Twin Peaks, una promessa lunga venticinque anni
Twin Peaks, il capolavoro televisivo di David Lynch, tornerà con nove episodi inediti nel 2016: una promessa che Laura Palmer ci aveva fatto 25 anni fa
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La promessa di Laura Palmer era il raggio di luce che scuoteva l'infernale prigione, più mentale che fisica, denominata Loggia Nera. Era l'ennesima paradossale linea di scrittura giunta al culmine di una vicenda che normale non era mai stata, e che già aveva il marchio della fine impresso su di sé. David Lynch, che da creatore aveva dato la scintilla iniziale a Twin Peaks, tornava nel finale di serie per raccontare, dopo la genesi, anche l'apocalisse della folle ricerca di un assassino che si era tramutata in qualcosa di più. Un finale sospeso, inevitabilmente in parte poco soddisfacente, come solo i capolavori dalle grandi domande sanno regalarne. E quindi l'ultimo sospiro di una visione che diventava una sfida lanciata da Lynch a se stesso, ad un futuro della televisione che Twin Peaks aveva contribuito a cambiare per sempre.
Sulla serie di David Lynch e Mark Frost si è detto, giustamente, di tutto e di più. Il valore della scrittura, la commistione tra i generi, il soggetto fortissimo, i caratteri stratificati e indimenticabili, la regia, le musiche... Cosa aggiungere di più? È Twin Peaks, e tanto basta. Nel 2016 sarà trascorso esattamente un quarto di secolo dalla promessa fatta da Laura Palmer, e nel frattempo molto, se non tutto, è cambiato nel mondo della televisione. Dalla fine degli anni '90 l'impatto dei network via cavo, con la HBO ad aprire la strada, ha spalancato definitivamente le porte della grande narrazione in tv. All'inizio del decennio Twin Peaks aveva sfidato, aveva osato, cadendo nella seconda stagione sotto i colpi della miopia dei produttori, ma aveva anche dimostrato che il piccolo schermo poteva essere grande.
Oggi abbiamo la diabolica scrittura di House of Cards, i setting imponenti di Game of Thrones, le vette autoriali di True Detective. Ovviamente non si può ricondurre banalmente tutto alla sola serie di Twin Peaks, ma la sua enorme influenza su tutto ciò che sarebbe giunto in seguito è innegabile. Lynch, da grande regista, ma soprattutto da grandissimo conoscitore del rapporto tra la storia, l'immagine e l'occhio di chi osserva, capiva che la forza di un mezzo espressivo come la televisione era anche nella capacità di mutare, grazie ai suoi tempi molto più dilatati, il rapporto predefinito e a senso unico tra chi vede e chi viene visto. La sterile e limitata esperienza episodica veniva estesa quindi oltre i limiti della durata della puntata, diventando momento di condivisione, fenomeno di culto, esperienza collettiva e alimentandosi tanto nel corso della trasmissione quanto negli intervalli. Era anche in questo che la televisione poteva e doveva essere grande.
Il piccolo schermo non se ne è mai andato dalla mente del regista. Mulholland Dr., come molti sanno, era stato progettato per essere una serie televisiva, ma la ABC – che da parte sua qualche anno dopo avrebbe generato il fenomeno Lost – non aveva creduto nel progetto. Circa un anno fa il regista definiva "deprimente" l'attuale panorama cinematografico – lui stesso non dirige un film dal 2006 – affermando che attualmente l'arte sembra essere confinata in televisione. Un parere un po' estremo forse, ma estremo e Lynch sono due termini che sono sempre andati d'accordo. E ora eccolo ritornare, insieme al collega Mark Frost, su uno dei prodotti che maggiormente l'ha fatto conoscere al grande pubblico. Su cosa sarà questo Twin Peaks non possiamo né vogliamo sbilanciarci. Le strade, con i dovuti limiti (su tutti la prematura scomparsa di Frank Silva), sono infinite. C'è un po' di timore, come è giusto che sia, ma c'è anche incondizionata fiducia nei confronti di uno dei più grandi autori viventi.
Personalmente non vedo l'ora di poter assaggiare questo buon caffè.