Un Sacco Bello ha festeggiato 40 anni, l'esordio con cui Verdone liberò la commedia dalle battute

Prodotto da Sergio Leone, dotato di maestranze incredibili e con co-sceneggiatori di altissimo livello Un Sacco Bello è una delle commedie di svolta del nostro cinema

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Un Sacco Bello, lo speciale per i 40 anni del film di Verdone

Quando Carlo Verdone, comico televisivo di gran successo ma diplomato in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia nonché figlio di un importante professore di storia del cinema (nonché dirigente del CSC, un bel conflitto d'interessi), Mario Verdone, e amico personale di Sergio Leone, esordisce nel suo primo lungometraggio, Un Sacco Bello, non sa fare niente. Lo dice lui stesso, non sapeva niente (non una gran pubblicità per il Centro Sperimentale). Sergio Leone era il produttore del film e gli aveva dato il suo montatore, il suo costumista, il suo truccatore, il compositore delle sue colonne sonore (Ennio Morricone) e due sceneggiatori con cui aveva lavorato per C’Era Una Volta In America che erano anche fortissimi nella commedia (Benvenuti e De Bernardi, Amici Miei il loro film più famoso ma avevano scritto anche Fantozzi, I Complessi, Il Seduttore e moltissimo altro).
Ha un dream team, come lo avrà anche per Bianco Rosso e Verdone, il suo secondo film, anch’esso prodotto da Leone, impensabile per qualsiasi esordiente. Il risultato è una bomba.

Basta ascoltare questo tema di Morricone, così tipico e così originale al tempo stesso, per capire che questa non è la commedia italiana di un comico televisivo. Come sempre le musiche di Morricone non sono solo belle, ma danno un tempo alle scene. Non è possibile fare screwball comedy con questo score, non è possibile avere i tempi di Woody Allen o quelli di Roberto Benigni. Questa musica molle da calda estate romana detta la linea al film che o la segue o è costretto a cambiarla. È perfetta per girare allo zoo con Marisol, per darsi appuntamento al Palo Della Morte per partire per Cracovia con le calze di nylon o per chiedere l’elemosina al semaforo e incontrare un padre da tempo abbandonato. Tutte storie tristissime che trasformano un tratto che in tv era grasso e godereccio (la romanità) in qualcosa di malinconico.

Carlo Verdone con questo primo film crea un’idea prima sconosciuta, cioè che il tipico stile italiano capace di trovare qualcosa di irresistibilmente divertente nella quotidiana amarezza della nostra vita, ha una specifica declinazione romana e che questa è la solitudine, una solitudine terribile, alle volte accettata con passività (Leo), alle volte nascosta e rigettata (Enzo) altre volte combattuta alla ricerca del figlio perduto (Ruggero).
Soprattutto compiva un’operazione clamorosa, sperimentata in televisione che trovava in Benvenuti e De Bernardi alleati perfetti: si liberava della battuta. Saranno 4 o 5 le battute che si trovano nel film, cioè quelle frasi o botta e risposta che anche decontestualizzati fanno ridere (“I soldi te li dò ma non ti ci comprare le droga” - “A parte che co du gettoni è un po’ difficile...”), il grosso dell’umorismo viene dalla situazione. Magari è scatenato da una battuta (“A stronzo, punto esclamativo”) ma non si tratta di una punch-line, è un pezzo di un puzzle che non farebbe mai ridere da solo, che non fa ridere a raccontarlo, fa ridere solo all’interno di una scena, come detonatore ultimo. Ma non solo, il grosso delle risate viene dai vestiti, dalla recitazione (“Non so communista così, so communista così” fa ridere solo lo dice Brega e se lo dice in quella maniera), dalla piccola situazione che Verdone riesce a creare con poco (“Bravo! Mo’ allargalo pure così invece che 1 ce ne cascano in 10” detto da uno che guarda alla finestra è una fuoriuscita da tutto incredibile e poi dopo il suo inserto con “...e accompagnala!” è anche oltre quel che si fa a teatro. È Verdone e basta).

https://www.youtube.com/watch?v=l7jAGNZSkS8

Volendolo o no, Verdone si attacca direttamente a quel che aveva fatto Villaggio in Fantozzi (con Benvenuti e De Bernardi non casualmente), si libera del tutto della risata a comando, e crea un’atmosfera esilarante il cui odore è nell’aria, nel paradosso di situazioni immediatamente riconoscibili come vere, non grottesche né esagerate, semplicemente vere. Alla base ci sono sempre sentimenti di immediata condivisione (la solitudine, l’amore del padre di Ruggero, il desiderio di una donna di Leo) su cui si innestano comprimari e personaggi così caratteristici da creare lentamente e senza che il pubblico se ne accorga situazioni che quando esplodono fanno ridere. Ma a quel punto non stiamo ridendo di una trovata (come avviene nelle barzellette), stiamo ridendo di un piccolo mondo come in Fantozzi. Stiamo ridendo di un’automobile ridicola con i sedili che si abbassano di scatto che rispecchia bene il carattere di chi la guida, o di un racconto di un prete che non c’entra niente con quel che era chiamato a fare in un salotto borghese pieno di fumo.

E dire che originariamente Un Sacco Bello entrava dritto dritto nel filone dei film dei comici. Lo stampino lo aveva fissato Celentano che comico non era, almeno non di primo lavoro, ma lo stesso aveva creato il one man show all’italiana, in cui c’è una ragazza da conquistare e per l’appunto il comico che ha tutte le gag del film, di regola proprio battute (anche se Celentano preferiva quelle fisiche). Verdone con il successo dei primi film lo canonizza (poi dopo cambierà e andrà altrove) e sarebbe stato lo stesso schema e impostazione usata poi da Pieraccioni, Aldo Giovanni e Giacomo, Zalone e tutti gli altri. Eppure, complici Benvenuti e De Bernardi (la cui figlia Isabella nel film interpreta la fidanzata di Ruggero), complice Morricone, complice un montaggio invisibile ma capace di alternare con il ritmo giusto (mai forte, sempre costante) le situazioni e dare respiro giusto alle battute, Un Sacco Bello non ha paragoni. Basta la maniera in cui solo a parole e con il movimento del corpo crea racconti e situazioni interni al film, anche qui senza nemmeno una battuta che sia una, ma pieno di risate per parole come “Plof”, “Piranes”, “un bel ragazzo pure lui”, “Spada de foco”, “Nostro signore Gesù Cristo!”.

https://www.youtube.com/watch?v=iRrE79dPmyQ

Ovviamente c’era il genio di Verdone, quello che poi lui avrebbe confermato in una carriera più che 30ennale come nessuno in Italia oggi può dire di avere per successo e costanza, ma l’impressione è che Un Sacco Bello, forse per l’unica volta nella sua carriera, sia un vero sforzo collettivo che non si nutre solo delle sue idee. Oltre a tutti i membri della troupe già citati ci sono anche i caratteristi Renato Scarpa, attore vero e bravissimo, e Mario Brega, attore da sfondo, comparsa da Cinecittà, il grosso che mena in Per Un Pugno Di Dollari ma anche passante in tanti film, la cui personalità colpisce così tanto Verdone che gli cuce addosso un personaggio che somiglia più a Brega stesso che a un’invenzione letteraria. Sono tutte intuizioni da regista vero queste, cioè la capacità di aggregare talenti e farli lavorare in maniera omogenea.

Tuttavia c’è anche qualcosa di più. Quando Leo, timido mammone rimasto solo a Roma per ferragosto, gira per lo zoo con una spagnola vivace e sensuale incontrata fortuitamente, c’è veramente un’altra aria che si respira, non è una scena strettamente comica, né strettamente sentimentale, non ha niente del cinema dei comici (sempre ossessionato pornograficamente dallo sketch e dal giungere alla risata). Se il momento in casa di Ruggero in cui Verdone fa il figlio hippie, il prete ciecato e l’inflessibile professore d’altri tempi dell’ultimo piano è uno sketch puro, attimi come lo zoo o come la preparazione di Enzo davanti allo specchio non hanno niente della povertà cinematografica dei comici televisivi e tutto della grandezza cinematografica dei comici.

https://www.youtube.com/watch?v=OO3pY-4eBTE

Infine, come per qualsiasi cosa riguardi Verdone, esiste una mole aneddotica senza fine riguardo questo film. Lui stesso su Facebook spesso ne tira fuori (o inventa??) di nuovi ed inediti, di frequente con al centro Mario Brega o, quando c’è, la sora Lella. Inutile stare qui a passarli in rassegna. No anzi uno va citato per forza: la sera prima del primo giorno di riprese Verdone non dormiva per la tensione. Lo chiama al telefono Leone: “Nun stai a dormì eh” gli dice “scendi che se famo na passeggiata”, lo chiamava da una cabina telefonica sotto casa sua. Verdone scende e camminano a lungo quella notte, Leone gli spiega le 5 inquadrature fondamentali del cinema, e gli dice: “Te usa queste e non avrai mai problemi”. Era per lui un padre buono ma anche terribile. Un mese dopo a metà lavorazione sarebbe arrivato sul set come una furia per certe storie da poco, l’avrebbe rimproverato urlando davanti a tutti e l’avrebbe costretto a scendere le scale e andar a prendere delle cose di corsa. Un’umiliazione tale davanti alla sua troupe che poi, una volta andato via Leone, parte della stessa lo avrebbe dovuto consolare. Un atto di nonnismo.

Continua a leggere su BadTaste