Umberto Lenzi: muore il primo grande regista cannibale della Storia

Muore Umberto Lenzi, non solo regista di quantità ma primo grande "cannibal director" della Storia Del Cinema, artefice con Tomas Milian di memorabili poliziotteschi

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Si possono digitare tante cose riguardo Umberto Lenzi. È stato un regista estremamente prolifico ed eclettico dentro un momento storico del nostro cinema in cui i registi italiani avevano l'appoggio di produttori tali da permettere loro di viaggiare, esplorare e soprattutto lavorare come matti.

Lenzi, come Lucio Fulci, era un artista svezzatosi in una prestigiosa scuola di cinema come il Centro Sperimentale di Cinematografia e questo gli ha permesso fin da molto giovane di conoscere presto il mezzo e saperlo utilizzare per i più disparati, e a volte anche disperati, generi cinematografici e film. Amava il cinema classico americano (John Ford e il meno ricordato e più bistrattato Raoul Walsh) ma era imbevuto anche di neorealismo rosselliniano e non disdegnava affatto né la letteratura né il cinema viscerale di Pier Paolo Pasolini anche se nacque dietro la macchina da presa al riparo della fantasia escapista del genere cappa e spada come testimonia l'esordio L'Avventura di Mary Reid. Ebbene sì, all'epoca anche noi facevamo Pirati Dei Caraibi anche se si intitolavano Sandokan, La Tigre di Mompracem (1963) o I Pirati Della Malesia (1964), sempre firmati dal buon Lenzi.

All'epoca c'era l'industria dalle nostre parti e quindi si sfornavano film in continuazione, di qualsiasi genere come il giallo, il softcore, il noir d'ambientazione altolocata pieno di patologie mentali e deviazioni sessuali. Lenzi era un vero e proprio esploratore: arrivava dentro un genere, dava sfogo alla sua curiosità artistica e poi ne andava a visitare un altro, sempre però con un tocco particolare e una compiaciuta (l'uomo sapeva di essere in gamba) soddisfazione nel vedere sfornato un altro film che fosse contemporaneamente bello per lui, o quantomeno accettabile, e adatto alle direttive precedentemente dategli dal produttore.

Ma se con il giallo e il filone salgariano Lenzi era stato un "continuatore" nel 1972 con Il Paese Del Sesso Selvaggio (cui dedicammo un Bad School) arrivò la prima grande prima volta della sua filmografia: nasceva il sottogenere del cannibal movie con un occhio al documentario e l'altro all'avventura esotica in cui noi occidentali assistevamo a banchetti di carne umana senza però sconfinare nel sensazionalismo ma anzi con un occhio estremamente rispettoso nei confronti degli attori indigeni thailandesi che Lenzi filmava, e dirigeva, con estremo zelo e rispetto.

Avrebbe potuto lucrare sull'incredibile successo di quella pellicola e invece Lenzi rifiutò di realizzare un sequel per dedicarsi a una sua nuova grande passione: inseguimenti e sparatorie per le nostre città. In un neologismo: poliziottesco. Due pellicole memorabili lenziane dentro questa categoria cinematografica: Milano Odia: La Polizia Non Può Sparare del 1974 e Roma A Mano Armata del 1976. Sono film importanti perché non solo assicurano un'azione solida e un ritmo fuori dal comune ma in più fanno esplodere le invenzioni attoriali di Tomas Milian, il quale con Lenzi sviluppa un rapporto di lavoro speciale e con il quale crea, di fatto, la notissima maschera de Er Monnezza, ladruncolo estremamente carismatico battezzato dentro Il Trucido E Lo Sbirro sempre del 1976.

Avete notato le date e quindi è lampante la frenesia lavorativa di quegli anni cruciali per il nostro cinema, quando eravamo Re, prolifici e febbrilmente "di genere" a differenza di oggi in cui questi shock visivi sono praticamente inesistenti dalle nostre parti se non nella serialità televisiva. All'epoca eravamo capaci di spaventare, eccitare, scioccare e intrattenere il pubblico, italiano e non solo.

Poi dagli anni '80 l'attività di Lenzi si fa non meno prolifica (17 lungometraggi tra cinema e tv) ma meno significativa con horror, thriller, commedie scolastiche e action movie.

Vedere la sua filmografia oggi fa veramente impressione perché dal 1961 all'ultimo film del 1992 (Hornsby e Rodriguez - Sfida Criminale) ha diretto spesso più di un film all'anno creando un corpus sconfinato che oggi farebbe venire i brividi, e anche parecchia invidia, a registi italiani che fanno fatica a raggiungere 10 regie di lungometraggi nella loro carriera. Erano altri tempi e soprattutto, lo ripetiamo, era un altro cinema italiano, quello che esaltava Quentin Tarantino ed Eli Roth per come sapeva essere agile, estremo e senza freni inibitori.

Ci piace chiudere questo piccolo ricordo di un grande regista nostro connazionale con un'emozione ovvero quella che provò un maturo Umberto Lenzi sul set de Il Grande Attacco nel 1978. Il quarantasettenne toscano ebbe sinceramente i brividi quando diresse per quella pellicola di guerra ambientata nel 1936 attori del calibro di Henry Fonda e John Huston, quest'ultimo anche collega regista di Lenzi da lui profondamente amato. Lenzi ha sempre ricordato quei momenti come tra i più significativi della sua carriera, quando capì definitivamente che era diventato a tutti gli effetti un regista internazionale in grado di gridare: "azione!" a due mostri sacri della settima arte.
Oggi anche lui fa parte di quel pantheon.

Il primo cannibal director che mangiò cinema con sconfinata passione, voglia e sincerità.

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