Ultima notte a Soho: l'importanza di Quentin Tarantino nella scelta della location

Girare Ultima notte a Soho trasformando il quartiere nella sua versione anni '60 sembrava impossibile. Ma c'era un precedente illustre...

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Uno degli elementi che maggiormente hanno catturato l’attenzione di Edgar Wright in Ultima notte a Soho sono le luci e le strade del celebre quartiere londinese. Lo inquadra come l’anima interiore dei suoi personaggi, gli dà vita con un senso del realismo molto particolare: non “filologico”, ma emotivo. Quello che vediamo è come Wright si immagina la magnificenza di Soho negli anni ’60. Si è goduto un sacco l'atto di ripresa, e si vede.

Tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’indiretto contributo di Quentin Tarantino. Come noto i due registi sono molto amici (vi proponiamo qui sotto il resoconto di una lunga chiacchierata fatta dai due). Eppure l’apporto di Tarantino è frutto di una casualità. Ecco perché.

Generalmente quando si girano film d’epoca ambientati in grandi centri molto popolosi, non si tocca mai il luogo autentico, ma si cercano location esterne. A volte gli scenografi creano pezzi di set da zero, altre volte si cercano città simili che possano “travestirsi” per l’occasione. Tradizionalmente per il decennio in cui è ambientato Ultima notte a Soho si usano le città di Liverpool e Manchester come controfigure di Londra (spesso anche di New York).

Wright invece voleva girare nel vero quartiere di Soho. Non certo un’impresa facile, neanche per una produzione medio grande come il suo film, per una serie di ragioni. La prima è che la zona è piena di pub, ristoranti, e locali per la vita notturna. Come bloccare per giorni la normale quotidianità, come deviare il traffico e addobbare gli edifici senza mettere in ginocchio il commercio locale (e il budget del film con gli indennizzi per i locali)?

Il secondo motivo è che, nel caso di film molto attesi, è importante mantenere anche un margine di segretezza. E un set a cielo aperto non l’avrebbe permesso.

Ma c’era qualcuno che era già riuscito a fare una cosa del genere, senza che nessuno se ne accorgesse, ed era Quentin Tarantino. Con il suo C’era una volta… a Hollywood aveva addirittura bloccato un tratto della Hollywood Boulevard per girare le sue scene nel totale anonimato.

Dopo aver visto il risultato ottenuto dal collega, Wright ha assunto lo scenografo Marcus Rowland e la location manager Camilla Stephenson. Gli ha spiegato quello che era stato fatto in  C’era una volta… a Hollywood per dimostrare che si poteva fare anche con Ultima notte a Soho.

Ultima notte a Soho

La squadra che si occupava dei permessi delle location lavorò a stretto contatto con le autorità locali per chiudere le strade durante determinate finestre di tempo. Dovettero lavorare quasi sempre di notte, quando il rumore della zona diminuiva. Nello specifico tra le 3 e le 7:30 del mattino.

Nonostante queste accortezze erano frequenti le interruzioni da parte di gente ubriaca che si avvicinava al luogo delle riprese. Spesso i permessi per zone diverse coincidevano, ma ed erano così limitati da non permettere errori. Andare oltre il tempo richiesto avrebbe comportato non finire la sequenza e dover ricominciare le trafile burocratiche che potevano durare dino a quattro mesi. 

Per l’iconica scena al Cafe De Paris hanno noleggiato un bus di Londra del 1960. Questo doveva passare di fronte alla cinepresa al momento giusto. La struttura urbanistica è fatta però da un intricato sistema di sensi unici che, per essere attraversati, richiedono molti minuti. Così non potevano fare più di due ciak per ora, dato che dovevano dare il tempo di tornare indietro. Non c'era margine di errore.

Inoltre la produzione doveva lasciare sempre libero uno spazio sufficiente per far passare le ambulanze e i bus. Questo aggiungeva ulteriori complicazioni logistiche. Il risultato però ha pienamente convinto Edgar Wright. Girare lì era l’unico modo per ricreare la vera essenza della zona, così importante per la riuscita di Ultima notte a Soho.

Il perfezionismo del regista è stato anche per la star del film, Anya Taylor Joy, una vera palestra cinematografica. Racconta in un'intervista che, oltre a vivere una grande esperienza sull’imponente set, ha colto aspetti del suo stile che l’hanno aiutata a dar vita al personaggio di Sandie.

Adoro che sappia quale sarà la musica prima di girare la scena. Come performer, ti porta perfettamente in quel mondo. Puoi davvero capire di cosa si tratta. Ho avuto dei momenti in cui guardavo un mio film e pensavo: "Oh, se avessi saputo che sarebbe stato così, che questa era l'informazione sonora che avrei ottenuto, avrei calibrato la recitazione un po' diversamente.” Quindi avere la musica in anticipo è un qualcosa che mi porterò sempre dietro. 

Fonte: The Hollywood Reporter

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