Una promessa è una promessa è un film di Natale dal punto di vista dei genitori

Una promessa è una promessa sembra una simpatica commedia natalizia ma in realtà è una pungente satira sul consumismo festivo

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Una promessa è una promessa è un bizzarro e incompreso capitolo della lunga carriera cinematografica dell’ex governatore della California, al secolo Arnold Schwarzenegger. Di più: è un bizzarro e incompreso film natalizio a tutto tondo, una delle pochissime (forse l’unico: accettiamo suggerimenti a riguardo nei commenti) opere cinematografiche che parla delle festività natalizie non dal punto di vista dei bambini, con i loro occhi luccicanti di fronte a montagne di regali, ma da quello dei loro genitori, costretti dalle pressioni sociali e dalla spinta al consumismo a orologeria a vivere i giorni prima del 25 dicembre come una guerra, un tutti contro tutti alla ricerca di quel singolo oggetto che può fare la differenza tra un abbraccio pieno d’amore e il Natale peggiore di sempre.

Una promessa è una promessa è una parabola universale

Una promessa è una promessa è, se vogliamo collocarlo in un’ideale tempolinea della carriera del suo protagonista, l’ultimo capitolo della sua fase comedy, quella cominciata con I gemelli, proseguita con Un poliziotto alle elementari e culminata in True Lies. È anche il quarto film in carriera di Brian Levant, che dopo l’esordio con Piccola peste torna a far danni (un mezzo flop, anche per via del fatto che uscì in contemporanea con un altro sequel ben più famoso, Terminator 2) e il successo di Beethoven e I Flintstones venne chiamato nientemeno che da Chris Columbus per dirigere una sceneggiatura scritta da Brian Kornfield (che dopo il film sparì dalla circolazione per sei anni e tornò con la storia per un film nel quale David Arquette combatte contro i ragni giganti) e riscritta proprio dal produttore.

La sceneggiatura in questione circolava in realtà dalla fine degli anni Ottanta, e la leggenda vuole che sia stata scritta da Kornfield sulla base delle sue personali esperienze di padre, e recuperata poi da Columbus per gli stessi motivi; se avete abbastanza anni sulla carta d’identità da ricordare gli anni Ottanta e Novanta, la loro storia è probabilmente anche quella dei vostri genitori. È questa: sta arrivando il Natale, e con esso si moltiplicano le pubblicità di QUEL giocattolo – voi sapete benissimo che avercelo o meno farà tutta la differenza del mondo nella vostra collocazione all’interno della gerarchia sociale scolastica, e i vostri genitori lo sanno altrettanto bene, e comprendono appieno l’importanza di mettere le mani su quell’oggetto per evitare conseguenze anche gravi sulla vostra stabilità psicologica.

Turbo Man

Questo si traduce, sempre nel contesto di una vita personale e lavorativa già frenetica e logorante di suo (che negli anni Novanta era più frequentemente associata alla figura paterna), in un periodo di massima tensione nel quale è importante sfruttare ogni finestra di tempo per quanto minuscola per provare a fare un passo avanti verso il sacro Graal che è quella scatola che campeggia in bella vista sugli scaffali dei migliori negozi di giocattoli. Pare che Kornfield avesse sperimentato la sua prima corsa all’oro quando cercò di acquistare le action figure dei Power Rangers, e che Chris Columbus avesse avuto invece la pessima idea di provare ad accaparrarsene una di Buzz Lightyear nell’anno dell’uscita di Toy Story, e nel corso dell’impresa avesse flirtato con la follia nel senso lovecraftiano del termine. Chiunque ha la propria versione (chi scrive per esempio, o meglio, i suoi genitori, può testimoniare che andò così almeno con il Super Nintendo e con le action figure dei Cavalieri dello Zodiaco), e le file chilometriche fuori dai negozi, i preordini, i magazzini svuotati, più di recente l’apparente impossibilità di ottenere una PlayStation 5, sono tutti deliri turboconsumistici che sono diventati negli ultimi quarant’anni una parte integrante di quello che è noto come “spirito natalizio”.

Una promessa è una promessa, soprattutto se la fa Schwarzenegger

Per il piccolo Jamie (Jake Lloyd, il futuro Anakin Skywalker della seconda trilogia di Star Wars), il sogno natalizio ha un costume rosso, un jetpack sulla schiena e svariati gadget che usa contro il cattivissimo Dementor e i suoi scagnozzi; si chiama Turbo Man ed è un supereroe, e la sua action figure sta finalmente per arrivare nei negozi, giusto in tempo per Natale. Purtroppo per lui il piccolo Jamie è figlio di Howard Langston (Schwarzenegger), un venditore di materassi troppo impegnato per prestare attenzione alla moglie Liz (Rita Wilson) e al figlio e con una memoria talmente scadente che quando Jamie gli chiede se per Natale può avere l’action figure di Turbo Man lui risponde “certamente!”, dimenticandosi che due settimane prima aveva già garantito alla moglie che ne avrebbe comprata una.

Una promessa è una promessa, dunque, è un film nel quale Jamie è l’obiettivo finale e suo padre è il protagonista: è la cronaca dei suoi sempre più deliranti tentativi di impadronirsi di un Turbo Man, che lo portano tra le altre cose a fare a botte con una banda di trafficanti di giocattoli vestiti da Babbo Natale che provano a rifilargli una action figure che parla in spagnolo, a scontrarsi più e più volte con le forze dell’ordine, a venire accusato di essere un pedofilo e persino a trovarsi nel bel mezzo di un allarme bomba. Con lui, o contro di lui, c’è il postino Myron (il comico David Adkins meglio noto come Sinbad), anche lui in cerca di Turbo Man perché non vuole fare la figura del perdente di fronte al figlio, e sullo sfondo si muove anche Ted (il comico del SNL Phil Hartman, qui al suo penultimo ruolo cinematografico prima di Small Soldiers, che uscì due mesi dopo la sua morte), viscidissimo e onnipresente vicino di casa e padre single corteggiato da tutte le mamme del vicinato ma con gli occhi solo per Liz.

Una promessa è una promessa Babbo

È un ritratto sociale di una disfunzionalità agghiacciante, se analizzato al di fuori del contesto comico del film, ed è solo peggiorato dal fatto che Una promessa è una promessa parla, di fatto, di due criminali che per un’ora e mezza infrangono la legge e mettono a rischio la vita degli altri perché hanno bisogno di un oggetto da consegnare al rispettivo figlio per dimostrargli un amore che non sono in grado di esprimere con la presenza o l’affetto, essendo oberati dalla vita ed emotivamente stitici. I bersagli perfetti per una bella campagna di marketing! Tornate a pensare al fatto che il film è stato scritto e riscritto da due padri disperati dopo aver cercato di ottenere un giocattolo in tutti i modi possibili: più che una satira del consumismo, Una promessa è una promessa sembra una resa, un modo per alzare le mani ed esclamare “OK, avete vinto voi” mentre ci si mette in coda davanti all’ennesimo negozio sperando che non abbia esaurito le scorte (al telefono hanno assicurato di no).

Botte Santa violenza alè alè

Ovviamente questa lettura viene completamente soffocata dal tono natalizio e festivo che permea tutto il film, che spicca anche tra i classici di Natale degli anni Novanta grazie a una quantità impressionante di luci, stelle comete, versioni di Jingle Bells, Babbi Natale, elfi vestiti verde. C’è persino una renna, che per qualche curioso motivo non si limita a rimanere sullo sfondo ed essere natalizia ma ringhia, ulula e diventa pure protagonista di una scena di combattimento contro Schwarzenegger, alla fine della quale si becca un pugno sul naso.

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Tutto questo per dire che, sotto la patina natalizia e di buoni sentimenti, Una promessa è una promessa nasconde una serie di perle nerissime, di scrittura e non solo. Dal Babbo Natale mafioso di Jim Belushi il cui unico ruolo è quello di portare il film verso una royal rumble tra un esercito di elfi e Santa Clauses che si scontrano con i bicipiti di Mr. Universo alle cupissime (e scorrettissime) riflessioni esistenziali di Myron, che alle dieci del mattino è già talmente appesantito dalla vita che prima si corregge il caffè, poi lo ignora per bere direttamente dalla fiaschetta, il film di Brian Levant è segretamente una distopia natalizia raccontata dal punto di vista di un padre assente, popolata di mamme aggressive e commessi che ti sfottono perché loro sanno tutto e tu niente; un viaggio di redenzione per dimostrare a tuo figlio che sei l’eroe e non il cattivo – e non è un caso che si concluda come si conclude, con un terzo atto indimenticabile se già conoscete il film e tutto da scoprire se non ne sapete nulla.

È probabile che stiamo sovra-analizzando quello che è solo un simpatico prodotto di intrattenimento e di buoni sentimenti, e che né Kornfield né Columbus volessero davvero dire tutte queste cose orrende e cinicissime sul Natale. Resta il fatto che, in questi tempi in cui la ressa del Black Friday è istituzionalizzata persino online e uscire a fare shopping in certi periodi dell’anno (fate pure “tutto l’anno”, almeno nel 2020) è un’esperienza potenzialmente letale, Una promessa è una promessa assomiglia pericolosamente a una profezia – possibile che si possa considerare il vero erede di L’alba dei morti viventi?

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