Una separazione ha già 10 anni. Cosa c'era dietro il film di Asghar Farhadi
Come ci si può ribellare ad un regime dall'interno, senza rompere nessuna regola: il caso di Una separazione
Era il 21 ottobre del 2011 quando arrivava in sala in Italia il più importante film che sia mai uscito dall’Iran. Non ci sono mezzi termini. Anche i migliori titoli di Abbas Kiarostami non sono mai riusciti a sfondare il mercato americano come ha fatto Una separazione di Asghar Farhadi, non sono mai riusciti a segnare così tanto il resto del cinema continentale vincendo di prepotenza prima l’Orso d’oro a Berlino e poi l’Oscar al miglior film straniero (con anche una nomination per la miglior sceneggiatura originale la cui statuetta andò a Midnight in Paris di Woody Allen). Da lì in poi tutti gli altri cineasti iraniani, anche Jafar Panahi che pure con Il cerchio aveva vinto la Mostra del cinema di Venezia dieci anni prima, hanno avuto un’altra considerazione per tutta una stagione.
La storia di una coppia in via di separazione e di quello che accade all’uomo nel momento in cui una donna di servizio lo accusa di averla spinta, è un ganglio di misteri, accuse e continui rinfacci di torti e ragioni sullo sfondo di un paese in cui tutto è complicato. L’impatto di questa storia scritta con una precisione che raramente si trova nel cinema festivaliero (da sempre più interessato ad atmosfere, immagini e astrazione) riuscì nell’impossibile impresa di rendere un film iraniano minimamente commerciale. E lo fece con una storia vicina alla nostra sensibilità, una in cui i singoli si scontrano prima con il sistema e poi con le reciproche differenze sociali, religiose e infine morali, e solo con gli anni abbiamo capito che era anche una maniera, incredibile di battersi contro il proprio regime.
Il punto è che non c’è una maniera sola di ribellarsi e se Panahi gira film sbattuti in faccia al regime come Taxi Teheran, in cui mette una videocamera sul cruscotto di un’auto e guida per Teheran in modo che nessuno pensi che stia realizzando un film che non potrebbe girare, un film che contrabbanda al di fuori del suo paese e nel quale rompe qualsiasi regola possibile, Farhadi invece è rispettoso e sabota il sistema dall’interno. I film di Panahi li vediamo solo noi, quelli di Farhadi sono visti anche in Iran (per quanto non siano chissà che successi domestici). E Una separazione è un gioiello di protesta sottile.
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Una delle regole fondamentali da rispettare è che sullo schermo uomini e donne non devono toccarsi mai, per nessuna ragione. In Una separazione il punto di tutta la storia è se il protagonista abbia spinto o no la donna che lo accusa. L’azione avviene fuori campo, quindi noi non lo abbiamo visto e non è chiaro se possa essere censurato o meno. A questo si aggiunga che il continuo rimpallo di ragioni e torti rende di fatto impossibile capire anche a posteriori cosa sia davvero accaduto. Non si può sapere se il protagonista abbia o no toccato una donna e quindi non è possibile sapere se sia da censurare o meno. Il film rompe il meccanismo e ne dimostra l’idiozia di fronte ad una cosa così semplice come la complessità.
Oltre a questo ovviamente Una separazione è uno straordinario documento sull’inconoscibilità della realtà. Organizzando metodicamente una storia fatta per non avere personaggi positivi, fatta per poter accusare tutti e distribuire equamente torti, in un continuo ping pong etico in cui siamo sballottati così tanto da una parte e dall’altra della barricata etica da non poterne più e arrivare alla conclusione che tutto quel sistema di accuse è sbagliato, Una separazione è thriller psicologico fatto di non detti. Come in un film di Dario Argento classico ad essere conteso è un evento, le cui ricostruzioni non sono mai affidabili davvero, in più c’è qualcosa nel passato dei personaggi che dobbiamo scoprire ed indagare, ci sono continui indizi che ricostruiscono le motivazioni di ognuno, continui castelli che ignoravamo e benché non strettamente legati all’evento si dimostrano importanti nel capirlo. Il contesto è tutto e il film ogni 10 minuti fornisce un dettaglio nuovo che lo modifica, dando un diverso significato al resto degli eventi.
La cultura del sospetto di cui noi spettatori diventiamo portatori, perché abbiamo sete di sapere chi abbia ragione, ci porta a continue supposizioni, continui pregiudizi e a puntare il dito di volta in volta contro chi appare indubitabilmente in mala fede.
E mentre siamo ammaliati da una scrittura realmente impressionante, non ci rendiamo conto della leggerezza della messa in scena di Asghar Farhadi, così abile a lasciar scivolare le scene da riuscire a non mettersi mai in mezzo, così concentrato da utilizzare le immagini e la composizione per stabilire rapporti di forza e illustrare le differenze mai dette tra queste due famiglie di un medesimo mondo.
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Dopo l’uscita di Una separazione molti altri film hanno tentato di raccontare le diverse parti di una storia, di complicare la rappresentazione della realtà e di mettere in scena un ping pong morale simile, senza mai avere la medesima concretezza. Anche lo stesso Farhadi che pure ha girato altri film eccezionali (Il cliente, Un eroe) non è mai riuscito ad esportare il modello (sia Il passato che Tutti lo sanno, nonostante cast di rilievo, non sono all’altezza dei suoi film iraniani). Una separazione rimane unico.