L’uomo nel mirino è il Clint Eastwood più assurdo
L’uomo nel mirino di e con Clint Eastwood è un chiassosissimo action anni Ottanta, ma con qualche anno di anticipo
Quando pensiamo a Clint Eastwood ci vengono in mente più o meno sempre le solite immagini. Clint con il cappello. Clint senza cappello. Clint che dice «devi fare a te stesso una domanda: “mi sento fortunato?”». Clint nel prato di casa sua con un fucile in mano e un’espressione carica d’odio sul volto. Una cosa che al contrario non ci viene mai in mente, e dovrebbe, è l’immagine di Clint alla guida di un autobus corazzato in stile Mad Max che attraversa una doppia ala di poliziotti armati fino ai denti che lo crivellano di migliaia di colpi: L’uomo nel mirino non è né il film più famoso di Clint Eastwood, né quello che ha incassato di più, e quasi certamente non è neanche il suo migliore; ma è il più assurdo, il più estremo, il più esagerato – un action anni Ottanta in anticipo di qualche anno, il genere di film che sarebbe diventato poi il pane quotidiano di Schwarzenegger, Stallone, Bruce Willis e compagnia menante.
Alla fine la scelta produttiva ricadde su quella che al tempo era una coppia anche nella vita, composta da Clint Eastwood (già scelto come regista) e Sondra Locke. Il primo è Ben Shockley, un archetipo di poliziotto non convenzionale, il tipo che non si fa la barba quando deve andare a parlare con i superiori e che usa metodi non ortodossi ma spesso efficaci; uno sbirro quasi da noir, ma senza alcuna patina di romanticismo, solo una chiara puzza di alcool e di vestiti non cambiati da giorni – l’erede di Harry Callahan, ma anche l’antenato dei vari Joe Hallenbeck e Martin Riggs. Locke, invece, è Gus Mally, una prostituta che Shockley deve prelevare da Las Vegas e riportare a Phoenix perché è una “testimone da nulla in un processo da nulla”. Ovviamente il nulla non è nulla, anzi: Mally è una testimone scomoda in una vicenda che non vi racconteremo perché scoprirla è metà del divertimento, e deve venire eliminata prima che possa arrivare a Phoenix; questo dettaglio trasforma il comodo viaggio in aereo da Las Vegas a Phoenix in una fuga disperata, un road trip che porta Ben e Gus ad attraversare un pezzo di America con svariati mezzi di trasporto ed evitando nel contempo alcune migliaia di proiettili sparati nella loro direzione.
Certamente il fatto che Eastwood e Locke al tempo fossero una coppia aiuta a creare quell’alchimia (provate a guardare questa scena) della quale la sceneggiatura si interessa relativamente poco; e le rare scene in cui stabiliscono un dialogo, e discutono della bellezza di andarsene dalla città per rifarsi una vita in campagna con un giardino un cane e tre figli, sono curiosi momenti di lode all’americanità media che colorano ulteriormente la personalità dei due. Ma il vero motivo per guardare L’uomo nel mirino è un altro, o tanti altri: tra gli aneddoti sulla produzione raccontati nel libro Clint Eastwood: Hollywood's Loner di Michael Munn (nessuna parentela con Olivia) si trova per esempio il fatto che per una delle sparatorie (non quella finale, una di quelle che accadono lungo la strada) sono state usate circa 7.000 miccette per simulare un identico numero di proiettili, o che quando vediamo l’elicottero schiantarsi a terra non è CGI, ma un elicottero vero, anche se senza motore, costruito apposta per essere distrutto.
L’uomo nel mirino è un film massimalista ed eccessivo, nel quale il protagonista comincia a mostrare i primi segni di quella plot armor che caratterizzerà tutta l’action anni Ottanta: la proporzione tra proiettili sparati e colpi andati a segno farebbe sentire meglio anche gli Stormtroopers di Star Wars, e il rapporto tra numero di oggetti che esplodono e persone che ci lasciano le penne è altrettanto sbilanciato verso la distruzione totale. È tutto quanto così ad alto volume che si passa facilmente sopra ai difetti, a certe lungaggini, a dialoghi scritti con il minimo sindacale di attenzione e persino a una trama che, a voler ben vedere, è tanto scema quanto assurda; in cambio però abbiamo Clint Eastwood in versione one man army che insegna il mestiere a chi verrà dopo di lui: per noi va benissimo così.