Un tesoro nascosto
Da venticinque anni, è uno dei maggiori registi e sceneggiatori del mondo. Oltre alle sue opere personali, si occupa anche di migliorare blockbuster che hanno problemi. Eppure, il suo nome è pressoché sconosciuto. Si tratta di...
Ma pensando a John Sayles, viene in mente la dichiarazione di Brian Eno sui Velvet Underground: “all’epoca, furono pochissimi ad ascoltarli, ma tutti loro poi formarono un gruppo”. A parte le esagerazioni e tornando all’ambito cinematografico, è indubbio come questo regista/sceneggiatore abbia suscitato una profonda influenza nel cinema americano e mondiale: basta guardare le sue opere.
Nel 1980 esce The Return of the Secaucus 7, prodotto a bassissimo costo, in cui viene descritto l’incontro, dopo molti anni di lontananza, di un gruppo di amici che ha vissuto attivamente gli anni sessanta. Vi sembra la trama de Il grande freddo? Assolutamente sì, solo che è stata realizzata tre anni prima. Nel 1983, Lianna: un amore diverso proporrà le vicende di una protagonista con un matrimonio in crisi e soprattutto impegnata in relazioni con altre donne, un argomento decisamente poco visto al cinema fino a quel momento e che poi rappresenterà quasi un filone all’interno del cinema da Sundance negli ultimi anni (con prodotti quasi sempre più solari e superficiali rispetto al prototipo).
E che dire de La città della speranza, del 1991, che mostra una serie di personaggi che si incrociano in una città piena di imbrogli, difficoltà familiari e macchinazioni politiche? Considerando che qualcuno, recentemente, con la stessa idea (ma con risultati artistici decisamente minori) ha vinto l’Oscar, forse non era malaccio…
E che dire degli attori che ha lanciato? John Sayles è stato uno dei primi ad offrire spazio ad un’emergente come Angela Bassett, in pellicole come La città della speranza e Amori e amicizie. Ma, soprattutto, ha stretto relazioni forti con due interpreti straordinari come David Strathairn e Chris Cooper, che, oltre ad aver iniziato praticamente la loro carriera con lui, hanno lavorato rispettivamente in sette e tre film da lui diretti.
Non parliamo poi di alcuni sui fallimenti immeritati. Otto uomini fuori è probabilmente il suo film più costoso (quantomeno per l’epoca in cui si svolge, gli anni venti e trenta), ma si tratta anche di uno dei migliori prodotti sportivi moderni. Senza dimenticare, ovviamente, il fatto che la storia narrata sarà poi alla base de L’uomo dei sogni (tanto per cambiare, prodotto che ha avuto un successo ben maggiore). Così come andò male Limbo, che doveva essere la pellicola della svolta per via di un budget impegnativo e un grande sforzo della casa di distribuzione, ma che probabilmente ha pagato un finale coraggioso, in perfetta sintonia con il titolo.
Quello che è chiaro è che, al di là dei risultati artistici (che possono essere più o meno felici) Sayles è ancora interessato agli esseri umani che racconta, cosa che ormai sembra patrimonio soltanto di alcuni registi di una certà età (lo Scorsese di The Departed, Clint Eastwood e il suo Lettere da Iwo Jima, Stallone con Rocky Balboa). Se cercate, in effetti, finali a sorpresa insensati e una serie di battute ad effetti decerebrate (elementi che vanno per la maggiore), Sayles non fa per voi. E se siete tra quelli che hanno stravotato Quentin Tarantino come il regista americano più importante tra quelli che non hanno ancora vinto l’Oscar nel sondaggio di IMDB, lasciate perdere: John Sayles non va di moda e probabilmente non lo sarà mai.
Ma, a proposito di Oscar (per ora soltanto due candidature per le sue sceneggiature), state tranquilli che il suo talento prima o poi verrà riconosciuto. Almeno, con un premio alla carriera…