Unfriended era profetico, ma non come credevamo
Unfriended dovrebbe parlare di cyberbullismo e viralità, ma nel 2021 si fa notare soprattutto perché è un horror da lockdown
Nella per ora limitata ma comunque in netta crescita lista di film ambientati interamente sul desktop di un computer – li chiameremo da qui in avanti “desktop movies” o ancora meglio “desktop horror”, visto che la stragrande maggioranza esistono per provare a fare paura –, Unfriended di Levan Gabriadze è uno dei più vecchi ma anche uno dei più importanti e, più semplicemente, dei migliori. È uscito nel 2014, sette anni nel mondo reale che su Internet diventano un’eternità e mezzo, eppure sta riuscendo nel miracolo di non invecchiare (troppo); e gli eventi che hanno scosso il mondo nel 2020 e oltre, quegli eventi lì, uno in particolare, dai che sapete di cosa stsiamo parlando, hanno avuto un effetto inaspettato sul film: lo hanno addirittura ringiovanito, e l’hanno reso spaventoso per motivi completamente diversi da quelli che aveva in mente Nelson Greaves.
Quest’ultima frase basterebbe a far capire che Unfriended è, per molti versi, un film che ha gli anni che ha e se li sente tutti: i social sono cambiati, l’utilizzo che se ne fa anche, e oggi con ogni probabilità un gruppo di ventenni non avrebbe neanche un account Facebook, figuriamoci usarlo con l’ossessività tipica di noi persone più vicine ai quaranta che ai venti. È un rischio calcolato quando si parla di Internet, e a dirla tutta non inficia in alcun modo sull’impatto di Unfriended: il mezzo cambia, le dinamiche restano più o meno le stesse, e le riflessioni che il film vuole fare sul confine tra pubblico e privato e tra scherzo in amicizia e bullismo valgono oggi quanto valevano nel 2014, indipendentemente dal social di riferimento.
È una triste storia vecchia come i 56k, trattata tra l’altro con un certo delizioso cinismo, perché Laura ci viene presentata non solo come vittima, ma anche per quello che era prima dell’episodio incriminato, cioè, perdonateci il termine, una stronza aggressiva e violenta; i sei (sette, se contiamo Laura) personaggi in cerca di wi-fi non sono scritti solo per rappresentare archetipi classici del genere, anche se questo aspetto non manca, ma sono soprattutto esseri umani strapieni di difetti e con rapporti più complicati del classico “ci vogliamo bene e ci troviamo su Skype per ribadircelo e farci complimenti”. Nulla di tutto questo giustifica quello che succede a Laura e Unfriended ci tiene a metterlo bene in chiaro, ma bisogna riconoscere a Nelson Greaves che il suo approccio all’argomento è decisamente più raffinato e stratificato di quanto ci si aspetterebbe da un horror costato 1 milione di dollari.
(dank&deep fried Universal logo)
E con questo abbiamo coperto l’aspetto tematico, i contenuti del film – OK, non vi abbiamo detto che lo spirito di Laura si manifesta sotto forma di misterioso utente Skype e che con il passare della serata la sua presenza si fa sempre più fisica e la gente comincia a morire, ma questo lo diamo per scontato visto che parliamo di un horror soprannaturale. Quello che Unfriended diceva nel 2014 sul cyberbullismo è valido ancora oggi, ma non è nulla di nuovo; quello che era nuovo otto anni fa, e che è stato rinnovato dalla pandemia, è invece l’aspetto più tecnico, realizzativo, di messa in scena – l’idea di ambientare tutto su un desktop, insomma, in una sorta di evoluzione in remoto dei found footage alla Blair Witch Project. E come nei migliori found footage, Unfriended fa di tutto per non rompere l’illusione e distruggere l’immersione: unità di tempo, montaggio ridotto a zero, l’unica concessione alla post-produzione è un lavoro sui volumi delle conversazioni che serve a escludere il rumore di fondo durante certe sequenze. Verrebbe quasi da dire, se non fosse che Nolan se la prenderebbe a morte, che la dimensione ideale di Unfriended non è la sala cinematografica ma lo schermo di un computer o di un tablet, che contribuisce alla sensazione di stare partecipando silenziosamente ma in prima persona alla conversazione in corso.
Al tempo era un approccio nuovissimo (prima di Unfriended ci avevano provato i minuscoli Megan is Missing e The Den, quest’ultimo in particolare consigliatissimo se vi interessa il genere), oggi un po’ meno, ma quello che c’è oggi, nel 2021, e che non c’era nel 2014 è un anno e passa di vita casalinga, più o meno solitaria e con una socialità aggrappata con unghie e denti a Skype, Zoom o quello che preferite usare voi. Quanto tempo abbiamo passato nell’ultimo anno in case altrui, viste però non in prima persona ma attraverso lo schermo di un computer? Quanta familiarità abbiamo ormai con la sensazione di solitudine che solo vedere un divano amico su Zoom senza potercisi svaccare è in grado di trasmettere? Unfriended gioca in maniera del tutto inconsapevole anche con queste emozioni, con l’impossibilità fisica di superare la barriera della conversazione in remoto, con la socialità tronca da lockdown; e fa più paura di quanta ne facesse nel 2014, perché immaginare di vedere un’amica torturata da uno spirito maligno via Zoom oggi fa inevitabilmente più effetto perché su Zoom abbiamo passato centinaia di ore e di brindisi a distanza.