Tutte le differenze tra le versioni per Spielberg e per Nolan di Interstellar!

Più canonico, più avventuroso e a tratti anche un po' più esagerato. La prima versione di Interstellar è molto diversa da quella finale e mancano le parti migliori

Critico e giornalista cinematografico


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Spoiler Alert
Come noto Interstellar non era originariamente un progetto per Christopher Nolan, ma uno che il fratello Jonah aveva scritto assieme al fisico Kip Thorne dietro richiesta di Steven Spielberg. Era nell’aria già 8 anni fa (e SlashFilm ne ha le prove), ma quando è stato evidente che Spielberg non sarebbe riuscito a girarlo dopo Lincoln com’era sua intenzione originaria, è entrato in scena Christopher a cui Jonah ha passato quella prima bozza. Il fratello regista ha messo mano allo script in maniera pesante, come ha già spiegato lui stesso in lungo e largo, più che altro sottraendo molte delle cose che erano state messe e piegando la trama per le sue ossessioni.
Il risultato finale è ora in sala, quello che invece non vedremo mai è cosa ne avrebbe fatto Spielberg, tuttavia, visto che la bozza di sceneggiatura “versione 2008” non è un mistero ma gira da tempo, di certo si può sapere cosa originariamente era previsto e quindi cosa è stato tagliato.

A SlashFilm l'hanno letta ed estratto le differenze principali.

Inutile dirvi che da qui in poi è “roba per chi ha già visto il film”, non ci fermeremo di fronte a spoiler pesantissimi e parleremo in libertà del finale senza altri avvertimenti che non siano questo.

La prima cosa da notare è che Murph era un maschio nella prima versione. Dunque Cooper avrebbe due figli maschi, mentre Chris Nolan ha voluto il cambio di sesso probabilmente influenzato dal fatto di avere egli stesso una figlia.
A posteriori, considerato anche il coinvolgimento di Jessica Chastain, una scelta fenomenale.

Le differenze sostanziali iniziano con la partita di baseball, lì non c’è il nuvolone di sabbia ad interrompere ma un satellite che cade e ferma tutto. Cooper poi torna a casa e scopre che i trattori hanno il gps sballato visto che puntano non verso casa sua (come nel film) ma verso il cratere del suddetto satellite (che poi si scopre essere una sonda). Arrivato là Cooper usa la sua Interstellartecnologia per guardare cosa ci sia nella sonda e trova immagini di un pianeta ghiacciato oltre a molto codice che non comprende.
È una scelta questa che anticipa ciò che accadrà eppure si può dire senza timore che anche senza quest’amo lo stesso la tensione verso la scoperta di cosa ci sia di strano nel mondo è rimasta.

La sonda spaziale emette dei suoni in corrispondenza di una certa direzione, dunque Cooper e Murph su un loro piccolo areoplano seguono questo segnale e arrivano ad un’isoletta apparentemente deserta dalle parti di Santa Cruz. Nel sottosuolo dell’isola sta la sede NASA.
Dunque niente pick-up, niente grano abbattuto nella foga e un’avventura più canonica con addirittura un volo in aereo (facile immaginare che questo sarebbe piaciuto a Spielberg).

Non ci sono state missioni prima di questa, solo sonde. La NASA ha mandato sonde per capire come sono i pianeti dove forse si potrà vivere e quella atterrata rovinosamente ad inizio film è la prima tornare (per l’appunto) con le immagini di un pianeta.
Il prof. Brand non è a capo di tutto ma lo è una versione umanizzata di un robot a cui lui stesso fa riferimento. Il robot capirà l’utilità di Cooper il quale inizialmente rifiuta di partire e poi solo tornato a casa cambia idea. Di conseguenza cambia anche il ruolo di Murph, che non ce l’ha con il padre ma anzi gli chiede di portarlo con lui.
Di nuovo sembra che lo script originale fosse più “canonico” e in questo senso più spielberghiano nell’instaurare i rapporti e nel far procedere la trama mentre la versione Chris Nolan sia un po’ più audace nel rompere qualche regola e trovare diverse motivazioni.

Il viaggio nel wormhole è molto diverso e più visionario. Se in Interstellar è una grande turbolenza con un accenno di distorsione vicino ad Amelia Brand, nello script prevede una riduzione in scala della Endurance e una serie di effetti in stile The Abyss per i quali vediamo molto lo spazio distorcersi, addirittura gli astronauti vedono fuori dai bocchettoni se stessi.
Finito lo spostamento e usciti dal wormhole si accorgono di essere troppo vicini al buco nero e quindi attirati dalla sua forza gravitazionale, una cosa pericolosissima per evitare la quale si sacrificherà TARS, mollato nello spazio assieme ai propulsori.
Un filo più di avventura in questa fase ma molta meno tensione del nulla. Nella versione finale sembra che tutto venga rimandato senza giocarsi ancora le carte dell’azione.

Qui cominciano i cambiamenti seri. I pianeti da visitare non sono 3 ma uno solo, quello ghiacciato, per arrivare sul quale l’endurance deve darsi la spinta orbitando intorno ad un altro pianeta, cosa che gli fa perdere poche ore che tuttavia equivalgono a 5 anni terrestri. Arrivati sul pianeta trovano una botola (si, abbiamo pensato tutti la stessa cosa: Lost) dentro la quale c’è una base, una base cinese. I cinesi erano arrivati lì 30 anni prima durante una spedizione spacciata per viaggio su Marte, erano loro a catturare le sonde NASA (le trovano in un magazzino) per non farle tornare e soprattutto i loro astronauti sono tutti morti (si vedono le tombe), il motivo lo capiscono in fretta: visto che quel pianeta orbita intorno al buco nero quando arriva la notte le radiazioni ti possono friggere. Non hanno dunque tempo da perdere e prima che arrivi la notte finiscono di scavare il buco che i cinesi stavano approntando per ripararsi e ci si infilano dentro. Rompendo il ghiaccio ad oltranza arrivano alla superficie del pianeta. Il ghiaccio infatti è come uno strato di nuvole che filtra i raggi X che potrebbero uccidere ogni forma di vita e li trasforma in atmosfera vivibile.
Gli unici rimasti quindi erano i robot dei cinesi, non uccisi ovviamente dalle radiazioni, questi, in assenza di ordini dal governo che intanto era collassato, hanno costruito la colonia e studiato il pianeta scoprendo che un altro buco nero più piccolo che nessuno aveva visto negli anni ne avrebbe sospinto l’orbita e fatto collassare contro Gargantua, quindi sono partiti in cerca di una soluzione e sono tornati dopo 5 anni con una nuova tecnologia per controllare la gravità (quella che nel film finale cerca di creare il prof. Brand e che qui invece compare solo in questo punto) per poi andarsene definitivamente. I robot pensavano che questa tecnologia avrebbe salvato il nuovo pianeta ma presto si sono accorti che non sarebbe bastata, invece Cooper capisce che potrà salvare la Terra.
A quanto pare l’idea di suspense del pianeta assassino è stata rimaneggiata per quello dalle onde giganti (ma meglio, l’idea del tempo da non perdere e del membro rimasto per 40 anni da solo funziona moltissimo). Qui in più c’è lo spunto del “non essere i primi” e il mistero di cosa abbiano fatto i robot da soli che non è male.

Non c’è Matt Damon e tutti i personaggi umani, ma mentre stanno lasciando il pianeta si scopre che alcuni robot erano rimasti e li avevano guardati per saltare fuori all’ultimo e impedirgli di portare via la tecnologia unita a dei campioni di piccole forme di Interstellarvita aliene presse da Amelia Brand. La lotta con i robot viene vinta usando il meccanismo che controlla la gravità e non senza alcuni sacrifici da parte dell’equipaggio. Alla fine di una lunga sequenza molto meno semplice e lineare di quella che coinvolge Matt Damon, Cooper, Doyle e Brand riescono a ritornare sulla nave ma lì scoprono che CASE, il loro robot, è in realtà uno dei cinesi (che erano gli stessi modelli), il quale prende comando della nave spingendola verso il buco nero. Brand e Cooper riprendono il controllo troppo tardi, quando ormai sono molto vicini e dunque il tempo scorre più lentamente per loro, sono passati 47 anni terrestri e il pianeta di ghiaccio è collassato dentro Gargantua.
Tra tutte questa è la parte più interessante. Una caratteristica fondamentale di Interstellar è il rapporto che si crea con la tecnologia, quella poca tecnologia della Terra e l’intelligenza artificiale che li accompagna. Nel film finito è pura fiducia, sembrano i migliori amici dell’uomo come se lavorassero tutti per il medesimo fine, mentre in questa prima sceneggiatura il loro ruolo è più classico, sono sia il bene che il male.

Come in Interstellar una volta che è chiaro che sulla Terra sono passati 47 anni i due astronauti rimasti guardano i video dei loro cari. La loro teoria è che nel frattempo siano passati ben 300 anni terrestri non essendosi mai allontanati dal buco nero e, visto che nei video i loro cari parlavano di una razza umana che si stava estinguendo, suppongono di essere gli ultimi rimasti della loro specie. Noi non vediamo mai la Terra e Cooper registra un ultimo disperato messaggio da mandare nel vuoto scusandosi per tutto.
A questo punto dopo che per tutta la sceneggiatura Brand e Cooper si sono affezionati l’uno all’altro fanno sesso a gravità zero.
Inutile dire che l’idea di Chris Nolan di tenerli molto separati è decisamente meno convenzionale e più intrigante per come lasci spazio ad altro (ad esempio il rapporto con Murph sulla Terra). In Interstellar uno degli stacchi migliori è proprio quello tra il videomessagio di Jessica Chastain e il momento in cui cominciamo di colpo a seguire lei invece che la Endurance. Qui non c’è.

A questo punto non sapendo che fare gli astronauti usano i dati cinesi per entrare in un secondo wormhole vicino al secondo, piccolo buco nero. Entrano e si trovano nel bianco, nel nulla. Lì ci sono come degli esseri che comunicano solo con la gravità, Cooper trova un modo per entrarci in contatto e sviluppa una specie di linguaggio condiviso, così loro riescono a dirgli come uscire dal wormhole. Praticamente in questa maniera escono da spazio e tempo e si trovano a guardare l’universo tutto da fuori (è a forma di disco) e addirittura lì trovano una stazione spaziale con dentro TARS, il robot che inizialmente si era sacrificato per loro. Si scopre che in realtà aveva vagato per molto tempo fino a finire nel secondo wormhole e poi nella stazione suddetta che poi è quel che i cinesi proteggevano, lì c’è la tecnologia per fare le astronavi cilindriche che si vedono nel finale di Interstellar e quindi spostare la razza umana. Inoltre i cinesi hanno mappato tutti i wormhole della galassia, quelli che connettono pianeti lontanissimi tra di loro, compresa la Terra. Tra questi ne trovano uno che consente il viaggio nel tempo.
Se pensate che Interstellar le abbia sparate grosse questa sceneggiatura avrebbe fatto molto peggio. Un continuo deus ex machina per uscire da situazioni annunciate come senza via d’uscita.

Nel wormhole che pare faccia viaggiare nel tempo dovrebbero essere passati anche i cinesi ma l’equipaggio dell’Endurance non lo sa per certo e Amelia Brand sostiene con dovizia di dettagli scientifici che non è possibile, primo perchè i viaggi nel tempo non sono possibili, secondo perchè pure che lo fossero i videomessaggi da loro ricevuti testimoniano che nessuno è tornato.
Cooper vuole andare per tornare dai figli, Amelia Brand vuole trovare un pianeta buono per la ripopolazione così si separano (Doyle va con Cooper) e tengono entrambi un po’ di forme di vita aliene inscatolate dalla Brand.Interstellar poster
Mentre entrano nel wormhole temporale Cooper realizza che la sonda che portano con loro è quella che lui ha trovato all’inizio e i dati che non capiva erano le equazioni gravitazionali con le quali contano di trasportare la razza umana, la sua idea quindi cambia, vuole mandare solo la sonda. Doyle non è daccordo, vuole viaggiare, quindi chiude Cooper in una navicella e lo sgancia nel vuoto. A questo punto l’astronave di Doyle non ce la fa ma la sonda sì, arriva sulla Terra 30 anni dopo la loro partenza e i due figli di Cooper, ormai agricoltori la trovano. Murph comprende il significato dei codici per l’equazione gravitazionale, in dieci anni costruisce una sua versione della tecnologia per controllare la gravità ma non riesce a farla funzionare. Altri 10 anni dopo è la figlia di Murph, Emily, a tentare di farla funzionare e per poco non distrugge il fienile.
Qui c’è un assaggio della ricorsività che si trova anche nella versione finale del film ma è più chiara e meno mindblowing. Soprattutto viene introdotta una discendenza di Cooper.

Cooper alla fine riesce anch’egli a tornare sulla Terra, sono passati però 200 anni dalla sua partenza e trova il deserto. Giunge in un duro inverno e vede la sua fattoria abbandonata. Durante una tempesta di neve libera gli esseri alieni che si fondono con la neve donandogli luce ma lui, causa maltempo, non riesce a tornare alla sua navicella. E così crolla nel freddo.
Come in Interstellar si risveglia nella grande nave cargo, gli viene spiegato che è stato salvato e viene condotto da un suo pronipote (vecchissimo) il quale gli riconsegna l’orologio che aveva dato al figlio Murph prima di partire. In seguito è interrogato su perchè abbia liberato gli esseri alieni sulla Terra (la quale è ora una massa di ghiaccio luminoso) e poi gli viene proibito di partire su un’astronave alla ricerca di Brand. Come nella versione definitiva del film però lo stesso ne ruberà una e partirà.

In buona sostanza, si capisce bene che, per quanto colossale, questa versione iniziale dello script per Spielberg (che chissà cosa e quanto avrebbe cambiato) era molto più canonica e hollywoodiana nel senso stretto, conteneva una parabola individualista e i viaggi nel tempo per come li conosciamo, mentre Interstellar è più sulla comunicazione attraverso il tempo e, se vogliamo, sperimenta di più.
Anche i sentimenti coinvolti sembrano più usuali in questa versione, l’amore per una donna e l’attaccamento alla famiglia, mentre lo struggente senso d’abbandono di Murph che ha inserito Chris Nolan è qualcosa di meno praticato al cinema.

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