Ubriaco d'amore: 20 anni fa Paul Thomas Anderson creava la sua versione di una commedia con Adam Sandler
Ossessionato dai film di Sandler, dopo Magnolia PTA non vuole solo lavorarci ma creare Ubriaco d'amore, la sua versione di uno di quei film
“Mentre giravi il film ti rendevi conto di quello che stavi facendo?” è Francis Ford Coppola a chiederlo a Paul Thomas Anderson nel 2011. Sono passati quasi dieci anni da Ubriaco d’amore ma Coppola di quello vuole parlargli. Sapeva davvero cosa stava creando o è stato il frutto felice di una creatività istantanea e di un momento irripetibile? “Io ero convinto di stare facendo un film che tutti sarebbero andati a vedere, un film da 500 miliardi di dollari di incasso. Finalmente ce l’avrei fatta. È finita che nessuno è andato a vederlo e che a qualcuno è piaciuto molto…”. E davvero nessuno ci è andato! Un budget di 25 milioni per 17 incassi negli Stati Uniti, 24 se si aggiunge il resto del mondo. Uno dei fallimenti più belli di sempre.
Adam Sandler infatti non ha la minima idea di chi sia Paul Thomas Anderson. Lui è stato un brillante comico del Saturday Night Live, è famoso e ricco, si è dato al cinema e i suoi film incassano bene. Billy Madison era stato il primo (storia incredibile e scemissima di un adulto che per ereditare i soldi del padre deve tornare a scuola e rifare tutto il percorso dall’asilo al liceo due settimane a classe), Un tipo imprevedibile invece il secondo e più clamoroso (un giocatore di hockey violentissimo si dà al golf trasformandolo in uno sport proletario con Carl Weathers suo mentore senza una mano, pura demenzialità a ruota libera) e poi Waterboy, Big Daddy, Prima o poi me lo sposo e altri meno riusciti ma in cui comunque Sandler è quasi sempre la cosa migliore. Perché i due si incontrassero ci voleva che Tom Cruise li unisse.
Nasce così una collaborazione tra le più imprevedibili e favolose a partire da una storia su un colpo di fulmine tra un uomo rimasto bambino e cresciuto da un team di sorelle che lo bullizzano e una ragazza forse perfetta per lui. No anzi a partire da organo a pompa scaricato davanti al suo ufficio. No, no, a partire da una prima inquadratura che forse è la più bella prima inquadratura di tutto il cinema degli anni 2000. Dentro c’è tutto quello che bisogna sapere su Barry, il protagonista, una scrivania in una stanza grande che ci dice qualcosa di tragico solo nella maniera in cui è composta l’inquadratura, posizionata in alto a sinistra, con molto spazio vuoto e Barry in un angolo, piccolo e inevitabilmente solo in un mondo vasto e freddo. È vestito di blu come nel resto del film in un ambiente bianco. Piccolo e strano. Non c’è nemmeno un’oncia di felicità in questa inquadratura né di speranza. Per fortuna arriva l’organo a pompa.
Quello è il momento 2001: Odissea nello spazio, quello cioè in cui un oggetto apparentemente inutile scatena qualcosa. Non è un monolite ma uno strumento abbandonato (per un film che fa un lavoro di sonoro e colonna sonora che all’epoca era da seccare la saliva in bocca), Barry lo trova e lo porta nel suo ufficio senza una chiara intenzione, non sapendo nemmeno lui perché ma da lì parte questa storia, perché da lì parte il desiderio di Barry di essere diverso. In fondo Ubriaco d’amore è una storia romantica molto semplice, una in cui non si cerca l’amore per l’amore, cioè per essere felici, ma si cerca l’amore come modo di cambiare un’intera vita e dimostrare a se stessi di poter essere migliori. Come avviene in un altro film su un personaggio punch drunk, un altro che era stordito come fosse ubriaco ma a causa dei pugni, Rocky. Alla fine, dopo un discorso sull’uscio in cui non vediamo chi parla (Sandler) ma solo chi ascolta (Emily Watson) perché solo quello ci deve interessare, e dopo un abbraccio bellissimo anche lì inquadrato componendo l’inquadratura per enfatizzare i volti e il sentimento che esprimono, ci sarà Barry che suona l’organo a pompa abbracciato dalla soluzione dei suoi problemi.
Così mentre noi siamo storditi dalla colonna sonora che mescola archi a suoni da computer e rumori che battono al marchio di fabbrica di Paul Thomas Anderson, cioè due diverse musiche sovrapposte (spesso una è diegetica e una extradiegetica, cioè una la sentono anche i personaggi e l’altra la sentiamo solo noi), vediamo la storia di un uomo dominato dalla rabbia che è esattamente il personaggio di Adam Sandler in quei primi film da cui Anderson si dice ossessionato. Sia Billy Madison che soprattutto Un tipo imprevedibile che ancora Waterboy sono film in cui Sandler fa umorismo di rabbia, gioca con la sua capacità di veicolare tensione fisica. Ma in realtà c’è uno sketch del SNL specifico da cui Anderson prende lo spunto, uno in cui per l’appunto Sandler scoppia in una furia rabbiosa che Paul Thomas Anderson avrà guardato mille volte.
Ubriaco d’amore quindi non è un film di Paul Thomas Anderson in cui lui riesce ad integrare Adam Sandler, semmai è la versione Paul Thomas Anderson di un film di Adam Sandler. È la commedia sandleriana di fine anni ‘90 e inizio anni 2000 vista e rielaborata dalla creatività e dallo spirito cinematografico di Anderson. Una in cui la poetica del man-child (l’adulto che non è mai diventato tale e si comporta come un bambino) che Adam Sandler ha sempre portato avanti per ragioni comiche diventa qualcosa da portare avanti per ragioni drammatiche, ha un’origine (le sorelle), dei problemi (la rabbia), contraddizioni (l’affare con la linea erotica), dei pregi (l’idea del budino per avere miglia gratuite che poi era una storia vera) e infine una soluzione.
E la vera idea al centro di tutto è che il regista stesso si comporti come i personaggi di Adam Sandler, con rabbia e tensione in tutto tranne che nelle immagini. La vera idea non è tanto stordire il pubblico con i lens flare che accecano e la colonna sonora inusuale che confonde, ma trovare una maniera completamente diversa di raccontare una storia d’amore visivamente. La cosa più spiazzante non è tanto lo scontro con il venditore di materassi per una telefonata erotica non pagata, ma il modo in cui dentro questa odissea nella rabbia e nelle reazioni istintive di una persona facilmente messa in difficoltà, le immagini lavorino ad un altro livello rispetto alla recitazione nervosa, ai movimenti di macchina rapidi e alle musiche. C’è una quiete incredibile in quelle inquadrature molto ampie, in quei colori rassicuranti e nelle scene apicali. Non c’è infatti incontro più bello di quello delle silhouette di Emily Watson e Adam Sandler in mezzo a tante altre che gli camminano intorno, una delle descrizioni migliori dell’amore moderno, in una folla di “altri” noncuranti, persone tra le tante la cui peculiarità è nota solo a noi.