Triangle of Sadness: salvare la faccia è meglio che sopravvivere 

In Triangle of Sadness tutto ruota intorno alla faccia: la bellezza, il disgusto, e soprattutto la reputazione da salvare a ogni costo

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Ruben Östlund parte dalla faccia. Il Triangle of Sadness del titolo indica infatti, nel gergo della moda, quell’area di intersezione tra le sopracciglia e il naso che si contrae ogni volta che un’espressione negativa attraversa il nostro volto. È praticamente una dichiarazione programmatica, spiegata solamente una volta dentro il film, di un’opera che fa di tutto per far muovere il triangolo della tristezza agli spettatori. Lo rilassa, cercando le risate dalle assurde situazioni che va a creare, e lo contrae nell’indignazione satirica che cerca di suscitare.

Parte dalla faccia ogni film di Östlund, il regista svedese amatissimo dal Festival di Cannes che l’ha già insignito della Palma d’oro per ben due volte. Perché i suoi personaggi sono accumunati da un’ansia del tutto peculiare. Più sono parte della società del benessere, più sono affermati, più il nemico che li tormenta è il giudizio delle altre persone, la reputazione. Il loro mondo si trasforma così in un microcosmo di apparenza che si fa però sostanza. Sia che fingano, o che siano sinceri, sono condannati a inseguire il personaggio che si sono creati in una spirale senza via di uscita. 

Triangle of Sadness agli Oscar 2023 con cattiveria

Triangle of Sadness è il candidato più cattivo come miglior film agli Oscar 2023. A muso duro prende di mira alcune categorie precise di persone le deride, le distrugge caricandosi di grottesco, e si fa estensione del dito medio degli spettatori. Poi, contemporaneamente, ne assolve altre, sempre a partire dalle loro facce diverse, più sporche, affaticate, comuni. La linea viene tracciata tra gli arricchiti di ieri e di oggi e la gente comune. Östlund prende i super ricchi, viziatissimi e idioti (esemplare la richiesta al capitano di pulire le vele della nave a motore). Praticamente, dei miracolati del capitalismo. Non si capisce come possano avere accumulato una tale fortuna economica se non trovandosi nella corrente giusta di un sistema rotto o con un’abbondate dose di spudoratezza. Vendono armi e letame, in fondo.

Poi ci sono i nuovi arricchiti, o meglio quelli che vorrebbero sbarcare il lunario. Sono i giovani, gli influencer che danno il loro corpo in pasto ai media di qualsiasi tipo e ne ricavano denaro. Una voracità, una vocazione al consumo che segnerà tutto il film.

Carl e Yaya sono una coppia di modelli, bellissimi entrambi, posano per i marchi di moda e cercando di consolidare la loro immagine prima che il tempo passi e li faccia sfiorire. Decidono di imbarcarsi in una crociera di lusso. Seppur lontani dall’essere persone comuni, i due si muovono come pesci fuor d’acqua in quello spazio che si configura sin da subito come un mondo a parte. Loro vorrebbero entrare in quell’acquario, buttarsi a capofitto nel ristretto spazio del privilegio assoluto.

Non tutto andrà come previsto. Così, nell’ultimo dei tre capitoli in cui è diviso Triangle of Sadness, le gerarchie si ribaltano. Le potenti persone che vengono derise lungo il film, sono definitivamente bollate come l’anello debole di un’ “idiocracy” che sta portando alla deriva il globo.

Per graffiare, Triangle of Sadness, graffia eccome. Non lo fa però nei confronti di quello che (come facilmente intuibile) non è e non sarà mai il suo pubblico. Chi non appartiene all’ 1% dei detentori del maggior benessere sulla terra, si sentirà molto assolto guardando il film. Anzi, persino appagato dalla rivalsa cinematografica ottenuta. Un film cattivo, quindi, solo con coloro che ritiene cattivi. Un messaggio facile, popolare, da bar (loro sono pessimi, noi almeno ce la sappiamo cavare), consegnato molto bene può diventare anche interessante?

Voraci macchinari di consumo

Meno raffinato psicologicamente di Forza maggiore, e meno delimitato rispetto a The Square, Triangle of Sadness parla del consumo. Denaro, immagini, beni, risorse… e ovviamente del cibo. Come il regista ama spesso fare, il film esplode in un’interminabile sequenza. In questo caso è fatta di vomito e merda che invadono la nave. Le facce qui si deformano, diventano mostruose e grottesche (sì un po’ come Mr. Creosote), i corpi emettono fluidi in quantità quasi maggiore di quella che possono contenere. 

Tutto questo è accaduto per via della combinazione tra il mare mosso e un capriccio dei passeggeri che ha fatto andare a male parte del cibo. Nell’annata 2022, caratterizzata da un’attenzione del cinema all’atto del mangiare, ne abbiamo scritto qui, la sequenza si è impressa come una delle più iconiche.

Carl e Yaya, prima di salire in crociera, discutono animatamente su chi dei due debba pagare una costosa cena che si sono concessi. Galanteria vorrebbe che fosse l’uomo ma lui, proprio per il suo sesso, è svantaggiato nelle possibilità di carriera nella moda rispetto alla compagna. Il problema delle differenze salariali al contrario.

Un buon piatto di spaghetti diventa però per Yaya uno strumento di lavoro da non mangiare. Lo fotografa per Instagram e lo fa portare via per mantenere il peso forma. Alla fine tutti si pentono di questa vanità, perché il narratore\Dio\Karma che è Östlund ribilancia tutto riportando il cibo alla sua funzione basilare: un nutrimento che permette la sopravvivenza. I ricchi lo scoprono per la prima volta così, i poveri lo sanno maneggiare nel modo giusto.

Mangiare, divorare, provare, e quindi consumare, digerire, vomitare e ricominciare, sono le dinamiche di un’economia che erode le risorse senza ridistribuire e che qui viene chiamata sul banco degli imputati.

Che cosa resterà di Triangle of Sadness dopo gli Oscar 2023?

Stiamo parlando di un film costruito per far discutere, per polarizzare e lasciare il segno. Non passa certamente inosservato e questa verve polemica potrebbe avergli dato la spinta giusta per ottenere tre candidature di peso (film, regia e migliore sceneggiatura originale). Già queste, sono un attestato importante per l’opera. 

La sua capacità di farsi vedere, di diventare meme, shock e facile irritazione, gli hanno già garantito lo status di un piccolo film di culto per una nicchia di pubblico. Un po’ come accaduto con gli ultimi due film del regista. Triangle of Sadness non sembra destinato a sparire nel dimenticatoio troppo presto, a prescindere da come andrà a finire la sua corsa agli Oscar 2023. 

Il genere della commedia satirica mancava poi da troppo tempo sugli schermi, ed è importante che sia stata riconosciuta anche nella stagione dei premi. Il ridere dei costumi, lo sberleffo di una società, per quanto facile e già sentito, fa bene al cinema. Östlund ha avuto la capacità di uscire dall’esclusività dei festival, arrivare al pubblico, e dare così vita più lunga al suo film. Vivrà nell’immaginario collettivo fino a quando avrà sia la capacità di piacere che quella di non piacere. Di venire cioè smembrato all’interno del facile dibattito sui contenuti che lui stesso ha servito su un piatto d’argento. Fino a che darà l’occasione, a chi lo vedrà, di uscire con una faccia più bella. O un po’ più corrucciata. 

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