Un gran film italiano sui rider: Anytime Anywhere batte Pif e Frank Matano
Il Bad Movie della settimana è Anywhere Anytime, di Milad Tangshir, al cinema dall'11 settembre
Premessa
Li vediamo ogni giorno per le nostre strade e durante il biennio Covid 2020-2022 probabilmente li vedevamo anche tre volte al dì davanti l'uscio di casa: i rider. Abbiamo fatto tre film sull'argomento. Primi furono il collettivo de L'ultimo piano, bizzarro film diretto da nove registi. I nomi sono: Giulia Cacchioni, Marcello Caporiccio, Egidio Alessandro Carchedi, Francesco Di Nuzzo, Francesco Fulvio Ferrari, Luca Iacoella, Giulia Lapenna, Giansalvo Pinocchio, Sabrina Podda. Uscito dalla scuola di cinema pubblica sita in Roma Gian Maria Volonté, è pronto per il Festival di Torino a dicembre 2019 per poi uscire su Rai Play in pieno Covid nel 2020. Non è il protagonista ma Simone Liberati in quel dramma giovane di coinquilini gen Z e millennial insieme a vecchio gen X pedalava come rider per le strade di Roma con mascherina graficamente aggressiva, aveva rinvigorenti rapporti sessuali occasionali filmati con impeto e divertimento, cosa oggi rarissima (autori dell'eros: Lapenna e Carchedi), guadagnava benino ed era strafottente. Si chiamava Matias. Il suo segmento dentro quel film collettivo aveva un bellissimo finale dal sapore distopico in cui il suo personaggio individualista incontrava malattia (non tutelata), competizione e mancanza di solidarietà generazionale. Ci sarebbe venuto fuori un film eccellente. Magari lo si poteva contaminare con elementi noir, action o thriller come fece David Koepp con il suo bike-messenger protagonista interpretato da Joseph Gordon-Levitt in Senza freni (2012). Lo mettiamo al numero 2 della classifica “film italiani con rider”. Poi è arrivato Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, con E noi come stronzi rimanemmo a guardare (2021), presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Era un mélange di generi (fantascienza, satira, sentimentale, dramma) dove Arturo Giammaresi (Fabio De Luigi) veniva licenziato da un algoritmo che aveva creato lui stesso, finendo a fare il rider stagionato per una metropoli steampunk misto di Roma, Milano, Torino e Mumbai. Come spesso capita al cinema di Diliberto, la parte politica è buona, quella sentimentale un po' meno. Non si sentiva mai il lavoro di rider da parte di De Luigi lungo tutto un film privo di corporeità, mentre quel furente Liberati ne L'ultimo piano sarebbe stato degno protagonista di un nervoso dramma metropolitano stile Taxi Driver con lavoratore italiano millennial. Sognando sempre che il suo personaggio ne L'ultimo piano possa un giorno espandersi, abbiamo visto il nostro terzo film con il mestiere di rider al centro del racconto. È finora il migliore, visto che non possiamo inserire il Mario di Frank Matano di Una notte da dottore (2021) nella classifica perché la sua mansione di rider per Deliveroo appare poco, visto che il personaggio verrà chiamato a fare altro in quel film diretto da Guido Chiesa.
Anytime Anywhere
Il miglior film italiano a tema consegne su due ruote ha una grande battuta: “Un rider nero è un rider nero”. Serve a spiegare l'intercambiabilità dei corpi e dell'identità del rider a seconda di razza, colore della pelle e provenienza geopolitica. Si intitola Anytime Anywhere. È il nome della società presso cui va a lavorare Issa in quel di Torino. Lui viene dal Senegal, è qui da sei anni, non possiede permesso di soggiorno (a differenza dell'amico ormai italianizzatosi in Mario), balbetta, sgobba in “nero” al mercato di Porta Palazzo. Il film diretto dall'iraniano classe 1983 Milad Tangshir, prodotto da Roberto De Paolis e coscritto dal narratore del sottoproletariato torinese Daniele Gaglianone, è stato da poco presentato alla Settimana Internazionale della Critica dentro la 81esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Ha vinto il Premio Luciano Sovena per la Miglior Produzione Indipendente. Racconta molto bene la solitudine torinese di Issa (per flirtare con una ragazza le racconterà quali autobus sono i migliori per dormirci sopra quando hai freddo), nonché l'invidia latente e crescente per “Mario” (scorrendo i social dell'amico, Issa lo vede in tante foto armoniosamente mischiato a noi bianchi). Le sue giornate diventano quelle di un disoccupato, dopo che a Porta Palazzo gli hanno dato il benservito. Si arrangerà anche lui in sella a una bicicletta per Torino. Mario gli passa il suo account ancora aperto perché tanto “un rider nero è un rider nero” e quindi nessuno si accorgerà della differenza tra i due. Dopo aver comprato una bici usata da un biciclettaio apparentemente perbene, Issa comincia a darsi da fare.
Il contesto di Torino
Ottima la presenza di Torino evocata con autobus di linea (il 77), mense e centri di assistenza (Caritas e San Vincenzo), moduli abitativi gestiti dalla Croce Rossa (vi risiede Issa), strade (corso Peschiera, Vittorio Emanuele II, Inghilterra), mercato delle pulci Balù Green. Ad Issa, a un certo punto, fregano la bici. E parte un'odissea investigativa. Ogni riferimento a Ladri di biciclette (1948) non pare casuale.
Conclusioni
Ecco un ottimo film sul rider occasionale, incapace di prenderci gusto come il personaggio di Matias di Liberati ne L'ultimo piano perché il furto del suo strumento di lavoro gli impedirà di svolgere la mansione per gran parte degli 82 minuti di racconto. Ma bastano quelle poche sequenze per ergere Anytime Anywhere a più efficace pellicola nostrana sull'argomento. Dopo aver visto Issa in un veloce “montage”, come direbbero gli autori di South Park nel loro divertente Team America (2004), fatto di consegne e laute mance (manca il sesso occasionale de L'ultimo piano), il film prenderà una piega più di indagine cittadina e quasi thriller quando il nostro balbettante protagonista Ibrahima Sambou cercherà i ladri (albanesi?) della sua bici e verrà coinvolto in un epilogo violento ottimamente organizzato da Tangshir alla regia. Che meraviglia la chiusa in una spiaggia che sembra il ritorno al deserto del Sahara, dove il protagonista rimane ossessionato da quel nome “Mario” che simboleggia sia l'agognata italianità (Issa non voleva raggiungere gli zii in Francia) sia il suo senso di colpa nei confronti di quel connazionale coinvolto nella disavventura e confuso con lui. Tanto, come qualcuno aveva detto: “Un rider nero è un rider nero”.