Tutto iniziò a Shadow Moses in Metal Gear Solid | Suggestioni Videoludiche

In questo appuntamento di Suggestioni Videoludiche visitiamo Shadow Moses di Metal Gear Solid, un viaggio fino alle origini del mito

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I giocatori veterani sanno che la serie di Metal Gear comincia nel 1987 su MSX2. Per la prima volta i nomi di Solid Snake e Big Boss esordiscono nel panorama videoludico, ignari delle leggende virtuali che sarebbero diventate negli anni successivi. Ma non è nel 1987 che scatta la scintilla del successo planetario, sia della serie in sé che del suo ideatore Hideo Kojima; né nel 1990 con il sequel Metal Gear 2: Solid Snake, sempre su MSX2. L’acclamazione da parte di critica e pubblico arriva esattamente ventidue anni fa, nel 1998, quando Metal Gear Solid approda su PlayStation.

I motivi, come potete immaginare, sono tanti: trama profonda, un cast di personaggi indimenticabile, meccaniche di gioco stealth sbalorditive, sfondamento della quarta parete, approccio cinematografico, design di Yoji Shinkawa. A tutto questo si aggiunge l’originale visione di Hideo Kojima, in bilico tra realtà e fantasia. Ciò deriva dall’influenza cinematografica occidentale che ha avuto il game director sin da bambino, e dalla cultura umoristica tipicamente nipponica. Da qui si spiega il perché, durante il gioco (e in generale nella serie), operiamo in contesti legati a fatti ed istituzioni politiche esistenti, per poi incontrare nemici dotati di poteri sovrannaturali, contenuti umoristici in stile nipponico, mecha, e altro ancora.

Questo contrasto è perfettamente riassunto nell’ambientazione cardine di Metal Gear Solid: Shadow Moses. Si tratta di un’isola-fortezza immaginaria, ispirata concettualmente a quella di Suomenlinna, a largo di Helsinki. Fa parte delle reali isole Fox, nel mare di Bering, Alaska. Viene utilizzata dal 2002 dagli Stati Uniti come centro di smaltimento di armi nucleari. Questa, almeno, è la versione ufficiale, perché in realtà Shadow Moses funge da laboratorio per lo sviluppo di armamenti, tra cui il Metal Gear REX, un carro armato bipede equipaggiato da missili nucleari.

Il giorno prima della rettifica dell’accordo START (trattato di riduzione delle armi strategiche), scoppia il celebre incidente di Shadow Moses: Liquid Snake, leader dell’unità d’elite FOXHOUND, prende possesso dell’isola tramite una rivolta contro le forze americane. Essendo in possesso del Metal Gear REX, chiede inoltre agli Stati Uniti 1 miliardo di dollari e il DNA del leggendario Big Boss. Per evitare che questo accada, la soluzione è mandare il soldato specializzato Solid Snake, fratello di Liquid. La trama poi si estende con numerosi colpi di scena e digressioni importanti sul tema della guerra, dell’atomica, dei soldati-bambino, tramite dialoghi e personaggi ricchi di spessore.

Tale ricchezza di Metal Gear Solid si riflette anche su Shadow Moses. Alla vista, i suoi ambienti appaiono spogli, privi d’anima, specie nelle sezioni ambientate in spazi chiusi. In essi gli occhi si abituano alla tetra scala di grigi di pavimenti, porte e muri metallici. Una monocromia tale che persino un semplice scatolone può tramutarsi in un oggetto perfetto per passare inosservati davanti agli occhi dei nemici. Si tratta quindi di un freddo visivo che però prende vita grazie alle nostre interazioni: oltre alla scatola, c’è il suono sordo dei nostri passi, che rischia di richiamare l’attenzione dei soldati nemici, così come i colpi sulle pareti per capire dove piazzare una C4. I suoi angusti corridoi e le sue stanze sono colme di segreti, come armi e oggetti nascosti, condotti dentro cui strisciare, dialoghi da origliare.

Un’austerità estetica, volta ad esasperare il cinismo della guerra, che però cela al suo interno soldati con problemi di stomaco, otaku, cyborg armati di katana, e un’arma nucleare di sembianze zoomorfe, per citare alcune delle eccentricità presenti nel gioco. Per questo, giocandoci, veniamo colti da costante stupore. Tale contrasto viene poi enfatizzato dallo sfondamento della quarta parete, altro elemento tipico di Hideo Kojima. Basta citare la celebre scena di Psyco Manthis che legge i nostri salvataggi dalla memory card, per rendere l’idea.

La Shadow Moses di Metal Gear Solid rispecchia questa filosofia fatta di opposti, grazie alle grandi possibilità date dall’interazione, divenendo così un luogo dotato di una sua essenza, al cui suo interno viene raccontata una storia degna di essere vissuta. In tal senso, un contributo importante viene dato anche dalle sezioni di gioco ambientate in spazi aperti. A essi spetta esprimere la natura drammatica del titolo, resa tale dalle atmosfere solitarie e malinconiche tipiche dell’Alaska. Di conseguenza, il grigio metallico della base viene sostituito dal bianco bluastro della neve. Non è un caso se in questo palcoscenico quasi spettrale si consuma uno dei combattimenti più toccanti del titolo, quello contro Sniper Wolf.

Si potrebbe raccontare un episodio, sia narrativo che ludico, per ogni porzione esplorata di Shadow Moses. È per questo che Metal Gear Solid ha aperto le strade della fama alla serie. Non è un caso se in Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots vi è un’intera sezione volta ad omaggiare con grande nostalgia l’isola-fortezza. Ogni passo compiuto, nove anni dopo il primo scontro con Liquid, lì, dove tutto è iniziato, il gioco ci rimanda a flashback del passato. Anche qui, non solo in maniera malinconica, ma anche strappando un sorriso, come la battuta di Otacon di inserire il CD 2 per continuare la missione. Il gioco – e il suo autore – giocano a loro volta con noi giocatori, e ciò si riflette in un altro omaggio a Shadow Moses, sempre presente in Metal Gear Solid 4: il sogno di Snake. In questa scena giochiamo letteralmente al capitolo del 1998, con la grafica e i comandi dell'epoca. Come dice l’autore di Game Studies, Luca Papale, “Il sogno di Shadow Moses ci fa dono del passato e al contempo lo decostruisce”, perché Hideo Kojima punta a rendere noi giocatori consci di stare vivendo un'esperienza videoludica a tutto tondo.

Per riassumere, la natura peculiare di Metal Gear Solid prende forma grazie anche a Shadow Moses. L’isola-fortezza, all’impatto asettica e gelida, in realtà si rivela essere un palcoscenico perfetto non solo per raccontare una storia matura ma anche per mostrare le potenzialità del medium videoludico, prima fra tutte l’interazione tra giocatore e gioco, e viceversa. L’importanza di Shadow Moses si capisce dall’impatto culturale che ha avuto, non solo tra i videogiocatori. Il gruppo metalcore britannico, Bring Me the Horizon, nel 2013 lancia il singolo intitolato proprio Shadow Moses (su YouTube il video ha 44 milioni di visualizzazioni). Nel 2014 Google Maps inserisce uno screenshot di Metal Gear Solid nel census-designated place di Nikolski in Alaska, nelle isole Fox. Shadow Moses è quindi uno dei pilastri che ha reso iconica l’avventura in 3D di Solid Snake. “Il luogo dove i nostri destini hanno avuto inizio”. Queste sono le parole rivolte al nostro eroe da Ocelot/Liquid in Metal Gear Solid 4, poco prima di uno degli scontri più emozionanti dell’intera serie. E non ha affatto torto: lì il destino di Metal Gear ha avuto il suo slancio verso l’immortalità.

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