Un mondo perfetto è una sinfonia in toni di grigio
Compie trent’anni Un mondo perfetto con Kevin Costner, uno dei film più affascinanti e ambigui del Clint Eastwood regista
Un mondo perfetto uscì al cinema in Italia il 17 dicembre 1993
Un mondo perfetto e fatto a strati
Questo in teoria, in superficie appunto. In realtà, quello di Un mondo perfetto è, al contrario di quanto ci suggerisce con il suo titolo, un mondo di toni di grigio e ambiguità morali, nel quale non c’è posto per gli estremismi, in alcuna delle due direzioni – non c’è nessuno che sia buono e puro (con la possibile eccezione del personaggio di Laura Dern, che però è anche sottosfruttato) ma allo stesso modo non c’è spazio per nessuno che sia assolutamente cattivo. E infatti la sceneggiatura toglie subito di mezzo il complice di Butch, perché non c’è posto per lui in questa storia: Terry Pugh è uno stupratore, un pedofilo e una persona crudele, e la sua presenza rovinerebbe la dinamica da sindrome di Stoccolma che si sviluppa nel corso del film.
E quindi Un mondo perfetto lo elimina dal quadro, senza troppa pietà, facendoci nel contempo vedere che questo avanzo di galera che nella scena precedente aveva salvato una donna innocente da uno stupro non si fa problemi a piantare una pallottola in fronte a un altro essere umano. E qui c’è un altro strato da scoprire, perché in tutto il film (e, scopriamo, in tutta la sua vita) Butch ha ucciso solo due persone: una gli aveva fatto del male quando era un bambino, l’altra (Terry, appunto) aveva provato a fare del male a un bambino. Si coglie il fil rouge?
Clint vs. Sigmund
Perché appunto, Un mondo perfetto è anche un film freudiano, un film di figli che non vogliono che le colpe dei loro padri ricadano su di loro. Butch, scopriamo nel corso dell’opera, ha passato un’infanzia di violenze e abusi, e oggi, da adulto criminale, perde la calma solo quando vede una persona che usa violenza su un bambino. È una sorta di vendicatore della sua stessa infanzia rubata, una vittima di una famiglia disfunzionale che, nel corso del suo viaggio in compagnia del piccolo Phillip (il bambino rapito, appunto), fa la conoscenza di un ampio campionario di tipiche famiglie americane apparentemente perfette – salvo poi scoprire che tutte quante nascondono un segreto, e che questo segreto è sempre “abusiamo in qualche modo dei nostri figli”.
È il grande gioco di prestigio morale di Un mondo perfetto: il protagonista è anche un criminale e un assassino, ma è al contempo l’unico che ha rispetto per l’infanzia e non usa i bambini come sfogo per le proprie frustrazioni. Di più: è l’unico che tratta Phillip da suo pari, come un adulto, invece che con la condiscendenza e l’aria di superiorità tipica di chi non è più bambino da tempo. Il rapporto che si sviluppa tra i due è, come detto, da manuale della sindrome di Stoccolma; ma è anche in parte giustificato dal modo in cui il rapitore si approccia al rapito, vedendolo come un essere umano e non come un simbolo di qualcosa. Butch conquista Phillip con i dettagli, con piccoli gesti concreti, ma è la sua attitudine generale nei confronti del bambino che ha rapito che serve magari non per assolverlo dagli altri suoi peccati, ma sicuramente per ricordarci che, criminale o meno, è prima di tutto un essere umano.
Un mondo perfetto, senza buoni né cattivi
Il contraltare ovviamente è il fallibilissimo e molto umano Texas Ranger interpretato dallo stesso Clint Eastwood: lui e i colleghi sono lo yang per lo yin di Butch, sono in teoria “i buoni” ma dimostrano di avere un cuore nero quanto ce l’hanno “i cattivi”, tra sessismo, abusi e quell’aria da giustizieri della notte che solo le forze dell’ordine americane riescono ad avere. La tensione, in Un mondo perfetto, arriva spesso dalle direzioni sbagliate: si ha sempre la sensazione che sia Butch l’unico ad avere davvero a cuore le sorti di Phillip, e che quelli che dovrebbero salvarlo stiano in realtà inseguendo ciascuno i propri scopi, che sia dimostrare di essere all’altezza del compito o semplicemente (come vale per esempio per l’agente dell’FBI) saziare la propria sete di sangue.
Il risultato di questo affresco dipinto ad ambiguità è che Un mondo perfetto è un film senza buoni o cattivi (bambino a parte), e nel quale sembra che ogni personaggio stia seguendo una propria personale parabola che solo incidentalmente incrocia quelle degli altri. È un film di gente che si guarda l’ombelico, e intanto c’è un bambino che viene sballottato in giro per il Texas e bombardato da un’enorme quantità di stimoli e rivelazioni che sicuramente gli creeranno più di un conflitto interiore nel suo percorso di crescita – ma questo interessa il giusto sia a Butch, sia a Red il Ranger. Ed è giusto così: anche il mondo reale è per la maggior parte del tempo un pastone grigio nel quale non esistono il male e il bene assoluti, ma un’infinità di sfumature, e l’unica speranza che abbiamo è di riuscire a gettare ogni tanto un po’ di bianco nella miscela per sentirci a posto con la coscienza.
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