Tutto su mia madre compie 20 anni, l'apice e la cristallizzazione del cinema di Pedro Almodóvar
Tutto Su Mia Madre è il Manhattan di Almodovar, il film che ne ha canonizzato e al tempo stesso reso celebre lo stile ribaltando e rispettando la tradizione del cinema
Terzo film di una quadrilogia di melodrammi (detti anche Almodrammi) che si distaccavano con forza dalla produzione precedente, fatta più che altro di commedie e qualche film di genere come Matador, Tutto Su Mia Madre sta al regista spagnolo come Manhattan sta a Woody Allen, è la cristallizzazione più pura del suo stile, contiene tutto quello che ad oggi identifichiamo come “cinema di Almodóvar” anche se lui in primis non fa più film in questa maniera.
Nella trama la morte di un figlio sconvolge la vita di una donna che insegue le sue tracce, cioè proprio insegue il suo corpo pedinando il suo cuore da Madrid a Barcellona dove viene donato e trapiantato in un’altra persona, incontra la donna per il cui autografo ha rischiato e perso la vita e stabilisce un paradossale nuovo nucleo a partire dalle macerie. Film tutto di donne in cui gli uomini o sono morti o sono diventati donne, dove Esteban è il nome di chiunque (è il figlio morto, era suo padre e sarà il nuovo nato alla fine), Tutto Su Mia Madre contiene il discorso più importante fatto da un transessuale sulla transessualità e la fatica di modificare il proprio corpo per farlo assomigliare a quello che si sente dentro, contiene la lotta per emergere nel mondo dello spettacolo e il corpo dell’attore come recipiente per altro e su tutto contiene il cinema del passato.
La messa in scena già sperimentata nei 10 anni precedenti che trasuda colori accesi e trova equilibrio nel disequilibrio delle tonalità, esagerando con i rossi (in questo film) e puntando sul calore della carta da parati e il contrasto con il mobilio moderno o su pareti monocromatiche davanti alle quali si muovono personaggi con abiti altrettanto accesi, diventa una firma e trova la sua forma definitiva rimasta intatta fino ad oggi, fino a Dolor Y Gloria. Allo stesso modo Cecilia Roth affianca Marisa Paredes (volto storico di Almodóvar) e viene introdotta Penelope Cruz (il futuro del cinema almodóvariano). Lo snodo fondamentale è completo.
La botta che questo film assesta al mondo nel 1999 è potentissima. Tutto questo tutto insieme, in un’opera scritta benissimo, capace di creare un sentimentalismo a tinte forti ma nuovo, appoggiato sulle spalle del melodramma classico ma pieno di variazioni cruciali (l’assenza della controparte maschile, l’assenza dell’amore tormentato, la centralità del sesso e non dei sentimenti, la preferenza del corpo al posto del volto…).
Invece che lavorare sul massimo dell’amore platonico Tutto Su Mia Madre lavora su fellatio, prostituzione, seni rifatti e valori moderni di diversità al posto di quelli tradizionali, non c’è niente di quello che amano le signore per bene (target primario dei melodrammi) ma è un successo pazzesco anche tra di loro. Almodóvar riesce nell’impresa impossibile di svestire il genere di tutto ciò che lo caratterizzava mantenendone lo scheletro e poi riabbigliarlo per renderlo personale, vicino a sé e portatore così di sentimenti verissimi ed estremi.
Il mio corpo non ha niente a che vedere con quello che ho dentro, con chi sono e con cosa sento, non devo adattare i miei sentimenti a come sono fatto ma semmai il contrario. È il vero ponte tra l’eccesso di corpi e la loro esaltazione degli anni ‘80, con la messa in discussione di tutti i nostri rapporti di forza negli anni 2000, e arrivava proprio nel 1999, in Italia nel medesimo giorno in cui usciva Guerre Stellari Episodio I. Controprogrammazione cinematografica con un film in cui le emozioni vengono provate soprattutto guardando qualcosa. Cecilia Roth piange guardando una rappresentazione teatrale, muore di paura guardando il figlio morire e passa momenti di tenerezza con lui guardando i film in tv.