Un documentario fondamentale
Per Michael Moore è un lavoro incredibile, mentre è il film preferito del premio Oscar Errol Morris. Eppure, questo documentario giapponese non è mai arrivato da noi. Si tratta di...
Rubrica a cura di ColinMckenzie
L'ho scoperto grazie a questa intervista con Errol Morris, in cui il regista de La sottile linea blu rivela i suoi cinque film preferiti, mettendo in testa proprio questo titolo. L'unico rimprovero che posso fare a Morris è aver spoilerato una scena fondamentale e assolutamente unica di questo documentario (riflettete quindi se volete vedere il filmato che vi ho linkato), anche se va detto che sicuramente è un ottimo modo di catturare l'attenzione dello spettatore. Per il resto, tanti ringraziamenti per il consiglio.
Al centro di tutto, la figura assolutamente bigger than life di Kenzo Okuzaki, che diventa così uno dei personaggi più forti visti su uno schermo nella mia vita (e non mi riferisco soltanto al genere documentaristico). Di sicuro, non possiamo condividere il suo fanatismo, così come la giustificazione che fornisce ai suoi atti violenti. Ma è anche impossibile evitare di rimanere affascinati dalla sua forza e dal suo percorso. E questo, fin dalla prima scena del matrimonio, che sembra essere banalissima e poi sorprende per le rivelazioni che ci vengono fatte. Inoltre, è importante che sia un giapponese a ricordare come il suo Paese, una nazione colpevole di atroci crimini di guerra negli anni trenta e quaranta, sia diventata nell'immaginario popolare una vittima del conflitto a causa delle due bombe atomiche statunitensi.
Il tutto mette in evidenza un aspetto della cultura giapponese difficile da comprendere per noi occidentali, ossia una formalità estrema messa in mostra anche nelle situazioni più tese e difficili. Basti pensare alla scena in ospedale e alla distanza enorme tra i toni pacati e la durezza delle parole di Kenzo Okuzaki. Una persona che, per raggiungere i suoi scopi, non si fa problemi a mettere in mezzo la sua famiglia e a far passare la moglie per una persona che ha perso il fratello in guerra.
Ovviamente, stiamo parlando di un documentario vecchio stile. Dimenticate i lavori di Michael Moore (che comunque, come abbiamo visto, apprezza molto questo lavoro) e di Morgan Spurlock, fatti di registi che appaiono tanto sullo schermo e di montaggi accattivanti. Qui, lo stile è molto semplice, come se Kazuo Hara si rendesse conto che i suoi protagonisti sono talmente forti da non aver bisogno di 'effetti speciali'. E i tempi dilatati magari renderanno difficile a qualcuno la visione. Ma forse, se non riuscite a essere conquistati da questa storia, avete visto troppi film di Stephen Sommers...