Un videosaggio dimostra: il suono in Toy Story combacia con la personalità di ogni personaggio

Avete mai ascoltato Toy Story? Woody suona diverso da Buzz. Un videosaggio spiega il complesso sound design del capolavoro Pixar

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Quando la Pixar ha creato il suo primo lungometraggio, Toy Story, era chiaro che la forma-cinema aveva subito un drastico e innovativo passo avanti. Il costo di fare una rivoluzione così radicale, come quello di un film realizzato interamente in animazione digitale, porta con sé un fardello: una volta iniziata una rivoluzione, in questo caso quella visiva, bisogna adattare tutto il resto ad essa.

È arrivato da poco su YouTube un video del canale The Royal Ocean Film Society dedicato all’analisi del suono nel primo Toy Story. Potete vederlo in cinema all’articolo.

Che cosa viene detto?

Se il cinema in live action può contare sul suono in presa diretta, o comunque su una produzione di suoni già codificati e accettati dall'orecchio, quando si tratta di animazione tutti diventa più complesso. L’importanza del suono viene, si perdoni il gioco di parole, letteralmente amplificata. In particolare, nel caso di personaggi non realmente esistenti (come quelli di Toy Story), va creato tutto da zero.

Nel video viene dimostrato come Gary Rydstrom, lo storico sound designer del film, abbia utilizzato il suono in una chiave psicologica. Partì da un assunto: i giocattoli non esistono nella realtà, ma i materiali con cui sono fatti sì. Eppure se ci si fosse limitati a una riproduzione pedissequa del reale sfregamento tra superfici, il film sarebbe apparso piatto, monotono, musicalmente noioso.

Così non è: se si presta attenzione all’arco narrativo di Buzz Lightyear si può notare come i suoni del mondo siano organizzati proprio in riferimento alla personalità del personaggio, quando la scena è dedicata a lui. Buzz, a inizio film, è convinto di essere uno space ranger, e non un semplice giocattolo. Lo conosciamo acusticamente come se fosse un personaggio di un film di fantascienza. Il respiro affannoso non è molto distante da quello di Darth Vader di Star Wars. Il casco che si ritrae suona come il portellone di un’astronave. Il laser, lo scricchiolare delle giunture non certo sono quelle di un giocattolo reale. 

Quando il personaggio impatta letteralmente contro la realtà e rompe il velo che copre la sua illusione, il sound design ritorna a raccontare alle orecchie un giocattolo fatto di plastica dura. 

Toy Story

Il suono fa il tono del film, e non solo. Oggetti normali e quotidiani come un’auto che sfreccia sulla strada diventano mostri lovecraftiani se ci mettiamo nella testa dei minuti personaggi. Se la storia deve essere di giocattoli, allora è giusto che tutto il mondo si rapporti a loro. 

Gary Rydstrom riesce così a ritmare il film attraverso contrasti. La dinamica dell’audio, proprio come nei brani musicali, crea colore, atmosfera e tensione. Serve il silenzio prima, per sentire i boati dopo, e viceversa. Toy Story lavora quindi sulla scala. Un suono può essere esagerato o meno. Il cane che tiene in scacco l’intera casa è “doppiato” a seconda delle situazioni con rumori di animali differenti. Abbaia come un cane normale n una situazione emotivamente uniforme. Quando invece Woody deve sopravvivere ai suoi attacchi, il cane emette i suoni di un leone, o addirittura di un mostro dalle origini aliene. 

Contrariamente a quello che si crede non è facoltà dello spettatore decidere se un suono sia realistico o no. O meglio, è possibile prestare attenzione (magari chiudendo gli occhi) al lavoro fatto sul sound design e riconoscere dei suoni messi in un contesto che non gli appartiene. Si può fare, ma richiede concentrazione e una scarsa immedesimazione con la storia. Toy Story non ha inventato questi principi, ma li ha adattati bene alla nuova estetica. Li ha usati per risolvere alcuni problemi narrativi e coprire alcune incertezze grafiche.

Dipende infatti dal contesto in cui è collocato se un suono è realistico o no. Ecco quindi che fuori dalla camera di Andy tutto suona più grande, imponente e minaccioso. Ma non ce ne accorgiamo, perché è coerente con la storia e con la prospettiva in cui siamo immersi. Il suono è l’effetto speciale più invisibile, eppure, spesso, il più importante, per far percepire un insieme di poligoni come un materiale tangibile. E a sua volta per far si che "l’impressione" su schermo di un oggetto sia anche un individuo con cui identificarci.

Fonte: filmshoolrejects

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