Turtle Beach Stealth 300, quando la qualità incontra l'accessibilità del prezzo

La nostra impressione delle cuffie da gaming Turtle Beach Stealth 300

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Trovare un buon punto d'incontro fra qualità e prezzo, in ambito di cuffie per il gaming o, più in generale, per la fruizione di contenuti di intrattenimento non è semplicissimo. Normalmente, per ritrovarsi fra le mani un prodotto di qualità, bisogna necessariamente e abbondantemente sfondare la soglia psicologica dei 100/150€, altrimenti è tutto un complicato barcamenarsi in mezzo a plasticoni da 49,90 and counting che fanno sì risparmiare, ma finiscono anche per regalare dei fastidiosi mal di testa a causa della componentistica non eccelsa e di quello che esce dai padiglioni.

A colmare questa lacuna ci ha pensato Turtle Beach, azienda californiana che, in ambito di headset per videogame, non necessita di particolari introduzioni. Lo ha fatto con una nuova proposta, la Stealth 300 che, seppur simile esteticamente alle più costose Stealth 600 e 700, arriva sul mercato a un prezzo consigliato di 79,90€, un po' più dei plasticoni da 50 euro citati poco fa, ma ben al di sotto dei 150-200 necessari per set di fascia medio-alta e alta.
Il taglio di prezzo rispetto ad altri modelli porta con sé un piccolo bagaglio di ovvii compromessi, ma la qualità dei materiali e dell'acustica di queste Stealth 300 non vanno di certo sottovalutate, anzi.

Per tagliare, come da adagio, la testa al proverbiale e mal capitato toro, partiamo direttamente con gli elementi negativi. In primis, la questione dei controlli, posti tutti sulla plastica nera del padiglione auricolare sinistro. Le due rotelline del volume – delle cuffie e del microfono per la chat vocale – sono poste l'una sopra l'altra ed è alquanto facile confondersi fra le due. Discorso analogo, e anche più marcato, può essere fatto per i due tasti che regolano l'accensione del dispositivo e il passaggio ai 4 profili audio selezionabili: il classico simbolo “Power” e la scritta “Mode” sono sì in rilievo sui due tastini, ma non basta a evitare di premere l'uno al posto dell'altro (anche se, lo ammetto, con l'utilizzo, il problema diventa sempre più marginale e il riconoscimento automatico).

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I profili audio, chiamati signature, bass boost, treble boost, bass&treble boost sono distinguibile da una serie crescente (da uno a quattro) di BIP, ma non presentano grandissime differenze: personalmente ho trovato più appagante e dinamico il bass boost. Come ultima cosa, anche se la carica garantisce svariate decine di ore di utilizzo, una volta “a secco” sarà necessario ricaricarle per poterle utilizzare.

Tutto ciò premesso, passiamo ai gustosi lati positivi, in primis il prezzo, che eclissano decisamente questi piccoli e trascurabili lati negativi. La solidità dei materiali e la comodità del memory foam impiegato assicurano resistenza, portabilità e, soprattutto, comodità anche a chi – come il sottoscritto – porta abitualmente gli occhiali. Per testare in maniera più trasversale le cuffie, ho impiegato le Stealth 300 durante la Live della scorsa settimana su BadTaste, con un paio di Blu-ray (Baby Driver e Ready Player One), con Spotify (principalmente con brani dei Nine Inch Nails e dei Chemical Brothers per mettere sotto torchio i bassi) e, ovviamente, con la Playstation (Fortnite e The Last of Us Remastered), ma anche con la Switch (Super Mario Odissey e Capcom Beat'em Up Bundle).

Una doverosa precisazione: nelle foto avrete sicuramente notato che il modello che ci è stato fornito è quello “per Playstation 4 normale e Pro”. Naturalmente le cuffie sono utilizzabili con qualsiasi apparecchiatura dotata di ingresso da 3.5mm, la differenza fra il modello PS4 e quello Xbox è solo estetica: la colorazione degli headset riprende quella tipica delle due console (Blu per la macchina Sony e verde per quella Microfost).

In tutti i frangenti di utilizzo – gaming, musicale e cinematografico – le cuffie si sono dimostrate convincenti, con uno spettro sonoro ben variegato, una buona resa ambientale, tanto degli effetti “realistici” di un titolo survival come The Last of Us quando di quelli tipicamente 16Bit della raccolta Capcom su Switch. Davvero appagante la prova con Fortnite, specie per chi – come il sottoscritto – adotta delle strategie attendiste in cui è fondamentale percepire suoni... sospetti.

Confermo quanto già affermato in precedenza ovvero che il profilo sonoro più allettante è il secondo (bass boost): tanto con il movimentato inseguimento iniziale di Baby Driver condito da Bell Bottoms dei The Jon Spencer Blues Explosion, quanto per il girovagare di Joel ed Ellie in un nordamerica popolato da aberranti infetti, senza dimenticare le scazzottate di Mike Haggar and co. per le strade malfamate di Metro City, è quello che dona la guduria sonora maggiore.

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