Un colpo di fortuna dimostra che Woody Allen è un ottimista | Bad Movie
Un colpo di fortuna sfata un mito: quello che Woody Allen sia più pessimista che ottimista, almeno nelle sue opere
Il Bad Movie della settimana è Un colpo di fortuna di Woody Allen, uscito al cinema il 6 dicembre
Premessa
Oggi vogliamo sfatare un mito. Quello che vede Woody Allen più pessimista che ottimista. Almeno dentro le sue opere. Sappiamo che personalmente è ateo, scarsamente patriota, poco legato alle sue radici ebraiche e non nutre enormi speranze a livello globale. Il maestro della pratica del self-deprecating (estensione dell'understatement hitchcockiano volta a sminuirsi costantemente agli occhi degli altri) ha realizzato 50 film in 54 anni di lungometraggi (noi li facciamo partire da Prendi i soldi e scappa del 1969 perché disconosciamo come esordio registico Che fai, rubi? del 1966). Nel ricco carniere possiamo trovare soprattutto varie sfumature di commedia. Stralunate (gli iniziali “funny ones” come gli rimproverano gli alieni in Stardust Memories), sentimentali (il suo capolavoro Io e Annie, trionfatore agli Oscar del 1978), storiche (Radio Days), magiche (Alice, Midnight in Paris), criminali (il papà di Woody Allen era un simpatico lestofante che a volte compiva degli imbarazzanti furtarelli anche tra gli stessi familiari), gialle e noir. Da Crimini e Misfatti (1989) Allen crea un altro sottofilone, quello che possiamo definire scherzando “mortality tale”.
“La fortuna non esiste”
È la frase tormentone di Jean Fournier interpretato dal bravissimo Melvil Poupaud, lanciato da Jacques Doillon con La Fille de 15 ans (1989) e poi diventato grande negli anni grazie soprattutto a François Ozon e Xavier Dolan. Poupaud è il cuore nero di Un Colpo di Fortuna. Il suo losco finanziere che “rende i ricchi sempre più ricchi” non fa altro che ripetere frasi come “Perché la fortuna, io, la costruisco!” oppure “Disprezzo chi si affida alla sorte!”. È ossessionato dunque dal libero arbitrio e poi pure dai trenini elettrici (in modo più malsano rispetto al piccolo alter ego spielberghiano in The Fablemans). Ama origliare conversazioni a distanza, forse in passato ha ucciso un suo socio e ogni tanto si congela in sguardi fissi che esaltano la pericolosità di due occhi psicotici. Jean è il classico villain alleniano sicuro di sé, tronfio, appartenente agli sfruttatori del pianeta terra secondo il regista liberal newyorchese. Spesso pensiamo che nelle pellicole di Allen questi figuri vincano perché l'autore è pessimista e pensa che la malvagità prenda sempre il sopravvento sulla gentilezza d'animo. E in questo caso? La vicenda di Jean è emblematica perché quando scoprirà che sua moglie Fanny (Lou de Laâge), più giovane di lui e considerata “trofeo” da amici e conoscenti dentro onnipresenti party e ricevimenti eleganti, lo tradisce con l'aspirante scrittore Alain Aubert (Niels Schneider, usato benissimo da Dolan come irraggiungibile oggetto del desiderio ne Gli amori immaginari)… allora tutti i nodi verranno al pettine.
Crimini e Misfatti
Poupaud fa ridere amaramente. Si vede che Allen si diverte come un matto a scrivere questi avventurieri del male fieramente liberi nella loro immoralità. In mezzo a incontri sui marciapiedi di Parigi ripresa come fosse New York (indirizzo importante: civico 16 di Rue Alfred de Vigny), pranzi mezzi adulteri dove c'è la classica frase alleniana: “Sto bevendo troppo vino”, colonna sonora strumentale jazz (ma più moderno del solito) e interni parigini un po' troppo giallo-zabaione come sono fotografati da Vittorio Storaro, Un Colpo di Fortuna si dipana perfettamente nei suoi 93 minuti come una classica commedia noir cui l'autore ci ha abituati da anni e di cui è necessario fare a questo punto una classificazione. Come dicevamo trattasi di una manciata di opere, da Crimini e misfatti (1989) fino a Un colpo di Fortuna passando per il successone del nuovo millennio Match Point (2005) e Irrational Man (2015), in cui qualche personaggio programma un omicidio o comunque un atto spregevole (come Josh Brolin che ruba un manoscritto a qualcuno in coma provando a spacciarlo come suo in Incontrerai l'Uomo Dei Tuoi Sogni).
Quello che ci interessa è stabilire, a maggior ragione se Un Colpo di Fortuna sarà l'ultimo film di Woody Allen, quante volte il regista demiurgo, sempre autore delle sue sceneggiature, ha scelto di farla pagare all'immorale oppure no. Prima di Un Colpo di Fortuna stavamo 7-3 a favore della punizione e questo può risultare sorprendente considerato lo sbandierato pessimismo cosmico e sfiducia nei confronti del genere umano dell'autore newyorchese. I film “il male perde” (per perdere consideriamo o incarcerazione o brutta fine dei “cattivi”) sono Ombre e nebbia (1991: Kleinman ce la fa a non passare per lo strangolatore, fuggendo con il circo protettivo; possiamo dire che il circense Fellini batte il paranoico Kafka all'ultimo minuto), Misterioso Omicidio a Manhattan (1993: il quartetto di investigatori amatoriali risolve il giallo), Sogni e Delitti (2007: per i fratelli assassini nessuna via di scampo), Incontrerai l'Uomo dei Tuoi Sogni (2010: lo scrittore ladro avrà una brutta sorpresa), Blue Jasmine (2013: la donna così scostumata da preferire il maschio corrotto e ladro pur di essere ricca, finirà malata di mente a San Francisco), Irrational Man (2015: l'intellettuale nichilista ertosi a giustiziere privato muore scivolando su una torcia mentre prova ad uccidere ancora) e Scoop (2006: il killer dei Tarocchi finirà in gattabuia).
Quelli in cui vince la scostumatezza sono i “soli” Crimini e misfatti (apripista del sottofilone del 1991: puoi eliminare la tua amante problematica e vivere benissimo senza alcun senso di colpa o punizione), Match Point (il caso fa andare l'anello dalla parte giusta per salvare Chris Wilton) e La Ruota delle Meraviglie (2017: Ginny Rannell consegna a dei killer una persona attraverso una “non telefonata”).
Conclusioni
Come si colloca Un Colpo di Fortuna? È un consuntivo ideologico che Allen lo abbia anch'esso finito con il cattivone Jean scambiato per un “cerbiatto” grazie alla bravura investigativa della mamma della “moglie trofeo” interpretata da una potente Valerie Lemercier che legge i gialli di Simenon e sembra nel look rievocare una Diane Keaton transalpina? Oppure, come probabilmente direbbe Allen, è un solo un caso che quello che potrebbe essere oggi l'ultimo film di uno dei più importanti autori cinematografici della Storia sia ancora una volta più dalla parte del punire i malfattori che non fargliela passare franca. Colui che è stato capace di lavorare e avere successo dentro cinema e televisione per 7 decadi (dai '60 del '900 a oggi) vincendo 4 Oscar su 24 candidature, conferma che pur non credendo in Dio, il bene vince spesso nelle sue opere. E dire che aveva aperto il sottofilone con il massimo del disfattismo grazie a Crimini e Misfatti. Poi, probabilmente, ha cambiato idea.