettare il team creativo giusto, il progetto in cui credi davvero. Anche nella mia carriera è capitato di dover dire di sì a dei progetti solo per mancanza di altro materiale migliore. Ma ci sta. Funziona così.

Per concludere, Stephenson dice: meno fumetti, più qualità. Warren Ellis la pensava diversamente: se su novanta fumetti solo dieci sono buoni, allora più fumetti si producono e più fumetti buoni si troveranno. Chi ha ragione?

La differenza è che uno è un editore e l’altro è uno sceneggiatore! Per di più, uno sceneggiatore immaginifico come è Ellis tira fuori un sacco di idee senza mai rivendersi due volte la stessa e sempre di ottima qualità. È normale che dica “più fumetti pubblicate, meglio è”, avrà più possibilità a vendere le sue storie.

Grazie Alessio.

Grazie a voi!

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